AMSTERDAM: LE MANI (DEGLI EXPAT) SULLA CITTÀ? LA POLITICA CITTADINA È DIVISA - di Steve Rickinson

AMSTERDAM\ aise\ - “Le recenti previsioni dell’Ufficio di ricerca, informazioni e statistica di Amsterdam (OIS) parlano di una popolazione della Capitale che entro il 2032 sfiorerà 1 milione di abitanti. Il “villaggio” di una volta non c’è più e la crescita è da record: 873.000 residenti entro la fine del 2019. L’ultima volta che Amsterdam aveva ospitato una popolazione di queste dimensioni era nel lontano 1952. Ma nella moderna Amsterdam sono anche altre le cifre da considerare: sono 45.000 le famiglie giovani con figli di non più di 4 anni e il tasso di natalità è molto basso, 1.4 in città contro l’1.7 calcolato a livello nazionale. Questi dati potrebbero evocare l’immagine di una città prossima a natalità zero ma la crescita c’è e viene fuori: gli expats con alti livelli d’educazione e reddito”. Così scrive Steve Rickinson su 31mag.nl, quotidiano online diretto ad Amsterdam da Massimiliano Sfregola.
Il pericolo viene da lontano
“Le aziende sono attratte da una città di fama internazionale, con un ottimo sistema finanziario, e ben inserita nei maggiori mercati” spiega Gert Jan Bakker, rappresentante di Woon!, agenzia per i diritti degli inquilini. “I trasferimenti ovviamente implicano anche l’arrivo di migliaia di nuovi dipendenti” aggiunge.
Come una calamita internazionale, Amsterdam nello scorso anno è stata la meta di circa 25.000 migranti economici. Ogni anno la popolazione media della Capitale aumenta di 10.000 persone. Con queste cifre, viene da chiedersi come e quanto sono mutate le dinamiche socio-economiche e culturali, della città?
“Stiamo crescendo troppo velocemente, e lo stesso sta avvenendo sul mercato immobiliare: sempre più caro” dice Gert Jan Bakker. Dello stesso parere, anche il consigliere del Partito Socialista (SP) Erik Flengte che dice a 31mag: “I grandi capitali e le multinazionali si stanno prendendo la città. Le aziende vedono in Amsterdam un luogo con poche regole e tassazione bassa”.
Le conseguenze del fenomeno lasciano grande spazio a interpretazioni ideologiche. “La crescita del mercato porta vantaggi sia economici che culturali” spiega Sebastiaan Capel (D66), presidente della circoscrizione Zuid di Amsterdam. E a proposito delle 250 imprese targate Regno Unito che potrebbero traslocare dopo la Brexit, dice: “Le nuove aziende contribuirebbero alla crescita di posti di lavoro sia direttamente che indirettamente”.
Eppure, famiglie, classe media e giovani locals continuano a doversene andare dalla città a causa dell’inaccessibilità del mercato immobiliare. La capitale mostra oggi la sua vulnerabilità attraverso un’economia complessa e dinamiche comparabili a centri come Londra, New York o San Francisco. “Troppo spesso alle compagnie non frega niente delle conseguenze delle loro azioni” dice Flengte.
Anche gli expat piangono
Tutte queste contraddizioni sono riassunte nel dibattito sulla controversa natura della città e sul valore della popolazione internazionale in ascesa; con ovvie ripercussioni sulla questione abitativa e d’integrazione. Temi che riempiono spesso le testate per expats o le conversazioni nei locali della Capitale.
A gennaio, le dichiarazioni di Flengte avevano attirato l’ira di molti. Il capogruppo in comune dell’SP si era schierato per la necessità di dare priorità agli Amsterdammers (piuttosto che agli Expats) in materia di abitazioni e impiego.
Il suo oppositore più accanito era stato proprio Capel del D66 che aveva definito le affermazioni dell’avversario “bigotte e xenofobe”. “È la classica politica accusatoria” aveva sentenziato. “Prima hanno colpevolizzato i turisti. Ora, fanno lo stesso con gli Expats. Dicono che sono la causa, ma non offrono nessuna soluzione” spiega.
Flengte spiega che le sue accuse non erano dirette contro gli expats in quanto tali, si tratta piuttosto di una questione di equilibrio: “Il dibattito coinvolge sì i lavoratori internazionali, ma anche le aziende straniere. È tutto l’insieme che gli Amsterdammers trovano angosciante” spiega. “Stiamo diventando una città controllata dalle multinazionali dove solo coloro che hanno redditi alti possono vivere. Non sento nessun dibattito critico sul capitale internazionale che affluisce qui” aggiunge.
“Non c’è libero mercato qui. C’è bisogno di maggiori regolamentazioni che proteggano i cittadini” sostiene Jan Bakker; gli fanno eco le parole di Flengte: “passo dopo passo le normative sono state abbattute dal governo liberale. Regolamentare il mercato immobiliare è fondamentale”.
Come combattere i “ghetti per internationals”?
Capel, d’altra parte, vede invece la soluzione come “l’aumento di affitti sostenibili per residenti a reddito-medio aiuterebbe sia expats che Amsterdammers”. Il rappresentante del D66 si riferisce infatti alle preoccupazioni degli expats legate al costo della vita. “Gli Expats sono come gli Amsterdammers. Tra di loro c’è chi ha redditi alti e chi no, alcuni hanno famiglia e alcuni no, ma sono tutti nella stessa situazione”.
Ed è proprio questa posizione che viene contestata da coloro che non ritengono che la città faccia abbastanza per proteggere alcuni dei più vulnerabili, in particolare i residenti nelle fasce di reddito medio-basse. “Stiamo assistendo a una sostituzione di popolazione. Gli Expats stanno affittando quelle abitazioni che i Locals non possono più permettersi” dice Jan Bakker, e continua: “è un grande cambio nella disposizione della città”.
È anche questa omogeneità socio-economica che tende ad alimentare un atteggiamento di pigrizia verso l’integrazione, ciò che molti locals temono. “Non si possono incolpare gli expats per il loro desiderio di abitare ad Amsterdam” dice Flengte, “semplicemente non si vogliono “enclavi inglesi” o “bolle internazionali” in cui si parli unicamente inglese. In questo modo ci sono interi quartieri di residenti che non hanno prospettive a lungo termine e non investono nel benessere della città, fruttano senza contribuire”.
Capel, d’altro canto, ha un approccio più passivo: “non mi importa in che modo, fintanto che contribuiscono” nonostante concordi in parte con la necessità degli expats di non chiudersi in “tribù internazionali”.
“Spero che tutti gli internazionali possano godere della vita della capitale senza rimanere ghettizzati nella loro dimensione” dice.
L’ascendente di Amsterdam sugli expats di qualsiasi provenienza e background è un continuo cantiere in cui si sperimentare la diversità. Tuttavia l’omogeneità socio-economica rimane un punto critico. Ignorando i problemi delle fasce più basse della popolazione e privilegiando i dipendenti delle multinazionali. Per quanto riguarda le soluzioni a lungo termine, sembra che tutte le fazioni le trovino all’interno di una migliore regolamentazione governativa e in uno sforzo proattivo da parte degli Expats”. (aise)