"IL CLASSICO SI FA POP" AL MUSEO NAZIONALE ROMANO

ROMA\ aise\ - Una storia che nasce da una scoperta nel rione Monti a Roma - quella dell’atelier di Giovanni Trevisan (1735-1803), detto il Volpato - e che racconta gusti, forme e mode dell’antico, dall’età classica ai giorni nostri, passando per la stagione del Grand Tour, quando nasce il gusto per il souvenir. È questa la trama della mostra "Il classico si fa pop. Di scavi, copie e altri pasticci", allestita in due delle sedi del Museo Nazionale Romano: Crypta Balbi e Palazzo Massimo.
La rassegna, che si è aperta il 14 dicembre scorso e proseguirà sino al 7 aprile 2019, è promossa dal Museo Nazionale Romano con Electa ed è ideata da Mirella Serlorenzi che l’ha curata con Marcello Barbanera e Antonio Pinelli.
"Un’esposizione che è stata pensata per essere divulgata al grande pubblico attraverso una chiarezza narrativa che si è giovata ampiamente della tecnologia, per rendere manifesti temi e contenuti che altrimenti sarebbero rimasti nascosti", spiega Daniela Porro, direttore del Museo Nazionale Romano.
Un caleidoscopico allestimento ricorre a proiezioni e magici giochi di luci e ombre per moltiplicare, scandire, accentuare forme, innesti, imitazioni, multipli e trasformazioni cominciando con la narrazione di Volpato e della sua fabbrica di ceramiche.
Noto artista e incisore, amico di Antonio Canova e di Angelica Kaufmann, contava tra i suoi clienti il re Gustavo III di Svezia e l’imperatrice Caterina II di Russia. Realizzava prodotti raffinati ed eleganti per un pubblico colto e d’élite: quello del Grand Tour, desideroso di possedere tanto originali di età romana, quanto repliche di piccole dimensioni.
Caratteristica del laboratorio di Volpato è la realizzazione di statuine a tutto tondo in biscuit, materiale che appariva più simile al marmo rendendo gli oggetti più vicini agli originali di età romana.
Preziosi sono gli esemplari in mostra, così come i suoi dessert, chiamati anche trionfi, costituiti da figurine che componevano un fastoso centro tavola.
Il Museo di Bassano del Grappa presta il maestoso Dessert di Bacco e Arianna, composto in origine da novantotto pezzi. Insieme ai lavori di Volpato, la rassegna non trascura altre produzioni di moda all’epoca del Grand Tour. In particolare oggetti e arredi in micromosaico con vedute di monumenti romani.
Non a caso la Crypta Balbi, museo sorto intorno a uno scavo urbano, ospita questa sezione della mostra.
A Palazzo Massimo, invece, viene messo in particolare evidenza il tema della serialità artistica in tutta la sua complessa varietà. Gli stessi Discoboli, qui conservati, dimostrano anche per l’età classica l’esistenza della riproduzione di opere d’arte da originali greci.
Sono circa una ventina gli esemplari antichi arrivati fino a noi e cinque di essi sono in mostra per mettere in evidenza il concetto di moltiplicazione. Ancora oggi il Discobolo resta un’immagine potente nella cultura contemporanea, come si evince dallo scultoreo torso fotografato da Mapplethorpe. Così come all’Ermafrodito dormiente, copia di epoca romana di una figura di età ellenistica, s’ispirano tanto Canova quanto Francesco Vezzoli.
Modello antico, versione neoclassica e contemporanea si fronteggiano, con significati distanti tra loro. I temi della rassegna sono approfonditi nel catalogo edito da Electa. Saggi critici, inoltre, rilevano l’attualità del classico nel Settecento e nell’Ottocento, ricordano i cenacoli culturali dell’epoca, lo sviluppo delle raccolte pubbliche di archeologia, i centri di produzione del souvenir, dalla litografia al dipinto alla ceramica, insieme ad una riflessione sulla figura dell’artista, in Grecia e nella contemporaneità. (aise)