“GOODBYE PERESTROJKA” ALLA GALLERIA SPAZZAPAN DI GRADISCA D’ISONZO

GORIZIA\ aise\ - Ci sono periodi storici in cui il vento del cambiamento ha soffiato così forte da renderli indelebili nella memoria collettiva. È dedicata a uno di questi momenti la mostra “Goodbye Perestrojka”, che l’ERPAC organizza presso il proprio spazio espositivo, la Galleria Spazzapan di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorzia, fino al 28 gennaio 2018.
La mostra, la prima in Italia sull’argomento, preceduta solo nel 2009 da una piccola mostra a Venezia (“Back in the USSR Gli eredi dell’arte non ufficiale”), ripercorre quello straordinario momento di entusiasmo politico e creativo che fu la Perestrojka attraverso cento opere di pittura, grafica, scultura di artisti dell’ex Unione Sovietica.
“In pochi mesi, grazie alla Perestrojka, tutto ciò che era sovietico divenne di moda a livello globale”, ricorda nel catalogo della mostra Yuliya Lebedeva, critica e storica dell’arte, curatrice del Museum “Other Art” presso la State University for the Humanities di Mosca. “La “Glasnost” annunciata da Mikhail Gorbaciov alimentava la speranza che si potesse non sussurrare ma esprimere aperta-mente la propria opinione. Misteriosi vocaboli russi come “Perestrojka” e “Glasnost” risuonarono in tutti gli angoli della Terra. Gli stessi simboli pomposi del regime, che fino a poco prima suscitavano solo una stanca irritazione, associati al rinnovamento conobbero un’autentica rinascita, e si tra-sformarono in souvenir”.
“Goodbye Perestrojka” è curata da Vladislav Shabalin, artista e intellettuale, che dal 1988 diresse “Avangard”, un bunker convertito in galleria d’arte a Donesk, nella regione del Donbass, la più orientale dell’Ucraina e, dopo la dissoluzione dell’Urss, una delle meno pacificate: è ancora in corso una guerra civile che ha già causato migliaia di vittime.
Shabalin, che nel 1980 pagò con la reclusione in ospedale psichiatrico la sua predilezione per il Surrealismo e fu riabilitato solo nel 1986, due anni dopo aprì le porte del suo rifugio antiaereo a un’onda creativa di artisti che, privi di ogni velleità propagandistica, erano assetati di nuovi linguaggi. La sua galleria sotterranea rivive nell’allestimento di Gradisca, con opere del periodo 1988-1991, tutte legate indissolubilmente una all’altra, provenienti da collezioni private austriache, israeliane e italiane. Che la mostra sia organizzata a Gradisca d’Isonzo non è un caso: si trova lì parte della collezione degli artisti che avevano esposto a “Avangard”.
Tra le opere ve ne sono anche alcune del periodo pre-perestrojka, dal 1983, e post-perestrojka, fino al 1999.
“Alle opere di Shabalin – scrive Arianna Di Genova, critica d’arte e giornalista – pervase da un surrealismo grottesco, sfociato poi in un repertorio fantascientifico che asciuga le figure in fossili, si giustappongono quelle di Kalcenko, in cui strutture organiche alla Arp si disfano entrando in contatto con l’atmosfera. O ancora, quelle di Cernik, che sviluppa le amebe di Tanguy in presenze aliene vagamente somiglianti ai reperti etruschi o micenei, in un esistenzialismo arcaico. Dietro le opere di Olimpiuk, ci sono in trasparenza le icone della tradizione russa: si sono contaminate con le concrezioni delle muffe e accolgono apparizioni che scartano dal sacro per inoltrarsi sui sentieri del profano, mentre per Barannik la ieraticità di un tempo è sconfitta dalle tessiture della materia che vela e imbozzola nuove realtà. Bocharov e Belikova invece attingono alla naïveté delle fiabe e leggende popolari per introdurre personaggi onirici, quasi fosse il loro uno smaliziato frottage del ricordo. E se Etenko galoppa con le sue ruote nei dinamismi del Futurismo, sciogliendo il soggetto in linee e colori, a fermare quella fuga ci pensa Manuilov con i suoi oggetti strettamente ancorati alla realtà, in eterna metamorfosi con l’architettura”.
Tutti questi interventi, insieme ad altri saggi di carattere storico e storico-artistico, sono raccolti nel catalogo della mostra, realizzato in versione bilingue italiano/inglese. (aise)