ITALIANI IN MOSTRA ALL’ESTERO - di Massimiliano Tonelli

CLER. Veduta parziale della mostra di Luigi Fiano, A River (dalla serie)

ROMA\ aise\ - “Se c’è un problema, si cerca di capire da cosa deriva, si analizzano le soluzioni, si studiano i modelli che altrove sono stati utili per risolverlo, si decide quale rimedio applicare e, infine, lo si risolve. Prima ancora di concetti come ‘management’ e ‘amministrazione’, si tratta di buonsenso. Com’è noto, in Italia non è necessariamente così. I problemi spesso “convengono” più delle soluzioni e l’incapacità organizzativa ne pregiudica la soluzione, anche quando quest’ultima è oggettivamente semplice da conseguire. Inoltre i problemi rendono legittimo e giustificabile un atteggiamento a cui pochi hanno intenzione di rinunciare: la lagna, la lamentazione, la recriminazione”. Partono da qui le riflessioni che Massimiliano Tonelli affida all’editoriale che firma su “Art tribune” piattaforma di contenuti e servizi dedicata all’arte e alla cultura contemporanea, che lui stesso dirige.
““Gli artisti italiani vengono trascurati dal mondo, non considerati dalle grandi istituzioni, non ricevono ciò che meritano e, nonostante la loro qualità, elevata da ottocento anni, sono presenti in percentuali omeopatiche nelle grandi mostre e nei musei più importanti. Questo è dovuto a cosa? Ma ovviamente ai poteri forti dell’arte, alla finanziarizzazione o all’egemonia anglosassone”. Eccola, la lamentazione. Poi ti accorgi che l’assenza o la scarsa presenza degli artisti italiani in giro per il mondo è dovuta in larga parte a un motivo molto semplice: gli artisti degli altri Paesi hanno un sistema alle spalle che aiuta chi li invita, gestisce la logistica, viene incontro alle spese, sostiene musei e istituzioni che decidono di scommettere su nomi che non vivono nel Paese dove il museo stesso ha sede.
Se sei un direttore di un museo e devi organizzare una collettiva di dieci artisti hai bisogno, fra le altre cose, di far quadrare anche i conti. E questo è vieppiù importante negli ultimi anni. Se invitare artisti spagnoli, belgi, olandesi e tedeschi comporta una spesa che raddoppia quando si tratta di artisti italiani, è chiaro il motivo per cui gli artisti italiani sono presenti in misura inferiore. Ma perché questo avviene? Avviene perché gli artisti appartenenti ad altri sistemi-Paese hanno dalla loro organizzazioni pubbliche, para-pubbliche o private che incoraggiano il poter viaggiare e muoversi e sostengono le istituzioni straniere che li invitano. Significa che se io, museo poniamo inglese, invito un artista poniamo olandese, ho modo di attingere da tutto un sistema di sostegno economico olandese che copre le spese di viaggio dell’artista, le spese di trasporto, le spese di alloggio e così via.
UN LAVORO SINERGICO
Bastava, come dicevamo in premessa, analizzare il problema, parametrarsi con chi l’ha risolto, affrontarlo. Non si fa mai, non si è fatto per tanti anni… Beh, stavolta invece si è fatto eccome! Lo abbiamo capito, signori. E stiamo risolvendo. Da Londra a New York è tutto un fiorire di megamostre di artisti italiani, anche giovani ed emergenti, che finalmente vengono invitati spesso e volentieri. Quindi, a quanto pare non c’era un complotto pluto-massonico contro di noi, c’era solo la nostra innata incapacità di organizzarci. È bastato poco, pochissimo, e il problema si è risolto o quantomeno si è messo sulla corretta via della risoluzione.
Hanno contribuito a questo, in maniera piuttosto spontanea ma per una volta sinergica, istituzioni e fondazioni private, fondazioni pubbliche (encomiabile il lavoro della Quadriennale) e, udite udite, persino il Governo che, con l’Italian Council, ha scoperto l’acqua calda. Ma i nostri fondamentali, per solito mortificati da una gestione approssimativa, sono così sexy che anche solo la scoperta dell’acqua calda può bastare a renderli fruttuosi in tutto il mondo”. (aise)