LA RICERCA CHE CI PIACE

ROMA – focus/ aise – Settimana davvero intensa per il mondo scientifico italiano. Dal Cnr, per esempio, un nuovo studio sulla Rift Valley africana che potrebbe riscrivere la storia dell’evoluzione umana.
Le rift valley continentali sono processi geodinamici che si manifestano con grandi fratture nella superficie terrestre (rift in inglese significa spaccatura, rottura). La loro espansione, nel tempo, provoca la rottura delle placche continentali e la formazione di nuovi bacini oceanici.
La Rift valley africana è un esempio classico di questi processi geodinamici, il cui sviluppo risulta fondamentale per controllare morfologia, clima e biosfera in Africa orientale e comprendere le relative implicazioni per l’evoluzione della nostra specie nella ‘culla dell’umanità’. Un gruppo di ricercatori, coordinato da Giacomo Corti dell’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igg), provenienti da università ed enti di ricerca di diversi paesi (Etiopia, Francia, Germania, Italia, Nuova Zelanda e Regno Unito), ha ottenuto nuovi dati sullo sviluppo recente della Rift valley africana. Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications, nel quadro di un progetto finanziato dalla National Geographic Society. I risultati hanno mostrato come il Rift del Ririba sia nato dalla propagazione verso sud della Rift valley etiopica intorno a 3.7 milioni di anni fa; tuttavia, in contrasto con precedenti teorie sull’evoluzione del processo di rifting nella regione, i nuovi dati mostrano come questa propagazione sia stata di breve durata e si sia interrotta da circa 2.5 milioni di anni. Cambiamo argomento: Si prevede che la domanda mondiale di energia sia destinata a raddoppiare entro il 2050. Per affrontare questa sfida, c’è bisogno non solo di fonti energetiche pulite (e il sole è tra le migliori opzioni), ma anche del miglior modo possibile per conservare l'energia solare in grande quantità e per lunghi periodi di tempo. Gli attuali combustibili, grazie ad una elevata densità di energia che può superare di gran lunga anche le batterie più performanti, rispondono egregiamente a tale esigenza di accumulo dell’energia. Di contro, però, la loro origine fossile può creare enormi problemi di natura ambientale in fase di estrazione, ma soprattutto a causa delle emissioni di anidride carbonica associate al loro consumo che contribuiscono all’effetto serra e al cambiamento climatico in corso.
È per questo motivo che sono in corso nel mondo ingenti sforzi scientifici per lo sviluppo di tecnologie efficienti e robuste per la conversione dell’anidride carbonica in combustibili sfruttando l’energia solare. In questo contesto si inserisce il progetto “SoFiA - Soap Film based Artificial Photosynthesis”, che è stato appena finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del prestigioso programma H2020-FETOPEN, risultando il primo classificato su oltre trecento proposte. Del consorzio che lo ha proposto fa parte anche il Politecnico di Torino.
SoFiA mira al cuore del problema tecnologico, ovvero la realizzazione di membrane a basso costo in grado di convertite l’anidride carbonica in combustibile in maniera robusta e per lunghi periodi di tempo.
“Progettare” gli scarti aziendali per incrementarne il riutilizzo. È questo l’obiettivo del progetto “PROPER Umbria” (PROgetto Pilota per l’Efficienza delle Risorse), condotto da ENEA in collaborazione con Sviluppumbria e la multinazionale Meccanotecnica Umbra che si è resa disponibile alla sperimentazione pilota.
“Il progetto si basa sulla diagnosi delle risorse, similmente a quanto fanno le aziende in campo energetico per stabilire quali interventi occorrono per migliorare l’efficienza”, spiega Laura Cutaia, la responsabile del laboratorio ENEA “Valorizzazione delle risorse”, che coordina il progetto PROPER Umbria. (focus\ aise)