"100% ITALIA. CENT’ANNI DI CAPOLAVORI": BIELLA | VERCELLI | TORINO

TORINO\ aise\ - "100% Italia. Cent’anni di capolavori" è una mostra dedicata agli ultimi cento anni di arte italiana, dall’inizio del Novecento ai giorni nostri. Con un percorso storico esaustivo, il progetto si sviluppa in tre città e diverse sedi con l’intento di evidenziare il ruolo preminente dell’arte italiana, che ha saputo segnare profondamente la creatività europea e quella mondiale. Ogni anno e ogni decennio sono stati contraddistinti da forti personalità che hanno influenzato l’arte del "secolo breve" e oltre; nessuna nazione europea ha saputo infatti offrire artisti e capolavori, scuole e movimenti, manifesti e proclami artistici con la continuità dell’Italia.
Ideata, curata e coordinata da Andrea Busto, a mostra si è aperta il 21 settembre a Biella, in Palazzo Gromo Losa e Museo del Territorio, a Vercelli, presso l’Arca – Ex Chiesa di San Marco, e a Torino, al MEF - Museo Ettore Fico, MEF – Outside, Mastio della Cittadella e Palazzo Barolo. Qui si sviluppano le diverse sezioni, a cura di Luca Beatrice, Lorenzo Canova, Claudio Cerritelli, Marco Meneguzzo, Elena Pontiggia, Luigi Sansone e Giorgio Verzotti.
Sino al 10 febbraio 2019 gli artisti considerati come capisaldi della cultura internazionale verranno esposti, ognuno con una o più opere rappresentative del proprio percorso e del periodo storico di appartenenza. La grandezza dei maestri si potrà quindi percepire in un unicum e in una sequenza espositiva che faranno fare al visitatore un viaggio straordinario lungo cent’anni.
"100% Italia" ha collaborato con collezioni e a archivi di musei, di fondazioni, di gallerie pubbliche e private e di collezionisti che insieme hanno costruito un evento unico nel suo genere. Il Museo Ettore Fico si è avvalso della collaborazione e del supporto strategico dell’Associazione Nazionale delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea – che raggruppa circa 160 gallerie in tutta Italia –, dell’Associazione Fondazioni e Casse di Risparmio Spa – che rappresenta circa 30 Casse di Risparmio e 88 Fondazioni di origine bancaria sul territorio nazionale –, nonché di Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, che hanno attivato la ricerca di un insieme di opere importanti, spesso mai esposte, al fine di offrire una mostra inedita per il grande pubblico nazionale e internazionale.
IL PERCORSO ESPOSITIVO
L’avvio è precedente al 1915, anno in cui l’Italia entra ufficialmente nel primo grande conflitto mondiale, nella prima guerra “globalizzata” in cui le superpotenze si fronteggiavano e si scontravano in un modo violento e disumano. In quegli anni i Futuristi avrebbero voluto «bruciare i musei e le biblioteche» così da chiudere con la storia passata e identificarsi con il presente, ovviamente in senso puramente ideologico. La mostra si conclude negli anni recenti, un tempo in cui l’ideologia prende il definitivo sopravvento sulla razionalità e sulla tolleranza reciproca, attuando in concreto quelle distruzioni simboliche dei Futuristi. Il 12 marzo 2001 vengono distrutte le grandi statue dei Buddha di Bamiyan dai talebani. Il 25 febbraio 2015 i jiadisti bombardano Ninive e distruggono i reperti archeologici del museo di Mosul. Nello stesso anno avviene la devastazione del sito archeologico di Palmira e l’assassinio di Khaled Asaad, archeologo e studioso da oltre cinquant’anni della città siriana. Già il 18 agosto 2014 Papa Francesco pronuncia queste parole: «Oggi noi siamo in un mondo in guerra, dappertutto! Qualcuno mi diceva: “Lei sa, Padre, che siamo nella Terza Guerra Mondiale, ma a pezzi?”. Ha capito? È un mondo in guerra, dove si compiono queste crudeltà.» (Conferenza stampa di Papa Francesco del 18 agosto 2014). Le tipologie e metodologie di sterminio cambiano e, dallo scontro frontale, si spostano su fronti a macchia di leopardo per distruggere popoli e nazioni nella loro totalità attraverso simboli artistici e storici che documentano l’arte e la religione. Paradossalmente l’arte moderna e contemporanea segue questi stessi schemi. Le scuole, le estetiche, il mercato si adeguano e si adattano ai cambiamenti epocali segnando differenze e cambi di potere a livello internazionale. 100%Italia non è un reportage di guerra, ma un viaggio segnato da tre grandi guerre che hanno mutato il mondo e la sua percezione ed è, soprattutto, un resoconto accurato della creatività e della genialità italiana da sempre “cartina al tornasole” dello stato dell’arte. I nostri artisti hanno saputo, come nessuno, entrare in contatto con movimenti internazionali e istanze non provinciali, hanno saputo rielaborare la nostra cultura attraverso altre culture, restando permeabili e nello stesso tempo autonomi. 100%Italia propone al pubblico un progetto a più livelli. Il primo è lineare e cronologico dove le opere si susseguono, anno dopo anno, in una sequenza senza soluzione di continuità. Il secondo è quello dei movimenti che maggiormente hanno influenzato il nostro gusto e le estetiche mondiali. Il terzo è un progetto didattico e divulgativo per chi volesse approfondire in modo unitario percorsi e storie legate all’arte italiana. Ogni sezione è illustrata attraverso saggi che prendono in esame i maggiori movimenti diventando uno strumento fondamentale per la comprensione della nostra storia, del nostro passato e del nostro futuro. 100%Italia propone all’attenzione del pubblico quelle opere che solitamente vengono conservate in collezioni private e che difficilmente vengono esposte pubblicamente per implementare la conoscenza sul piano scientifico e artistico e, con le collezioni pubbliche conservate nei musei, dare un quadro completo della nostra creatività.
LE SEZIONI
FUTURISMO a cura di Luigi Sansone
Il 20 febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti pubblica sulle pagine de «Le Figaro», a Parigi, il famoso Manifesto del Movimento Futurista, programma che avrebbe scosso l’arte e la cultura del Novecento. L’11 febbraio 1911 Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Gacomo Balla e Gino Severini sottoscrivono il Manifesto dei pittori futuristi, rivolto “agli artisti giovani d’Italia!”e l’8 marzo dello stesso anno, al Politeama Chiarella di Torino, Boccioni darà lettura del Manifesto. Negli anni successivi fu tutto un susseguirsi di proclami futuristi intesi a rinnovare la pittura, la scultura, la musica, la letteratura, il teatro, l’architettura e la fotografia. In breve tempo il Futurismo entrò in contatto con gli altri movimenti d’avanguardia (Cubismo, Dadaismo, Surrealismo) e da Milano, città di origine del movimento, si estese a Parigi, Berlino, Londra e poi in Russia, Stati Uniti e Giappone. Dopo la forzata interruzione della Prima Guerra Mondiale, Marinetti cercò di ricompattare le fila del movimento organizzando, nella primavera del 1919 presso la sede della Galleria Centrale d’Arte di Milano, la Grande Esposizione Nazionale Futurista, rinnovando e riaffermando il valore del movimento.
SECONDO FUTURISMO a cura di Luigi Sansone
Dopo i tragici eventi della Prima Guerra Mondiale nel 1921 il Futurismo acquista nuovo vigore con la pubblicazione dei manifesti Il tattilismo di Marinetti e Il teatro della sorpresa firmato da Marinetti e Francesco Cangiullo, a cui seguono il Manifesto dell’Aeropittura (1929) e il Manifesto della Fotografia (1930). L’evento più importante che riunisce molte delle forze futuriste in Italia avviene nell’autunno del 1924 in occasione del Primo Congresso Futurista al teatro Dal Verme di Milano, a cui partecipano trecento delegati di tutti i gruppi futuristi italiani. Nel 1929 viene pubblicato il Manifesto dell’Aeropittura firmato, tra gli altri da Depero, destinato a ispirare per tutti gli anni Trenta una lunga serie di aeropitture futuriste. Il movimento inoltre prende nuovo slancio con una serie di grandi rassegne ospitate dalla Galleria Pesaro di Milano tra il 1927 e il 1933.
METAFISICA E NEOMETAFISICA a cura di Lorenzo Canova
La pittura Metafisica nasce nel 1910 a Firenze con il quadro L’enigma di un pomeriggio d’autunno di Giorgio de Chirico che apre un percorso fondamentale dell’arte del Novecento e una linea maestra delle avanguardie. Influenzata dalla filosofia di Nietzsche e di Schopenhauer, la Metafisica di de Chirico trasforma radicalmente l’impianto pittorico tradizionale nei suoi nessi spaziali, metaforici e compositivi creando un sistema multiplo di aperture prospettiche, di piani sfalsati, di ombre e di luci in cui l’enigma nascosto nella realtà prende forma concreta nelle piazze e nelle architetture, negli interni e negli assemblaggi degli oggetti. Con l’invenzione dei Manichini e degli Archeologi, con le immagini dei Mobili nella valle e dei Gladiatori, de Chirico ha percorso quasi settant’anni di storia in quella che oggi viene giustamente definita la sua “metafisica continua”. Nel 1917 a Ferrara l’incontro di de Chirico con Carlo Carrà e poi con Giorgio Morandi genera un momento di ricerca condivisa (che coinvolge in un modo speciale anche Filippo de Pisis) su temi comuni; da questo periodo straordinario si sviluppa una linea basilare per l’arte italiana ed europea.
REALISMO MAGICO a cura di Elena Pontiggia
Parlare di un Realismo Magico nell’arte italiana fra le due guerre è intendere una vasta parte della pittura del periodo. L’espressione è coniata da Massimo Bontempelli nel 1927. Riferendosi alla letteratura, lo scrittore afferma che il realismo magico è in sintonia con la «precisione realistica» e l’«atmosfera magica» dell’arte quattrocentesca e si avvicina a maestri come Masaccio, Mantegna, Piero «per quel loro realismo preciso, avvolto in un’atmosfera di stupore lucido». Perchè lo stupore è, appunto, «espressione di magia». La definizione non venne adottata in campo artistico (nessun artista disse di sé, all’epoca, di appartenere al Realismo Magico), ma serve perfettamente a indicare l’arte postfuturista e postmetafisica. Dobbiamo intendere infatti per Realismo Magico una figurazione dal disegno nitido, ben costruito e volumetricamente solido, senza pittoricismi ottocenteschi; una figurazione vagamente ispirata al Quattrocento. Il Realismo Magico rappresenta una quotidianità insieme familiare e straniata, una fisionomia evidente e misteriosa accomuna tanti artisti dell’epoca, in cui gli enigmi della Metafisica si stemperano in un realismo incantato che ne è insieme la metamorfosi e il superamento.Protagonisti del Realismo Magico sono Rosai, Garbari, Gigiotti Zanini, che vivono a Firenze in quel periodo e sono a conoscenza delle intuizioni di Soffici. Lungo gli anni Venti e Trenta operano invece a Roma Antonio Donghi, autore fra i più stupefatti e incantati,e a Milano i più giovani Gianfilippo Usellini e Cesare Breveglieri. Ma anche artisti come Casorati si possono avvicinare, con la loro atmosfera immobile, al clima del Realismo Magico.
NOVECENTO a cura di Elena Pontiggia
Il Novecento si raggruppa a Milano, intorno a Margherita Sarfatti, nel 1920 e viene fondato ufficialmente nel 1922. In quegli anni si sviluppa una poetica precisa, che si potrebbe definire l’aspirazione a una classicità moderna. Il rapporto con l’arte del passato, l’attenzione al mestiere, l’interesse per la figura, il primato del disegno, la costruzione di una solida volumetria sono le sue principali caratteristiche, e lo rendono una delle espressioni più alte in Italia del Ritorno all’ordine (cioè di quel movimento che attraversa tutta l’Europa del primo Dopoguerra e intende conciliare le conquiste delle avanguardie con una rinnovata meditazione sull’antico). Nel 1926 si ripropone sulla scena artistica milanese alla Prima Mostra del Novecento Italiano, ma ormai è una famiglia allargata, enorme ed eterogenea. Dalla seconda metà degli anni Venti il Novecento non vuole più essere un gruppo di tendenza, ma solo una generica, ecumenica, raccolta di tutta l’arte italiana, finché la Quadriennale di Roma (la cui prima edizione è del 1931) gli subentra con ben altre forze, sancendone inesorabilmente la fine. CORRENTE a cura di Elena Pontiggia Il movimento di Corrente, nato a Milano nel 1938 intorno all’omonima rivista fondata da un ragazzo di appena diciotto anni, Ernesto Treccani, raduna vari giovani artisti, come Birolli, Guttuso, Sassu, Migneco, Valenti, Cassinari, Morlotti, Vedova e altri tra cui, in posizione più autonoma, Manzù, Tomea, Broggini, Mucchi. Non formano un gruppo, ma sono accomunati da un espressionismo inizialmente lirico, poi sempre più realistico, impostato sul colore, la luce e l’espressione dei drammi e delle passioni dell’esistenza. La rivista chiude nel 1940, ma il movimento rimane in vita fino al 1943. L’espressionismo lirico che influenza Corrente ha inizio nei primi anni Trenta, intorno al critico Edoardo Persico. Era il 1930- 32 e l’estroso critico napoletano promuoveva a Milano, proprio dove era nato il Novecento, un’arte di ascendenza romantica opposta a quella classicheggiante di Sironi e Funi: un’arte incentrata sul colore anziché sul disegno e il volume, sul pathos dell’immagine.
ASTRAZIONE a cura di Claudio Cerritelli
Il percorso dedicato alle ricerche dell’Astrattismo geometrico comporta l’individuazione di una linea di continuità sia con gli esiti non figurativi in campo futurista, sia con l’impostazione di radice metafisica, mentre un ruolo diverso assume il riferimento a modelli storici (Costruttivismo, Neoplasticismo, Bauhaus), con relativi processi di assimilazione. Per l’Astrattismo degli anni Trenta non è possibile parlare di poetica unitaria ma di contributi diversificati sul comune terreno della costruzione autonoma di forme e colori. Il linguaggio della geometria esprime una tensione verso la ricerca di equilibri ritmici legati alla dialettica tra composizione e variazione. Dopo il 1946 si pone l’esperienza del Gruppo Forma 1 che rimette in gioco il destino della pittura e il nuovo impegno nel contesto politico e sociale dell’immediato Dopoguerra. Un altro significativo contributo è quello offerto dal MAC (Movimento Arte Concreta) che tra il 1948 e il 1958 affronta un tipo di astrazione come modo aperto di intendere la forma, libera da ogni costruzione già determinata.
INFORMALE a cura di Claudio Cerritelli
Le differenti ricerche che confluiscono nell’area dell’Informale esprimono il valore espressivo del segno e della materia come possibilità di comunicare una tensione esistenziale e una necessità comune di ritrovare le radici originarie della forma. In tal senso, i linguaggi dell’Informale rimandano a morfologie primordiali, stratificazioni e frantumazioni. L’identità dell’Informale non si identifica in uno stile dominante ma è riconducibile a differenti modi di testimoniare le potenzialità espressive di una visione aperta al continuo esperimento, al divenire indeterminato della forma senza alcun canone che possa garantire valori stabili.
PITTURA ANALITICA a cura di Claudio Cerritelli
In un periodo storico fortemente caratterizzato da un furore ideologico, come furono gli anni Settanta in Italia, la pratica della pittura si era trovata a mal partito, sottoposta a ogni genere di critica in quanto paradigma della tradizione e di tutto ciò che “non” doveva essere più fatto d’ora in poi. Naturalmente, dal punto di vista quantitativo, chi utilizzava la pittura era ancora la stragrande maggioranza degli artisti, ma questi ormai non venivano più considerati nel sistema dell’arte d’avanguardia. Tuttavia, un gruppo di artisti che non voleva rinunciare a uno strumento così versatile e così “umano”, e comunque si sentiva perfettamente in grado di “competere” anche concettualmente con le tendenze più avanzate pur usando un strumento apparentemente così tradizionale come la pittura, diede vita a un movimento – che non fu mai un gruppo – che si interrogava sui motivi del dipingere e della funzione dell’artista, nel momento stesso in cui realizzava l’opera.
POP ART a cura di Lorenzo Canova
Alla fine degli anni Cinquanta l’Informale e l’Astrazione raggiungono i propri limiti espressivi, lasciando spazio al fenomeno della Pop Art, in linea con una società in rapida trasformazione, dominata dai mass media e dal consumismo. Caratteristica fondamentale è l’inserimento di oggetti e miti della società di consumo e della cultura “popolare” (da cui il termine “pop”), come la pubblicità dei cartelloni, le notizie dei rotocalchi, le locandine cinematografiche e gli spot televisivi. Gli artisti si interrogano sul problema della riproducibilità dell’arte nell’epoca industriale, proponendo ripetizioni ossessive e accumulazioni di oggetti tramite collages e assemblages ,in atteggiamento critico nei confronti del cambiamento di valori indotto dal mercato durante il boom economico. La Pop Art nasce a Londra (nel 1956, con l’opera Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing? di Richard Hamilton), ma anche in Italia maturano esperienze analoghe. L’esperienza italiana presenta alcune caratteristiche peculiari che la distanziano dai contemporanei esiti inglesi e statunitensi. Esemplare in questo senso è la cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo di Roma: artisti che, pur aggiornati sui nuovi linguaggi e metodi espressivi “pop”, condividono il riferimento comune alla tradizione della storia dell’arte italiana.
OPTICAL a cura di Marco Meneguzzo
Sotto il termine ampio di Optical Art si raccoglie tutta una vasta galassia di artisti e di gruppi che, a cavallo del 1960, hanno fatto del panorama artistico italiano uno dei più avanzati al mondo. Dopo il decennio dominato dall’Informale, quasi per reazione a quell’indagine esistenziale e individualistica, si sono sviluppate delle ricerche che evidenziavano il lato razionale e quasi “fisiologico” del vedere. I gruppi nati a Milano (Gruppo T e Gruppo MID) e a Padova (Gruppo Enne) sono i più rappresentativi di questa tendenza, che mirava a coniugare la prassi dell’artista con la psicologia della forma. Di fatto, la definizione di Optical Art per quanto riguarda l’Italia dovrebbe essere ricondotta a quelle di Arte Programmata o al massimo di Arte Cinetica. Le ricerche dei gruppi e degli artisti italiani genericamente denominati “optical” si sono indirizzate dunque all’oggettività del vedere, alla misurabilità estetica, come allora teorizzava il filosofo Max Bense o il nostro Umberto Eco.
MINIMALISMO a cura di Marco Meneguzzo
Per quanto riguarda la cultura artistica italiana, sotto la voce “minimalismo” si radunano esperienze artistiche anche molto diverse, che vanno dalle “strutture primarie”alla ricerca del “grado zero” dell’arte, dai prodromi dell’arte ambientale al monocromo estroflesso: al contrario della Minimal Art, qui la definizione di “minimalismo” non appare come un movimento o un gruppo, ma come una categoria ideale. Sia che si tratti di materiali “inespressivi”, come potrebbe essere il cemento, sia che si adotti la monocromia, sia che la superficie venga indagata in tutte le sue possibilità “al limite”– per esempio attraverso estroflessioni e centinature –, sia che il lavoro si apra all’ambiente pur mantenendo lo statuto immediato e visibile di opera, l’intento degli artisti è stato quello di sperimentare i confini fisici e ideali del linguaggio tradizionale della pittura e della scultura.
ARTE POVERA a cura di Marco Meneguzzo
L’Arte Povera – movimento tutto italiano, nato a Torino, ma con significative presenze anche a Roma, a Milano e a Genova – si può considerare, agli inizi, come una reazione alla Pop Art. Sicuramente le tensioni sociali e il momento della contestazione studentesca e operaia, costituiscono lo sfondo su cui nasce il gruppo dell’Arte Povera (la definizione, coniata dal critico Germano Celant teorico del gruppo, è del 1967). Per quanto riguarda le novità linguistico-formali esse vanno però ricercate nella possibilità di non rappresentare più l’oggetto o la materia, ma di “presentarli” nella loro realtà materiale. Ecco allora che a un assunto ideologico – l’Arte Povera si definisce tale proprio in reazione all’opulenza dell’oggetto pop e della società che esso rappresenta si uniscono argomenti formali precisi, fatti di elementi fisici primari, non ancora “contaminati “ dalle sovrastrutture culturali e presentati quasi come elementi bruti, semplici, legati a un’idea essenziale, povera, ma sostanziale, del rapporto tra uomo e realtà: il carbone, il neon, l’acciaio, il piombo, il vetro, il ferro, lo specchio, ma anche gli alberi o addirittura gli animali diventano così il terreno d’azione degli artisti “poveristi”, che nella diversità dei materiali e delle realizzazioni mostrano però di avere nel concetto di “energia” il loro terreno comune.
ARTE CONCETTUALE a cura di Marco Meneguzzo
L’Arte Concettuale (definizione comunque vaga, ma fortunata...) ha per oggetto il linguaggio e soprattutto il linguaggio della parola, più ancora che della visione. Si suole datare il suo inizio al 1967 con i Paragraphs on Conceptual Art scritti dall’americano Sol LeWitt, ma anche in Italia nello stesso anno già si possono ritrovare ricerche dello stesso tipo, soprattutto nei lavori di Giulio Paolini, di Emilio Isgrò, di Alighiero Boetti e di Vincenzo Agnetti. Il processo mentale che si mette in atto per arrivare a un risultato artistico diventa l’aspetto più importante del fare arte: l’idea è più importante della sua formalizzazione, il progetto più del prodotto. L’aspetto visivo non scompare del tutto: l’Arte Concettuale non intende infatti abbandonare il linguaggio dell’arte per arrivare, per esempio, a quello della linguistica, ma vuole sperimentare il limite cui può giungere il concetto di “arte”.
TRANSAVANGUARDIA a cura di Luca Beatrice
Nel 1979 Giancarlo Politi, che dal 1967 pubblica la rivista «Flash Art», edita un piccolo saggio illustrato, copertina tricolore, dove Achille Bonito Oliva espone la sua teoria circa il ritorno della pittura dopo un decennio abbondantemente dominato dall’Arte Concettuale. Siamo in piena epoca postmoderna che, a partire dall’architettura, prevede un diverso rapporto con la storia, intesa come bagaglio di immagini e citazioni. Guardare al passato, al primitivismo, alle esperienze del Novecento, riscoprire manualità e valore artigianale, significa in qualche modo che il tempo dell’avanguardia è terminato. Il prefisso “trans” sta a indicare la necessità di un attraversamento orizzontale tra alto e basso, serio e faceto, contemporaneità e tradizione. La Transavanguardia è il fenomeno più importante nell’ambito della pittura e, dopo il Futurismo e l'Arte Povera, è l’ultimo “gruppo” di artisti italiani che è stato capace di imporsi all’estero.
NUOVA FIGURAZIONE a cura di Luca Beatrice
La Nuova Scuola Romana
Negli anni Ottanta Roma si impone come la “capitale” dell’arte italiana, riprendendo quel ruolo internazionale che ebbe nell’immediato Dopoguerra. Una cronaca che prende vita nei quartieri, a partire da San Lorenzo e dall’ex Pastificio Cerere dove i giovani pittori hanno i loro studi e il loro “quartier generale”, a cominciare dal ristorante Pommidoro dove era solito cenare, quasi ogni sera, Pier Paolo Pasolini. Coetanei o poco più giovani dei colleghi della Transavanguardia, sono meno iconici, meno figurativi, guardano all’astrazione e alla sperimentazione segnico materica. Non fanno riferimento a un unico curatore e non firmano un manifesto, riscontrando semmai l’interesse di tutto l’ambiente critico e accademico, da Maurizio Calvesi a Filiberto Menna.
Citazionisti e Anacronisti
Dall’altro lato del Tevere nasce e si sviluppa un’ulteriore corrente pittorica che prende nomi e appellativi diversi: Ipermanierista, Anacronista, Citazionista. Dando per scontato l’approccio concettuale e non la semplice rivisitazione del passato, questi pittori, peraltro molto dotati dal punto di vista tecnico, si “divertono” a elaborare assurde visioni atemporali, creando un effetto di totale disorientamento. Chi guarda spesso non capisce dove si trova e cosa vede. Rispetto alla Transavanguardia e alla Nuova Scuola Romana, il successo degli Anacronisti resta confinato agli anni Ottanta, in parallelo allo sviluppo dell’architettura postmoderna che trovò, proprio a Roma, in Paolo Portoghesi il maggior teorico, e nella critica d’arte la figura di Italo Mussa, teorizzatore della Pittura Colta.
Geografie dell’immagine
Partendo da Roma, per tutti gli anni Ottanta, il ritorno alla pittura e in particolare all’immagine, si sviluppa nell’intera Penisola. Senza dimenticare peraltro la scultura, altra possibilità espressiva e di studio della materia che cresce in parallelo. Fioriscono, seppur con meno fortuna, altri gruppi, a esempio i Nuovi Nuovi e i Nuovi Futuristi teorizzati da Renato Barilli, entrambi in direzione di una figurazione più soft che guarda anche alla tecnologia e al design. La pittura, in ogni caso, si dimostra multiforme e plurale. Ogni città alimenta un proprio specifico territoriale che la rende differente, e riconoscibile, rispetto alle altre esperienze. Più leggera quella di Milano, di origine concettuale e di impianto ludico; non immune all’influenza dell’Arte Povera quella torinese, viscerale e barocca a Napoli, dove la galleria di Lucio Amelio funge da polo di attrazione per i grandi artisti internazionali e le giovani promesse.
INTERNAZIONALITÀ a cura di Giorgio Verzotti
Gli anni Novanta segnano una svolta nella considerazione internazionale dell’arte italiana: la Transavanguardia nel decennio precedente aveva fatto da testa di ponte a un successo internazionale per la prima volta immediato, con la conseguenza di portare anche le generazioni precedenti, in primis gli artisti dell’Arte Povera, a un’attenzione inusitata anche sul piano delle quotazioni di mercato. Negli anni Novanta, anche grazie a questa nuova considerazione, il sistema dell’arte italiano inizia a organizzarsi per raggiungere standard da tempo validi in altri Paesi: nascono nuove gallerie molto dinamiche e soprattutto musei pubblici e fondazioni private che giungono col tempo a promuovere seriamente l’arte italiana fuori dal nostro Paese, con particolare attenzione ai giovani talenti. Alcuni fra questi, fin dall’inizio del decennio, investono personalmente nella loro promozione scegliendo di vivere all’estero, alcuni iscrivendosi nelle locali accademie d’arte, fra Berlino, New York o Los Angeles, e lì iniziano o proseguono la loro carriera, creando direttamente contatti internazionali. (aise)