GUIDO BERARDIS LASCIA IL TRIBUNALE UE DI LUSSEMBURGO: A COLLOQUIO CON IL GIUDICE ITALIANO – di Alessandro Butticè
BRUXELLES\ aise\ - Giudice presso il Tribunale dell’Unione Europea dal 17 Settembre 2012, Guido Berardis è nato nel 1950 e si è laureato in giurisprudenza presso l’Università di Roma, La Sapienza, nel 1973. Dopo il Diploma di studi di alto livello europeo presso il Collegio d'Europa di Bruges, è diventato funzionario della Commissione delle Comunità europee (direzione Affari internazionali della direzione generale dell'Agricoltura, 1975-1976). Membro del servizio giuridico della Commissione delle Comunità europee (1976-1991 e 1994-1995) e poi rappresentante del servizio giuridico della Commissione delle Comunità europee a Lussemburgo (1990-1991), è stato anche referendario con il giudice Mancini alla Corte di giustizia delle Comunità europee (1991-1994).
Dopo essere stato consigliere legale dei Commissari europei Monti (1995-1997) e Bolkestein (2000-2002), è diventato direttore della Politica degli appalti pubblici (2002-2003), della direzione dei servizi, proprietà intellettuale e industriale, protezione dei media e dei dati (2003-2005) e della direzione dei servizi (2005-2011) della direzione generale del Mercato interno della Commissione Europee, prima di divenire Consigliere giuridico principale e direttore del gruppo di giustizia, libertà e sicurezza, diritto civile e diritto penale presso il servizio giuridico della Commissione europea (2011-2012).
Dopo sette anni di mandato presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dove ha svolto la sua alta funzione come uno dei più apprezzati giudici del Tribunale, che poteva anche ambire a presiederlo, se gli fosse stato rinnovato il mandato dall’Italia, il 26 settembre 2019 ha lasciato la funzione e lo abbiamo pertanto intervistato.
D. Quanti sono e come avviene la nomina dei giudici italiani della Corte di Giustizia dell’Unione Europea?
R. La Corte di Giustizia comprende la Corte propriamente detta e il Tribunale. Secondo il Trattato (Statuto della Corte di Giustizia) la Corte è composta da un giudice per ogni Stato membro (ad oggi 28) e, sempre ad oggi, da 11 Avvocati generali: fra questi ultimi, quelli corrispondenti ai cosiddetti grandi Stati membri sono fissi, mentre gli altri sono nominati a rotazione. Il Tribunale comprende invece almeno un giudice per Stato membro. A seguito di una famigerata riforma del 2015, il numero dei giudici è stato raddoppiato a 56, due per ogni Stato membro. Ogni Stato membro ha il diritto di designare un giudice e un avvocato generale alla Corte e due giudici al Tribunale. Fino al Trattato di Lisbona, le designazioni degli Stati equivalevano ad una vera e propria nomina; con Lisbona è stato introdotto dall’articolo 255 un Comitato di sette alte personalità del mondo giudiziario dell’Unione, non per selezionare i candidati, ma per valutare l’adeguatezza alla funzione del candidato designato dallo Stato membro, sulla base non solo dei titoli, ma anche di una sorta di esame orale davanti al Comitato stesso. Il parere del Comitato (che non è pubblico) non è formalmente vincolante, ma lo è di fatto: nessuno Stato membro ha mai contestato le sue prese di posizione, anche e soprattutto nei non rari (ad oggi una ventina) casi di parere negativo (anche l’Italia ne è stata vittima una volta). In diversi Stati membri esistono procedure di designazione complesse, che implicano anche capi di Stato e Parlamenti. In altri non esistono vere procedure e le designazioni vengono fatte dai governi, normalmente in base ai titoli. In Italia, per decenni è stata applicata una procedura semplificata. Solo nel 2018, e per di più nel caso di rinnovi di mandato, è stata inventata una procedura farraginosa, sulla quale, per carità di patria, preferisco stendere un velo pietoso… Si è trattato di una vera e propria procedura ad personam, o piuttosto contra personam, della quale sono stato vittima.
D. Le avrebbe davvero fatto piacere essere rinnovato nell’incarico per un altro mandato?
R. Il mandato di un giudice è di sei anni ed è rinnovabile. In genere gli Stati membri rinnovano i mandati dei giudici uscenti che lo desiderino, e che non abbiano demeritato, anche in omaggio ad un principio di necessaria stabilità della giurisdizione, sei anni essendo un periodo un po’ breve per sfruttare al massimo l’esperienza acquisita. L’Italia ha sempre rinnovato il mandato di un giudice uscente, salvo nel mio caso, quando, ad iniziativa del ministro degli esteri pro-tempore, del quale sono stato in passato diretto collaboratore, e forse ispirato da considerazioni più personali che istituzionali, ha deciso diversamente, trascinando nella stessa sorte anche il secondo giudice italiano. Avevo chiesto il rinnovo, confidando sia nella tradizione granitica della politica italiana in materia, sia nel fatto, lasciando da parte ogni falsa modestia, che, durante il mio mandato, avevo conquistato la stima e la fiducia dei colleghi, che mi hanno eletto Presidente di sezione per tutto il mandato, con non trascurabili prospettive di incarichi più elevati. Avevo auspicato una mia permanenza al Tribunale anche perché ritengo che avrei potuto offrire un solido contributo alla gestione di una giurisdizione che sta attraversando un periodo non facile, in ragione dei basilari mutamenti frutto della riforma che ha portato al raddoppio del numero dei giudici. E poi, avrei voluto prolungare il piacere di un lavoro che, per un giurista che ha dedicato 45 anni di carriera professionale al diritto comunitario, ne costituisce un vero e proprio coronamento…Applico, con i dovuti distinguo, il detto dantesco: “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandar” e mi accingo a riscoprire aspetti della vita per lungo tempo colpevolmente trascurati.
D. Cosa ricorderà con maggiore o minore piacere del suo mandato come giudice al Tribunale?
R. Sono stato affascinato dall’interesse e dalla varietà del lavoro giurisdizionale svolto, che mi ha obbligato a dare fondo a tutte le mie conoscenze in materia di diritto dell’Unione nei campi più diversi e a formarne di nuove. Ho diretto con immenso piacere, come Presidente di sezione, decine e decine di udienze dove la dialettica giuridica costituisce un vero piacere intellettuale. Mi sono potuto confrontare, nei miei rapporti con i colleghi, a tradizioni e culture giuridiche diverse, che mi hanno molto arricchito professionalmente e umanamente. L’unico aspetto un po’ deludente è stato costatare un eccesso di politically correct, che ad uno come me, abituato a dire sempre quello che pensa e a pensare sempre quello che dice, ha dato non poco fastidio.
D. Di cosa va più fiero del suo mandato?
R. Di due cose essenzialmente. La prima è di essere riuscito a raggiungere probabilmente la più alta produttività, in termini di cause concluse, tra i miei colleghi. E parlo solo delle cause in cui sono stato relatore. Se si aggiungono le cause di altri giudici che ho dovuto seguire come Presidente di sezione, penso di essere arrivato a dei livelli difficilmente eguagliabili…Tanto per fare un paragone, la produttività del mio predecessore, che altri non è che il famoso ministro dai due cognomi, era arrivata a malapena ad un terzo della mia… La seconda è quella di aver costituito un gabinetto di altissima qualità professionale, fatta di competenze vastissime nonché di coscienza professionale e lealtà a prova di bomba, alla quale si è aggiunta una convivialità pressoché familiare, che poi è il segreto del successo.
D. C’è qualcosa che avrebbe voluto fare e non le è stato possibile fare?
R. Difficile da dire, perché credo di aver avuto la fortuna di poter fare tantissime cose. Forse l’unica cosa è quella di non aver potuto, a causa del mancato rinnovo, mirare alla Presidenza del Tribunale. Ovviamente, non ci sarebbe stata una garanzia assoluta, dal momento che l’elezione del presidente risponde a logiche non sempre prevedibili e controllabili. Tuttavia, penso che avrei avuto concrete possibilità e una eventuale elezione mi avrebbe permesso di lavorare per migliorare i meccanismi di funzionamento della giurisdizione e tentare di portare a quel livello il modello di funzionamento applicato nel nucleo del mio gabinetto. Sarebbe troppo lungo entrare nei dettagli, ma, in fondo, sognare non costa nulla…
D. Toghe rosse e toghe blu. Qual è la differenza tra i giudici della Corte e quelli del Tribunale, a parte il colore delle toghe?
R. Per completezza, va ricordato che sono esistite anche le toghe verdi, quelle dei giudici del fu Tribunale della funzione pubblica, soppresso nel 2016, dopo dieci anni di onorevole ed onorata attività…Forse non è questa la sede di andare nei dettagli delle diverse competenze delle due giurisdizioni, che, visivamente, si distinguono non solo per il colore delle toghe, ma anche per il numero dei giudici che le compongono. Mi limiterò a dire che il Tribunale, chiamato, in diverse lingue, “Tribunale generale”, è il giudice di terreno, il giudice del cittadino, competente per tutti i ricorsi contro gli atti delle istituzioni, in tutti i settori del diritto dell’Unione, dalla concorrenza agli aiuti di Stato, dal dumping alle misure restrittive, dagli appalti all’accesso ai documenti, dai ricorsi dei funzionari delle istituzioni ai marchi, i quali ultimi costituiscono un terzo abbondante del contenzioso…etc. Contro le sue sentenze, è ammesso il ricorso in cassazione (il famoso “pourvoi”) davanti alla Corte, che può essere con o senza rinvio, un po’ come davanti alla nostra Cassazione. Le toghe rosse invece, oltre ai pourvois, sono competenti, essenzialmente, per i ben noti ricorsi pregiudiziali, che sono il fiore all’occhiello della giurisdizione, per le procedure di infrazione ed i pareri sugli accordi internazionali. Si tratta di competenze di altissimo profilo che fanno della Corte la cerniera del diritto dell’Unione: sono famosissime molte sentenze pregiudiziali (da ricorsi spesso provenienti dall’Italia) che hanno fissato i principi fondamentali del diritto dell’Unione, senza le quali, è stato detto, l’Unione non sarebbe quella che è oggi. La Corte di Giustizia, intesa come Corte e Tribunale, sta vivendo un momento particolarmente complesso. L’Unione oggi non è più la Comunità, direi abbastanza semplice, degli inizi della bella avventura. Numero di Stati membri quasi quintuplicato, competenze amplificatesi a dismisura, contesto politico, economico e sociale inimmaginabile all’epoca del Trattato di Roma, panorama internazionale irriconoscibile…Queste sono le sfide di una giurisdizione, che, a pensarci bene, è diventata la più grande del mondo, chiamata a gestire un ordinamento giuridico per oltre mezzo miliardo di cittadini: “God save the Court”! Se posso fare un piccolo appunto alle toghe rosse (come ho esplicitamente fatto al momento della mia partenza) è quello di soffrire di una sorta di complesso di superiorità nei confronti delle toghe blu, che si manifesta in tante decisioni e in tanti atteggiamenti. Ciò ha un’origine storica, che si è mantenuta di generazione in generazione di giudici. Pur riconoscendo l’importanza primordiale delle competenze delle toghe rosse, credo che il Tribunale meriti la massima considerazione: in fondo, basti pensare all’apologo di Menenio Agrippa per convincersene.
D. Alla luce della sua esperienza, come vede il futuro dell’Unione europea?
R. Si potrebbe dire e scrivere molto su questo. Sono arrivato alla Commissione europea giovanissimo, nel 1975, all’indomani dell’adesione del Regno Unito, un’epoca in cui computer e telefonini potevano essere immaginati soltanto da un Giulio Verne moderno…Per tornare a Roma spendevo un terzo del mio, pur non così basso, stipendio…visita in banca obbligatoria…esibizione di passaporti ad ogni frontiera…e mi limito agli aspetti più eclatanti…Eppure, l’entusiasmo era alle stelle, ognuno si sentiva investito di una missione, e sono state fatte tantissime cose. Oggi, a parte la ferita sanguinosa della Brexit, la cosa più triste che vedo è che tutto è dato per acquisito, come se il passato non esistesse…Non solo, ma troppi ritengono l’Unione all’origine di tutti i mali…Le successive crisi hanno indotto gli Stati Membri a rinchiudersi, nell’illusione di proteggersi, la solidarietà è diventata una vana parola…e potrei continuare per ore. E allora, dico soprattutto ai giovani: non lasciatevi influenzare da chi vorrebbe distruggere la più bella invenzione della storia del vecchio continente: se l’Unione non esistesse, occorrerebbe inventarla. E sono, malgrado tutto, ottimista: l’Unione è un’idea e nessuno è mai riuscito ad uccidere un’idea. (alessandro butticé\aise)