REFERENDUM: IL VOTO DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO

ROMA\ aise\ - Il Consiglio dei Ministri martedì scorso ha determinato la data del 28 maggio per i Referendum popolari relativi alla "abrogazione di disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti" e alla "abrogazione di disposizioni sul lavoro accessorio” (voucher).
Gli italiani all’estero voteranno per corrispondenza: gli iscritti all’AIRE riceveranno il plico elettorale al loro domicilio. Quindi, è fondamentale che abbiano aggiornato il consolato circa il proprio indirizzo di residenza. Al recente referendum costituzionale (dicembre 2016) gli aventi diritto al voto erano 4.052.341 (dati del Viminale).
Chi – iscritto all’Aire – intende votare in Italia, dovrà far pervenire al consolato competente per residenza un’apposita dichiarazione su carta libera che riporti: nome, cognome, data e luogo di nascita, luogo di residenza, indicazione del comune italiano d'iscrizione all'anagrafe degli italiani residenti all'estero, l'indicazione della consultazione per la quale l'elettore intende esercitare l'opzione.
La dichiarazione deve essere datata e firmata dall'elettore e accompagnata da fotocopia di un documento di identità del richiedente, e può essere inviata per posta, per telefax, per posta elettronica anche non certificata, oppure fatta pervenire a mano al consolato anche tramite persona diversa dall’interessato ENTRO I DIECI GIORNI SUCCESSIVI ALLA DATA DI PUBBLICAZIONE DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI CONVOCAZIONE DEI COMIZI ELETTORALI (con possibilità di revoca entro lo stesso termine). 

Il decreto di indizione è ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale ieri, 15 marzo, dunque il termine per l'opzione scade il 25 marzo.
Possono votare per corrispondenza anche gli italiani temporaneamente all’estero, così come previsto dall’Italicum.
Si tratta dei connazionali che per motivi di lavoro, studio o cure mediche si trovano temporaneamente all’estero per un periodo di almeno tre mesi, nel quale ricade la data di svolgimento della consultazione elettorale, nonché i familiari con loro conviventi.
Per votare per corrispondenza, i temporaneamente all’estero devono far pervenire l’opzione al loro comune d’iscrizione nelle liste elettorali.
Il termine per far arrivare ai Comuni l’opzione è il 26 APRILE: molti consolati nelle prime comunicazioni sul voto stanno indicando questa data perché è il trentaduesimo giorno antecedente la votazione (28 maggio).
L’anno scorso, sia in occasione del referendum sulle trivelle che per quello costituzionale, il Ministero dell’Interno aveva emanato due circolari in cui si spiegava ai Comuni che “in considerazione dell’esigenza di garantire l’esercizio del diritto di voto costituzionalmente tutelato - i comuni considereranno valide le opzioni che perverranno entro il trentaduesimo giorno antecedente la votazione, ovverosia in tempo utile per la immediata comunicazione al Ministero dell’interno”.
Il termine del trentaduesimo giorno per le trasmissioni delle generalità degli elettori, scriveva il Viminale, “dovrà essere rigorosamente osservato dai comuni in quanto al relativo adempimento si correla una serie di successive procedure di competenza di soggetti diversi: in particolare, entro il trentesimo giorno (due giorni di anticipo sul termine di legge del 28° giorno per venire incontro alle esigenze degli uffici consolari di stampa tempestiva dei plichi con le schede), il Ministero dell’interno dovrà, a sua volta, comunicare l’elenco dei suddetti elettori al Ministero degli affari esteri per consentire loro l’esercizio del voto per corrispondenza”.
L’opzione può essere inviata per posta, per telefax, per posta elettronica anche non certificata, oppure fatta pervenire a mano al comune anche da persona diversa dall’interessato (nel sito www.indicepa.gov.it sono reperibili gli indirizzi di posta elettronica certificata dei comuni italiani).
La dichiarazione di opzione, redatta su carta libera e obbligatoriamente corredata di copia di documento d’identità valido dell’elettore, deve in ogni caso contenere l’indirizzo postale estero cui va inviato il plico elettorale, l’indicazione dell’ufficio consolare (Consolato o Ambasciata) competente per territorio e una dichiarazione attestante il possesso dei requisiti per l’ammissione al voto per corrispondenza (ovvero di trovarsi per motivi di lavoro, studio o cure mediche in un Paese estero in cui non si è anagraficamente residenti per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data di svolgimento della consultazione elettorale; oppure, di essere familiare convivente di un cittadino che si trova nelle predette condizioni [comma 1 dell’art. 4-bis della citata L. 459/2001]). La dichiarazione va resa ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), dichiarandosi consapevoli delle conseguenze penali in caso di dichiarazioni mendaci (art. 76 del citato DPR 445/2000).
Quanto prima sui siti dei Consolati verrà pubblicato un apposito modello di opzione.
I quesiti.
Entrambi proposti dalla Cgil, i quesiti referendari sono due.
Il primo vuole l’abolizione dei voucher, cioè i “ticket da mini-impieghi” che secondo il sindacato hanno aumentato la precarietà dei lavoratori e favorito il pagamento in nero.
Il quesito è: “Abrogazione del lavoro accessorio (voucher): “Volete voi l’abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”?”.
Il secondo riguarda la responsabilità solidale per gli appalti: “abrogare le norme che limitano la responsabilità solidale negli appalti – spiega la Cgil – significa impedire che ci siano differenze di trattamento tra chi lavora nell’azienda committente e chi in un’azienda appaltatrice o in un’azienda in sub-appalto, riaffermando il principio che chi opera nel sistema degli appalti deve vedersi garantiti gli stessi diritti e le stesse tutele”. Quindi se il referendum viene approvato “il committente sarà chiamato a rispondere per eventuali violazioni compiute dall’impresa appaltatrice nei confronti del lavoratore. Di conseguenza, l’azienda che appalta sarà tenuta a esercitare un controllo più rigoroso su quella a cui affida un appalto”.
Il quesito è: “Volete voi l’abrogazione dell’art. 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”, comma 2, limitatamente alle parole “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,” e alle parole “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori?”. (aise)