GLI EMIRATI ARABI ESCONO DALLA BLACK LIST UE – di Davide Parolin

DUBAI\ aise\ - “Gli Emirati Arabi Uniti sono stati rimossi dalla black list della UE. L’aggiornamento della “lista nera” è quindi stato approvato, senza discussione, il 10 ottobre 2019 all’Ecofin, alla riunione dei ministri dell’Economia e delle finanze degli Stati membri dell’Unione Europea. Per la UE, quindi, resteranno paradisi fiscali solo nove Paesi, tra i quali merita di essere ricordato l’Oman”. A commentare la notizia è Davide Parolin su “DubaItaly.com”, portale online fondato e diretto da Elisabetta Norzi.
“La giurisdizione degli Emirati è quindi ora ritenuta compatibile con tutti gli impegni presi nel campo della cooperazione fiscale, avendo anche adottato nuove regole sulle strutture offshore in essa collocate. La decisione – sostenuta dall’Italia – è stata oggetto di svariate critiche in quanto gli Emirati – a differenza della Svizzera – non hanno prodotto normative significativamente dirette alla trasparenza in materia fiscale.
Cos’è la Black List e qual è la sua corretta definizione dal punto di vista fiscale ed economico?
La Black List Italiana dell’Agenzia delle Entrate è l’elenco degli Stati che hanno adottato regimi fiscali agevolati che non hanno aderito al sistema di scambio dei dati fiscali con le altre Nazioni. Prevedono tasse molto basse, per questo sono conosciuti con il termine di paradisi fiscali.
Questa lista identifica anzitutto le giurisdizioni che non collaborano fiscalmente, ossia che, neppure a fronte di motivate richieste, forniscono dati su persone e ditte straniere residenti fuori dagli Emirati, che ivi invece operano: ad esempio italiani residenti in Italia, che hanno degli interessi, dei conti correnti, o sono titolari di asset collocati negli Emirati.
In secondo luogo, cosa si intende per paradiso fiscale? Di regola lo è quel Paese in cui il “livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50%” di quello applicabile in Italia. L’introduzione di questo criterio discende dal recepimento delle indicazioni provenienti dall’OCSE e contenute nel progetto BEPS.
Senza voler entrare nel tecnico, ricordiamo che il livello nominale di tassazione italiano per le imprese è pari al 27,9%. Dunque l’aliquota estera, affinché il paese straniero non sia considerato a fiscalità privilegiata, è pari al 13,95%. Ne consegue che tutti gli Stati con una tassazione inferiore, sono considerati dall’Agenzia delle Entrate dei “paradisi fiscali”. Certamente lo sono Dubai ed i vicini Emirati, nonché la maggior parte degli stati della GCC area.
Il tema della black list è da sempre frutto di molta confusione. E se ciò non bastasse, va anche ricordato che esiste una black list “italiana” che, ovviamente, non coincide con la analoga lista europea. Seppure in Italia, a partire dal 2017, sia stato abolito l’obbligo di comunicazione per le operazioni aziendali compiute da imprese con i Paesi inseriti nella lista nera (il che comportava l’indeducibilità dei relativi costi; ma anche problemi più pratici: fare un bonifico dall’Italia ad esempio era fonte di problemi, per cui occorreva giustificare e documentare al proprio sportello la natura e la ragione del trasferimento di fondi), l’elenco dell’Agenzia delle Entrate resta comunque formalmente in vigore.
Volendo semplificare, nel nostro paese la black list (aggiornata annualmente dall’Agenzia delle Entrate) è utilizzata per tassare il 95% dei dividendi da società nei Paesi che ne fanno parte; diversamente dalla tassazione applicata alle aziende ordinarie.
La black list di rango europeo è stata approvata nel 2017 e mira a superare la frammentazione dei vari elenchi nazionali. La nuova classifica dei Paesi etichettabili come paradisi fiscali è stata predisposta sulla base di tre criteri: trasparenza fiscale, tassazione equilibrata e applicazione delle norme dell’Ocse sul trasferimento dei profitti da un paese all’altro.
Diversa è invece la “white list” che si differenzia dalla black list in quanto comprende Paesi che, pur avendo un regime fiscale privilegiato, consentono lo scambio di informazioni con gli altri Paesi tramite convenzioni o accordi internazionali.
Nella nuova era di collaborazione e interscambio di informazioni non vi è più spazio per manovre di pianificazione fiscale aggressiva. Con il passare del tempo le relazioni tra stati diventeranno sempre più strette. L’amministrazione finanziaria avrà sempre più informazioni per andare ad individuare le movimentazioni finanziarie dei contribuenti”. (aise)