PIÙ CHE IL VOTO ALL’ESTERO, È IL RUOLO DEGLI ITALICI CHE SI METTE IN GIOCO – di Riccardo Giumelli

NEW YORK\ aise\ - “E se questa fosse l’elezione decisiva per gli italiani all’estero? Che possa, in altre parole, segnare una discontinuità con il passato, quello di parlamentari eletti all’estero come se fosse un gran bel regalo, piuttosto che una reale opportunità? Un leit motiv, quest’ultimo, che ho sentito troppo spesso: perché persone che non hanno più a che fare con l’Italia da tempo votano per le istituzioni italiane, che devono affrontare i già tanti problemi degli italiani? Potrà sembrare strano per chi vive fuori d’Italia, che sanno del loro amore per la terra d’origine, del contributo dato nel tempo attraverso le rimesse, e di quello dato alla diffusione della cultura italiana e del Made in Italy nel mondo. Non è strano invece nelle nostrane discussioni italiane. Quando provo a difendere questa posizione mi rimangono difronte delle bocche storte. E adesso come glielo continuo a spiegare? Se non lo capisce da solo, come glielo dico? Sono così preoccupati del proprio orticello, figuriamoci se s’interessano di quello enorme e distante migliaia di chilometri”. Così scrive Riccardo Giumelli su “Italica”, rubrica che tiene su “La voce di New York”, quotidiano online diretto da Stefano Vaccara.
“È vero, non è semplice. Siamo stati abituati male fin dalle scuole: quelle che non ti fanno studiare l’emigrazione italiana, un paragrafetto e via, perché conta poco o niente. E chi studia questi temi sa quanto ci sia bisogno di formazione sull’emigrazione e la mobilità. Perché in fondo la politica, dall’Unità d’Italia, si è disinteressata al valore culturale, alla grande forza degli italiani all’estero. Si trattava di un’onta, un’umiliazione mostrata da venti milioni di persone che decisero di lasciare la penisola. Non una bella immagine internazionale per uno Stato nazione che stava nascendo.
E adesso come glielo spiego? Lui è sempre lì con la bocca storta. Quella paginetta che abbiamo studiato a scuola è molto più grande, immensa, potente. È la storia di uomini e donne, eroi ed eroine che hanno affrontato come esploratori d’altri tempi mondi nuovi, portandosi addosso il bello e il tanto della propria vita, adagiandola nei solchi di terre da coltivare, slums e sobborghi di grandi città, di valli da urbanizzare.
E poi come glielo spiego, che oggi quel mondo che ci è stato raccontato, quello di poveracci con la valigia di cartone, quello del “quando gli albanesi eravamo noi”, non è più lo stesso?
È vero gli posso parlare di Papa Bergoglio, Robert De Niro, Al Pacino, Frank Sinatra, Lady Gaga , Messi o qualche altro. E poi gli potrei dire che questo è il mondo della globalizzazione culturale, dei processi di scambio, di quella che molti chiamano la network global society. Siamo tutti connessi, basta con la geografia classica, adesso è l’età della connettografia. I confini non sono più gli stessi, le distanze si riducono, la complessità si amplia, le identità si mescolano e in tutto questo una sembra emergere e avere forza: l’identità italica nel mondo. Non so, non sono sicuro di averlo convinto. Bisogna saper aspettare, che il tempo diventi l’esprit du temps, e si manifesti quasi come autoevidente per molti.
Eppure siamo tanti. Siamo forti. Siamo italici, anche se molti non sanno di esserlo. Perché possiamo pensarci così? Perché il mondo degli italiani fuori d’Italia è cambiato.
Qual è allora il mio auspicio, quello che mi fa pensare ad una svolta in queste elezioni? Quello che chiunque andrà in Parlamento possa non solo lavorare per la sua comunità di riferimento ma soprattutto su quanto gli italici nel mondo siano una grande risorsa per l’Italia.
Qualche candidato ha identificato gli italici nel suo programma politico: lo hanno fatto Alfredo D’Ambrosio, Fabio Porta (candidati per il Senato) e Piero De Benedictis (candidato alla Camera) nella circoscrizione Sudamerica. Ma il nostro discorso va oltre lo schieramento.
250 milioni di italici contano di più dei 60 milioni di italiani d’Italia. Contano di più perché sono tanti e tante le loro storie di successo. Essi vivono una condizione straordinaria: quella di chi ha contribuito con il lavoro paziente e continuo alla formazione del paese in cui sono andati a vivere, mantenendo al tempo stesso un legame forte, spesso nostalgico e pieno di affetto con l’Italia. Ma per contare realmente di più è indispensabile pensarsi una forza capace di esprimersi politicamente. Non può esistere una nuova e globale politica italiana senza l’apporto di una politica italica, guidata da rappresentanti italici. Il rischio è di aumentare ancor più le distanze.
È per questo che dobbiamo vedere nuovi orizzonti. In un mondo che cambia sempre più velocemente e inesorabilmente, c’è la necessità del supporto di chi ha diffuso pezzi di Italia ovunque. E dobbiamo crederci anche per le nuove generazioni, verso le quali è necessario far crescere e alimentare il desiderio di un legame con il mondo italico. Ci sono momenti che diventano fatali. Svolte che segnano il cambiamento. Bene, ci siamo arrivati.
Se l’Italia e la sua cultura si limitasse ai suoi confini politici rinnegherebbe la sua vocazione universalista e globale che da sempre l’ha accompagnata. Perché la cultura italiana, come ci dicono molte ricerche, è la più influente al mondo. Ricordiamocelo, è là dove arriva la sua cultura che stanno i veri confini di un paese. E noi su questo siamo fortissimi.
Chissà se un giorno, invece di vedere una bocca storta davanti, possa riconoscere in un italiano un sentimento come quello donatomi qualche settimana fa ad Ellis Island, New York.
“Qui arrivarono alcuni miei parenti dalla Sicilia molto tempo fa”, dico alla guida che ci accompagna alla scoperta del luogo dove i tanti immigrati arrivarono dall’Europa respinti o accettati dalle pratiche burocratiche statunitensi. Lui, la guida, che fino a quel momento sembrava allegro e buontempone si fa serio, si toglie il cappello, abbassa la testa e dice: “We are proud of you””. (aise)