L’IMPORTANZA DELLA MEMORIA
ROMA – focus/ aise – Era il 17 dicembre del 1854, quando l’imperatrice del Brasile, Teresa Cristina Maria di Borbone, principessa di Napoli, figlia del re delle Due Sicilie, riuniva 26 esponenti della collettività italiana, presente a Rio de Janeiro, per creare quella che sarebbe stata la prima associazione beneficente italiana all’estero: la Società Italiana di Beneficenza e Mutuo Soccorso. Primi firmatari, lo stesso imperatore, don Pedro II, e l’imperatrice. Tra i 26 sottoscrittori, spiccavano i nomi di illustri medici, di urbanisti, di commercianti. Il primo presidente fu il dottor Cesare Persiani, bolognese che, per la sua attività a favore della popolazione bisognosa, fu nominato barone e morì, a Genova, come console del Brasile in quella città.
Con l’arrivo in Brasile della futura imperatrice, infatti, il 3 settembre del 1843 giunsero cortigiani, amici e persone di fiducia, ma si aprirono anche le porte all’emigrazione italiana. Non a caso, ogni anno giungevano piccoli commercianti, professionisti e specialisti in qualche ramo dell’industria.
Il primo nucleo, che possiamo chiamare di pionieri dell’emigrazione italiana, a differenza delle collettività portoghese e spagnola, non aveva i mezzi per combattere le malattie, le disgrazie improvvise che potevano abbattersi su ciascuno di loro. Mancavano le condizioni per poter soccorrere i connazionali che il clima o la mancanza di lavoro avevano gettato in cattive acque senza risorse, senza lavoro, fiduciosi, appena, nella solidarietà dei connazionali.
Oltretutto, l’Italia di quell’epoca era ancora divisa in tanti staterelli, e l’unità era sentita da una minoranza di patrioti. Si trattava, pertanto, di riunire, in maniera armonica, elementi discordi per politica, malgrado appartenessero alla stessa terra e parlassero la stessa lingua. La SIBMS riuscì a compiere il miracolo e fu, in un certo grado, la precursora dell’unità d’Italia. Il destino volle che la costituzione della società avvenne presso il consolato dell’allora regno di Sardegna, lo stesso regno che, riunendo il nostro paese, eliminò il regno delle Due Sicilie.
L’imperatrice fu molto impegnata nella promozione morale, in aiuti materiali e finanziari alla Società, incoraggiandone i membri in ogni modo e offrendo loro la sua protezione. Ma la sua attività benefica non si limitava, appena, all’aiuto ai connazionali, ma era aperta a tutti coloro che soffrivano, tanto che fu chiamata la madre dei brasiliani.
La Società italiana, in questi 165 anni di vita, ha attraversato momenti molto felici, svolgendo, per molti anni, dopo la caduta dell’impero e l’avvento, in Brasile, della repubblica, le funzioni di rappresentante dell’Italia in Brasile, praticamente sostituendo l’ambasciata del nostro paese.
Si susseguirono, nel corso degli anni, uomini insigni, che dettero il loro contributo al progresso del Brasile nella medicina, nell’arte, nell’industria. Il primo piano urbanistico di Rio de Janeiro fu opera dei fratelli Farani. Il primo film fu girato da un italiano, Alfonso Segreto. Nel settore della musica, fu molto grande la presenza italiana. Lo stesso carnevale di Rio, quello di strada, fu modernizzato da un ex presidente della SIBMS, Giuseppe Stoppiani, che vi introdusse le maschere della Commedia dell’arte, i coriandoli e le stelle filanti.
Tra i soci onorari, troviamo, oltre al re d’Italia Vittorio Emanuele III, Guglielo Marconi, Eleonora Duse, oltre a personaggi molto importanti brasiliani.
In occasione del centenario, un sostanzioso gruppo di soci decise di costruire un centro ospedaliero, al quale i soci potessero accedere per ricevere qui le cure mediche. Purtroppo, la miopia di alcuni, la mancanza di attenzione da parte di alcune autorità consolari, hanno fatto in modo che l’ospedale italiano cessasse, come tale, le sue attività, ma la SIBMS comunque continua più viva che mai.
“I nostri connazionali dell’Istria, del Carnaro e della Dalmazia sperimentarono tra i primi in Italia le logiche della Guerra fredda come contrapposizione tra un occidente libero e democratico, che 70 anni fa dette vita alla Nato come strumento di difesa, ed un blocco comunista totalitario”. Partono da qui le riflessioni di Renzo Codarin, Presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che aggiunge: “dopo le avvisaglie delle prime uccisioni nelle foibe avvenute all’indomani dell’8 settembre 1943, i nostri connazionali patirono le stragi commesse dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito a guerra finita nei Quaranta giorni del maggio-giugno 1945”.
“Seguì lo stillicidio di uccisioni nella zona sotto amministrazione militare jugoslava, in cui andava consolidandosi la dittatura di Belgrado (il martirio di Don Bonifacio e l’eliminazione dei partigiani del nuovo CLN dell’Istria, ad esempio). Fu così – continua Codarin – che le potenze occidentali rappresentarono una possibile protezione ed un baluardo contro l’espansionismo jugoslavo, di cui avevamo colto le caratteristiche snazionalizzatrici e liberticide. La resa incondizionata firmata dal Regno d’Italia nel 1943 aveva tolto qualunque facoltà di intervento alle istituzioni italiane, mentre le prime crepe nella coalizione antinazista fecero sì che inglesi ed americani si interessassero maggiormente alle sorti dell’Adriatico”.
“Il porto commerciale di Trieste e quello militare di Pola – ricorda il Presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia - passarono sotto controllo alleato dopo l’accordo di Belgrado nel giugno 1945, dando l’illusione che almeno il capoluogo istriano si sarebbe salvato dalle mire jugoslave, anche se l’attentato di Vergarolla dimostrò che pure qui gli emissari titoisti potevano colpire mortalmente. L’accoglienza concessa ai fuggitivi dalle dittature comuniste che andavano rafforzandosi in Europa consentì anche a migliaia di esuli giuliani, fiumani e dalmati di trovare una nuova sistemazione in grandi paesi che avrebbero fatto parte dell’alleanza atlantica o ne sarebbero stati partner (Stati Uniti, Canada, Australia). L’amore per la Patria e per la libertà che contraddistingue l’italianità adriatica non poteva sopravvivere sotto l’oppressione titoista, ma si salvò, benché costretto all’esilio, grazie alla Nato, che ha garantito la pace, la sicurezza e la libertà in un’Europa uscita annichilita dalla Seconda guerra mondiale e nel mondo “occidentale”. Si crearono così i presupposti affinché gli esuli adriatici potessero cominciare una nuova vita in paesi liberi, democratici e sicuri: è bene ricordarlo – conclude – nel momento in cui l’assetto della Nato è in discussione”. (focus\ aise)