MARCINELLE E GLI EMIGRATI: POTERE AL POPOLO BELGIO REPLICA AL MINISTRO DI MAIO
BRUXELLES\ aise\ - “Caro Luigi Di Maio, come migranti italiani/e all'estero ci sentiamo di risponderle in seguito alla sua dichiarazione dell'altro ieri, che riportiamo brevemente: “Io penso soltanto che queste tragedie che noi ricordiamo ci devono portare a fare delle riflessioni. Per esempio, la riflessione che suscita in me Marcinelle è che non bisogna partire. Non bisogna emigrare e dobbiamo lavorare per non far più emigrare i nostri giovani […]. Quando parti e vai all'estero non trovi sempre delle condizioni dignitose”. La sua dichiarazione non è degna di un Ministro del Lavoro per diversi motivi”. Così Potere al Popolo – Belgio in una “lettera aperta” al Ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, in merito alle tante contestate dichiarazioni rese in occasione dell’8 agosto, anniversario della tragedia di Marcinelle e Giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo.
“Da un punto di vista storico – spiega PaP Belgio – è sbagliata: quando parla dello scambio, ignora che questo scambio di fatto non ebbe luogo in quanto non previsto dagli accordi. Gli accordi prevedevano che l’Italia avesse una via prioritaria nell’acquisto del carbone, ma i governi democristiani italiani avevano un altro obiettivo: quello di espellere un numero sufficiente di persone per disinnescare le tensioni sociali che si accumulavano nel dopoguerra e per cacciare i lavoratori politicamente più esposti. L’emigrazione era uno strumento, con caratteristiche repressive, di politica interna. Da un punto di vista politico lei dimostra ancora una volta di ragionare come i suoi predecessori: responsabilizza l'individuo senza tenere in considerazione né i motivi profondi delle migrazioni, né la dimensione di classe di tali fenomeni. Il ricco imprenditore che delocalizza non viene certo considerato come il minatore italiano, come il/la bracciante o ancora come la domestica che pulisce le vostre case. Né le loro ragioni, interessi e necessità sono le stesse”.
“I caduti di Marcinelle, che morirono a un chilometro sotto terra, - continua PaP Belgio – sono gli stessi che muoiono ogni giorno nei campi per mano del caporalato italiano a 40 gradi al sole. Sono quelli e quelle che quand’anche riescono a scappare alla morte per guerre o in mare, in Italia diventano schiavi e schiave, vittime del razzismo istituzionale e mafioso, vivendo in condizioni marginali, senza alcun diritto, invisibili eppure indispensabili per l'economia italiana”.
Dunque, “Marcinelle ci insegna che - ieri come oggi – le migrazioni, e la conseguente segmentazione del mercato del lavoro, sono strumenti in mano allo Stato e ai padroni per arricchirsi ai danni dei/lle lavoratori/trici. Marcinelle a noi insegna quindi che non dovremmo migrare per rischiare la vita sul posto di lavoro, per essere sfruttati/e o anche solo per lavorare nei fastfood, nelle pizzerie e nei ristoranti ma ci insegna anche che non possiamo restare senza avere di che vivere, senza prospettive nel presente e nell'avvenire, senza poter immaginare di costruire una famiglia, in soldoni di essere precari/e e sfruttati/e nel proprio paese.
Forse noi migranti che lasciamo l’Italia – e siamo tanti, secondo i dati Istat tra il 2008 e il 2016 hanno lasciato l'Italia circa 700.000 persone che probabilmente superano il milione visto che il dato Istat è sottostimato - per farci sfruttare nei ristoranti londinesi o nei cantieri berlinesi dovremmo considerarci fortunati rispetto ai nostri coetanei che lavorano nei campi pugliesi e piemontesi oppure ai nostri nonni minatori. Fortuna o meno, qualunque la forma e l’intensità dello sfruttamento che subiamo quello che vogliamo urlarle in faccia è che il fatto di migrare non è il risultato di una scelta individuale. La migrazione è il frutto amaro delle vostre politiche che ci costringono ad abbandonare tutto per trovare delle condizioni migliori”.
“E non ci basta la sua chiosa per cui sarebbe necessario che i Governi facciano qualcosa per evitare che i nostri giovani non partano: oltre al linguaggio paternalista, nonostante la sua giovane età, finché sarete espressione dei peggiori interessi del capitale, non potrete fare nulla per aiutarci, se non farvi da parte. Caro Luigi Di Maio, la responsabilità non è dei/lle giovani o del padre o della madre che emigrano per poter sfamare i/le propri/e figli/e, ma piuttosto delle vostre politiche che - oggi come ieri - ci costringono ad allontanarci da quello che abbiamo di più caro. Fermare le migrazioni è impossibile, considerare buone e giuste le migrazioni dei/lle giovani imprenditori/trici italiani/e e cattive quelle di chi rifugge da guerre, carestie, disastri naturali o la disoccupazione è classista e disumano. La salutiamo con le parole di Gemma Iezzi, madre di Camillo et Rocco morti al Bois du Cazier, riportate dal giornalista Giovanni Terra, sulla rivista Lavoro del 23 agosto del ’56:
“Ho lottato anch’io perché i miei figli lavorassero qui, ho partecipato alla marcia della fame, nel 1948 da qui a Pescara, prima che costruissero il cementificio. Botte mi hanno dato, ma lavoro per i miei figli no. (…) Adesso fanno promesse di dar lavoro ai parenti. Mò è uscito il lavoro, ma prima doveva uscire. Camillo ha lasciato un bambino di 14 mesi e la moglie incinta. Che faremo? C’è da sbattere la coccia per le muraglie. Grida, quasi, e fa un gesto disperato. Ma Gemma si ricompone subito, quasi si vergogna di essersi lasciata andare. “Sono una compagna - dice - scusatemi. Non voglio più piangere. A la faccia di lu guverno!””. (aise)