TRIBUTO DELLA COLLETTIVITÀ ALLE PROTESTE IN VENEZUELA: DUE MORTI E 10 DETENUTI – di Mauro Bafile

CARACAS\ aise\ - “Un bilancio difficile da accettare: due morti e 10 detenuti; due giovani vittime della violenza con cui le forze dell’Ordine reprimono le manifestazioni di protesta contro il governo del presidente della Repubblica, Nicolas Maduro e 10 detenuti colpevoli di avervi partecipato. La nostra Collettività è da sempre profondamente integrata nel tessuto sociale del Venezuela. Non vive le vicende del Paese da semplice spettatore ma da vero protagonista. Lo fece durante la guerra d’indipendenza, quando l’Italia non esisteva neanche nelle menti più illuminate degli intellettuali e progressisti della penisola; lo ha fatto durante gli anni bui della dittatura, quando nella tetra sede della Seguridad Nacional si torturava e uccideva; e lo ha continuato a fare negli ultimi 50, 60 anni, quando bisognava costruire la democrazia; questa democrazia tanto imperfetta quanto amata, che oggi un paese intero si rifiuta di perdere. Sono sufficienti alcuni nomi per mostrare il legame profondo tra il paese e gli italo-venezuelani: Giacomo Castiglione, Francesco Isnardi, Carlo Luigi Castelli, Juan Germàn Roscio, Luigi Wenceslao Cattaneo di Sedrano, Alberto Carnevali, Raùl Leoni, Jaime Lusinchi, Alberto Adriani, Calderòn Berti, Simon Alberto Consalvi e tanti, tanti altri ancora”. Così scrive Mauro Bafile su “La voce d’Italia”, quotidiano online che dirige a Caracas.
“Oggi la partecipazione attiva alla vita del paese è visibile nei due schieramenti. Alcuni di quelli che militano tra le file del chavismo, sono apparsi in una lista, poi subito oscurata, pubblicata a sostegno della “Lettera degli italiani in Venezuela: una parte limitata della comunità è con l’opposizione” pubblicata da “l’Antidiplomatico.com”; l’altra ingrossa le file dei manifestanti e purtroppo anche quella dei morti e detenuti. Sono coloro che protestano contro la “violenza di Stato”, contro la vocazione autoritaria del governo ed esigono il rispetto delle libertà democratiche, dei diritti umani, della divisione dei poteri e dei valori sanciti nella Costituzione del 1999.
Gruseny Antonio Canelòn Scirpatempo e Jhonatan Zavatti sono le due giovani vittime della violenza con cui, dall’inizio delle proteste in aprile, le forze dell’Ordine stanno brutalmente reprimendo le manifestazioni di protesta.
A Canelon Scirpatempo, 32 anni, hanno sparato a bruciapelo, tanto che sul corpo del giovane erano evidenti i residui della polvere da sparo. I danni provocati dalla rosa delle pallottole di gomma hanno reso inutile ogni disperato tentativo dei medici per salvarlo. L’agonia di Canelòn Scirpatempo, ucciso nel quartiere “Tarabana Plaza de Palavecino” a Barquisimeto, è durata circa 30 ore.
Jhonatan Zavatti, 25 anni, è deceduto l’altro giorno dopo essere stato raggiunto alla testa da un colpo di arma da fuoco, nel corso di una manifestazione antigovernativa. È morto a Caracas dopo ore di agonia nonostante gli sforzi disperati dei medici. Zavatti è stato l’80sima vittima delle proteste anti-Maduro; proteste che si susseguono dallo scorso aprile. Era stato ferito durante una dimostrazione di piazza nel quartiere popolare di Petare.
Quanti siano gli italo-venezuelani arrestati in questi tre mesi è difficile da stabilire. Secondo dati delle nostre autorità diplomatiche e consolari i casi conosciuti sarebbero 10, 8 di questi avrebbero chiesto il loro intervento. Ma potrebbero essere di più, molti di più visto la quantità di arresti compiuti quotidianamente, con o senza ragione, dalla Polizia e dalla Guardia Nazionale.
Assai diversa è la situazione dei prigionieri politici italo-venezuelani. Tra questi, Betty Grossi, in stato di fermo nella sede del Sebin tristemente famosa col nome di “La Tumba”; il giovane Raul Emilio Baduel, figlio del generale la cui azione fu decisiva nella liberazione dell’estinto presidente Chàvez detenuto nell’isola La Orchila durante il tentativo di “golpe” del 2002; e l’avvocato Marcello Crovato. Casi a parte sono quelli dell’ex Sindaco di Caracas, Antonio Ledezma, agli arresti domiciliari; e di Franco Beccalossi liberato recentemente grazie all’intervento del nostro Consolato. Era detenuto ingiustamente in una delle lugubri celle del Sebin.
Studenti, professionisti, paramedici, commercianti, giornalisti, non importa. La Polizia e la Guardia Nazionale arrestano indistintamente, senza fermarsi a distinguere se chi è detenuto ha partecipato o meno alle proteste. Bastano un telefonino, uno zainetto, una borsa di tela, per essere considerati sospettosi.
Molto attive, nelle ultime settimane, le nostre autorità diplomatiche e consolari nella difesa dei giovani italo-venezuelani detenuti dalle forze dell’Ordine che oggi, addirittura, accusano i manifestanti di “terrorismo”. Sebbene sia vero che il loro intervento non assicura la liberazione del connazionale detenuto, è comunque certo che può evitare maltrattamenti, umiliazioni, violenze e soprusi; in casi estremi, il trasferimento nelle carceri peggiori del Paese come quella di Tocoròn, di Barcelona, o di El Dorado, di Ciudad Bolívar.
Se per un verso la posizione dell’Italia è stata chiaramente esposta dal governo Gentiloni che ha esortato il presidente Maduro a liberare i prigionieri politici, a rispettare le libertà democratiche, a cessare la violenza, a riconoscere il Parlamento, a indire nuove elezioni e a fare un passo indietro con la Assemblea Costituente, dall’altra i nostri rappresentanti in Ambasciata e Consolato, sono impegnati a tessere un lavoro di filigrana in cui i contatti informali diventano a volte più importanti di quelli burocratici e ministeriali. La diplomazia è anche, forse soprattutto, questo. Portare a conoscenza delle nostre autorità i casi di connazionali arrestati, può rappresentare la differenza tra il carcere e la libertà e, comunque, contribuire a un cammino più spedito verso la liberazione del malcapitato.
Oggi, come lo dimostra il braccio di ferro tra Parlamento e Governo, tra Procura Generale e Alta Corte, il clima politico è molto teso. Le proteste si susseguono quotidianamente con un bilancio complessivo, fino ad ora, di quasi un morto al giorno. Il dibattito politico mostra un paese diviso senza che si riesca a vedere una possibilità di dialogo tra i protagonisti; il “chavismo” continua a perdere pezzi e, soprattutto, il sostegno delle frange più umili che sono poi quelle che soffrono le conseguenze della grave crisi economica. Se prima, all’inizio delle manifestazioni indette dal Tavolo dell’Unità Democratica, il governo, a Caracas, era riuscito a ghettizzare la protesta in una parte della città, oggi questa si sta espandendo a macchia d’olio coinvolgendo anche i quartieri più popolari come quelli di Petare, Caricuao, Catia, e La Vega.
E si riempiono sempre di più anche le strade di tutte le altre città piccole e grandi”. (aise)