FRANCESCA CAMPAGNA, LA PALERMITANA AL TOP DEL CENTER FOR CONTEMPORARY OPERA DI NY – di Liliana Rosano

NEW YORK\ aise\ - “È la prima donna, non americana, a ricoprire l’incarico di direttore del Center for Contemporary Opera di New York, il centro che si occupa delle produzioni contemporanee di opera.
Un nuovo ruolo che la palermitana Francesca Campagna ha accettato con sfida ed entusiasmo. Radici sicule ma una vocazione cosmopolita fanno di Francesca una professionista dal profilo internazionale.”. A scriverne è Liliana Rosano su “La voce di New York”, quotidiano online diretto da Stefano Vaccara.
“Laurea in Scienze politiche a Milano, studi all’Università Sorbona di Parigi, esperienze internazionali come a Muscat, in Oman, dove ha contribuito all’apertura e alla gestione della Royal Opera House, primo teatro di Opera in Medio Oriente. Ma è nella sua città, al Teatro Massimo di Palermo, che tiene a battesimo la sua carriera.
In oltre dodici anni, Francesca ha lavorato a più di 300 produzioni con artisti come Franco Zeffirelli, Graham Vick, Claudio Abbado, e Gustavo Dudamel. Non ha mai cessato il suo legame con l’Italia dove continua a ricoprire il ruolo di consulente per il Massimo di Palermo e direttore esecutivo della non profit “International Friends Festival Verdi”.
Qualità e uno sguardo sul mondo sono gli obiettivi di Francesca in questa nuova sfida che vuole avvicinare all’opera chi non ha familiarità con questo genere.
Questo tuo nuovo incarico segna un doppio record: la prima donna ad essere scelta come direttrice e la prima di nazionalità non americana, “immigrante” come hai voluto sottolineare tu.
“Ho voluto specificare il fatto di essere nata a Palermo e di avere radici in Sicilia nonostante il mio percorso professionale sia caratterizzato dall’internazionalità delle mie esperienze perché credo che, in un contesto multiculturale come New York, il riferimento ad una geografia fisica specifica sia fondamentale.
Immigrante, perché rappresento la nuova generazione di italiani all’estero che, pur non essendo nati e cresciuti negli Stati Uniti, riescono ad affermarsi, con successo, in una città come New York. Sono stata io a dare un’impronta alla mia carriera modellandola, in qualche modo, al mio stile e scelte di vita.
Credo che anche l’organizzazione mi abbia scelto per questo profilo internazionale e per il fatto di non essere americana. Ribadire il concetto di essere la prima donna a ricoprire questo ruolo all’interno del Centre for contemporary Opera, mi sembrava doveroso, visto il momento storico”.
Nel tuo percorso ci sono molte città, a partire da Milano, dove hai studiato. A seguire il periodo parigino, Muscat, New York ma è a Palermo che tu cominci ad entrare nel mondo del teatro grazie alla tua preziosa collaborazione con il Teatro Massimo. Che rapporto hai con la tua città e come vedi oggi, dagli Stati Uniti, la sua rinascita culturale?
“Con Palermo ho un legame speciale e non è un caso che il primo messaggio di auguri mi sia arrivato proprio dal sindaco Leoluca Orlando. E’ a Palermo, al teatro Massimo, che ho cominciato a lavorare ricoprendo diversi ruoli: prima occupandomi di marketing e poi gestendo i progetti internazionali. Un legame importante che continua ancora oggi con il mio ruolo di consulente. Sono stata testimone della rinascita della mia città e della sua internazionalizzazione anche attraverso il mio lavoro per il teatro che si è sempre più aperto all’estero diventando un punto di riferimento importante nel contesto internazionale”.
Quali sono gli obiettivi che vuoi raggiungere con il Centre for Contemporary Opera?
“Non abbiamo ancora pronta la programmazione ufficiale ma sto lavorando su più fronti. A partire dal nuovo sito, la negoziazione dei nuovi contratti con i sindacati di New York, l’avvio di nuove partnership, di nuove produzioni, di progetti internazionali. Voglio portare una ventata di novità e freschezza con l’obiettivo di puntare sempre sulla qualità ma anche di creare un centro sostenibile evitando gli sprechi senza ricorrere necessariamente ai tagli, sfruttando al massimo le nuove tecnologie. In questi anni trascorsi all’estero ma anche in Italia, ho studiato, creato un modello di business che oggi sono in grado di replicare in diversi luoghi tenendo conto dei diversi contesti storici e sociali”.
Ci sarà una particolare attenzione agli artisti italiani?
“Operando in un contesto multiculturale come New York devo aprirmi necessariamente al mondo. Il criterio sarà sempre quello della qualità. Sarei felice di ospitare e lavorare con artisti italiani se presentano progetti interessanti ma lo sguardo e il criterio che mi ha sempre guidato è quello della qualità. Vorrei con questo mio nuovo ruolo creare un ponte tra New York e i teatri del mondo che si occupano di opera contemporanea”.
Come vivrai il passaggio dai teatri classici ad un centro che si occupa di opera contemporanea?
“Con molto entusiasmo e voglia di fare. Il filo che lega l’opera classica a quella contemporanea è la capacità, in entrambi i casi, di saper comunicare dei messaggi importanti. Certo, l’opera classica è cristallizzata in un determinato momento storico e veicola messaggi che sono legati a contesti storici o tematiche eterne come i sentimenti mentre l’opera contemporanea ha il vantaggio di poter parlare alla gente con più facilità intercettando il pubblico su temi di grande attualità. Basti pensare all’opera sulla vita Steve Jobs o all’apertura della nuova stagione del Met con Porgy and Bess di Gershwin, autore del Novecento. Sono contenta di lavorare con autori e librettisti del Novecento e di scegliere opere che siano in grado di arrivare a tutti”.
L’opera contemporanea è più accessibile?
“Io credo che anche l’opera classica lo sia ma è stato il modo di comunicarla a renderla meno accessibile e più elitaria, o meglio, solo per addetti ai lavori. Anche la struttura degli stessi teatri non è apparentemente propensa all’apertura. Oggi è diverso perchè è cambiata l’architettura dei teatri, con spazi più aperti, “democratici”. Il mio obiettivo è quello di raccontare a chi non si è mai avvicinato a questo genere.”
Cosa pensi degli allestimenti contemporanei, a volte provocatori, di registi contemporanei che si sono confrontati con i grandi classici dell’Opera?
“Io apprezzo tutti i lavori, anche quelli che hanno messo in atto allestimenti provocatori, audaci. La mia idea di messa in scena dell’opera è però più legata all’azione di incuriosire il pubblico che a quella di scioccarlo”.
Che legame hai con ma musica al punto tale da essere l’oggetto del tuo lavoro?
“Un legame forte che inizia da bambina, quando ascoltavo molta musica a casa. Mio zio mi ha lasciato in eredità una collezione di dischi di opera e, nel mio lavoro, ho sempre questo grande sogno ed obiettivo: lasciare un segno, un contributo, tramandare. Sapere che un bambino in Oman come a New York possa usufruire e apprezzare la musica negli spazi dove ho lavorato, mi riempie di gioia. A livello strettamente personale per me la musica è essenziale, vitale, come respirare”.
In che condizioni si trova lo stato delle produzioni teatrali e musicali in Italia?
“La qualità delle produzioni è sempre altissima. Per fortuna, l’Italia riesce ancora a mettere in scena opere di grandissimo livello e spessore. Abbiamo teatri bellissimi, orchestre, artisti, musicisti, mestranze di grande livello. Forse il problema è che l’Italia non riesce a raccontare bene se stessa all’estero e che è ancora incapace di vedere l’arte come un business. Sebbene la filantropia a servizio dell’arte sia nata in Italia al tempo dei Medici, oggi questa funzione sembra essere perduta. E purtroppo a volte la politica intralcia l’operato dei teatri con delle scelte che soddisfano requisiti, per cosi dire più politici che legati al merito e alla qualità”.
Dal 2015 New York è la tua città. Come ti senti nella Grande Mela?
“Ho cercato sempre di sentirmi a casa in qualunque posto ho vissuto, a Parigi come a Muscat come a New York. Per questo mi sento cittadina del mondo. Il mio trasferimento in America è avvenuto in diverse tappe, a cominciare dal 2008, ed è stato spesso conflittuale. Però, l’altro giorno dalla terrazza di casa mia guardando il tramonto sull’Hudson, per la prima volta ho potuto dire di sentirmi finalmente a casa”. (aise)