MADURO VICINO AL PRECIPIZIO, E AL SUO MINISTRO ALL’ONU VIETATO FAR DOMANDE – di Giulia Pozzi

NEW YORK\ aise\ - “Il governo di Nicolas Maduro non è mai stato così debole. Evidenti segnali di instabilità continuano ad arrivare almeno dal giorno in cui ha prestato solenne giuramento per il suo secondo mandato, mentre il suo Paese veniva progressivamente isolato politicamente. Martedì, i leader dell’opposizione hanno infatti dato inizio a un processo che, sperano, potrebbe portare a cacciare il Presidente e a formare un governo provvisorio, in attesa di nuove elezioni. L’Assemblea Nazionale, corpo legislativo controllato dall’opposizione, ha dichiarato Maduro “illegittimo”, nel tentativo di innescare un meccanismo costituzionale che consenta al capo dell’Assemblea, Juan Guaidó, di prendere la leadership. Guaidó, dal canto suo, si è detto pronto a subentrare come Presidente, per poi indire nuove elezioni nel caso in cui venezuelani ed esercito siano dalla sua parte. Il leader dell’opposizione ha anche citato un articolo della Costituzione venezuelana, che trasferisce il potere al presidente dell’Assemblea Nazionale nel caso in cui la presidenza sia vacante”. Ne scrive Giulia Pozzi su “La voce di New York”, quotidiano online diretto da Stefano Vaccara.
“Ulteriori segnali di debolezza del governo Maduro sono giunti dall’esterno: il principale è stato il messaggio di supporto giunto dal vicepresidente USA Mike Pence alla “coraggiosa leadership” di Guaidó. Pence ha confermato peraltro “il risoluto sostegno degli Stati Uniti all’Assemblea Nazionale, come unico organo democratico legittimo del Venezuela”. Poco prima, su Twitter aveva addirittura espresso pieno supporto alla “coraggiosa decisione di Juan Guaidó” di “dichiarare la presidenza del Paese vacante”.
Ma gli Stati Uniti non sono i soli ad aver esplicitamente dato seguito alla via dell’”illegittimità” del secondo mandato di Maduro. Luis Almagro, segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani, ha addirittura definito Guaidó “presidente ad interim”. E poco dopo l’inaugurazione del successore di Chavez, anche Canada, Colombia, Brasile, Perù e Argentina hanno pienamente sposatola strategia dell’opposizione interna e degli Stati Uniti. Questi Paesi hanno definito il governo del Presidente venezuelano “dittatoriale e oppressivo”.
Nel loro recente incontro, i presidenti di Argentina e Brasile – Mauricio Macri e Jair Bolsonaro – hanno condannato senza giri di parole la “dittatura di Nicolas Maduro”. “Non accetteremo questo affronto alla democrazia”, ha affermato Macri. Intanto Maduro aveva definito due giorni prima il nuovo presidente brasiliano di destra Bolsonaro come un “Hitler dei nostri giorni”.
La tensione è salita anche con la Colombia, che Maduro ha accusato nelle scorse settimane di aver ordito con gli Stati Uniti un tentativo di estrometterlo con la forza dal potere. A sua volta, Bogotà sta investigando su ipotetiche trame per assassinare il presidente Ivan Duque, che potrebbero coinvolgere tre venezuelani, arrestati negli scorsi giorni in possesso di armi pesanti.
Ulteriore segnale di debolezza, l’arresto-lampo di Guaidó, da parte di uomini che lo avrebbero minacciato con una pistola puntata addosso, lo avrebbero spinto in un’auto e gli avrebbero chiesto informazioni suoi piani di assumere la leadership del Paese e convocare nuove elezioni. Al New York Times, Guaidó ha raccontato di aver rassicurato gli uomini sulla possibilità, per tutti coloro che li avrebbero supportati, di ottenere un’amnistia. E il fatto che il leader sia stato rilasciato potrebbe indicare la presenza di alcune falle nell’apparato di sicurezza che ha tenuto fino ad oggi Maduro al potere. Non solo: Jorge Rodríguez, ministro delle Comunicazioni, ha definito l’arresto “arbitrario”, negando che fosse stato ordinato dal Governo.
Al fianco di Maduro, sono rimasti pochi influenti attori della scena internazionale: in primis, la Russia di Vladimir Putin – che ha accusato gli USA di voler destabilizzare i Paesi non allineati – e la Turchia di Tayyp Recep Erdogan – a cui Maduro ha concesso in esclusiva di sfruttare i giacimenti di oro, coltan e diamanti venezuelani, lasciandole anche il 45% dei profitti –.
Ennesimo segnale di debolezza, la conferenza stampa-monologo che il ministro degli Esteri Jorge Arreaza ha tenuto alle Nazioni Unite. Una conferenza in cui, sventolando la Costituzione venezuelana e la Carta dell’ONU, ha gridato a un ritorno del fascismo a livello mondiale e accusato gli Stati Uniti di interferire (da tempo) negli affari interni del Paese. Il Ministro ha anche contestato la definizione di “dittatura” appiccicata alla leadership di Maduro da esponenti di governi stranieri, che, a suo avviso, è un insulto al popolo venezuelano. Un popolo – ha aggiunto – che ha davvero conosciuto la dittatura, e l’ultima volta è stato 61 anni fa. Un discorso che non ha lasciato spazio alle domande della stampa, circostanza insolita al Palazzo di Vetro e non prevista, che ha lasciato di stucco i giornalisti accorsi al press briefing.
Un quadro che ancora, però, non depone chiaramente a favore di uno dei due epiloghi possibili: e cioè che, proclamato un nuovo Presidente supportato dagli Stati Uniti, Maduro scelga la via della resistenza e scoppi una vera e propria guerra civile, oppure che si faccia da parte, magari agevolato da un piano d’uscita precedentemente negoziato.
Intanto, ci si interroga sulla sorte dei quasi 200mila emigrati italiani nel Paese bolivariano e dei circa due milioni di italiani oriundi. Persone che, secondo le cronache, in moltissimi casi si riversano nei consolati chiedendo di tornare nel Belpaese, ma le cui domande restano bloccate anche per via dell’assenza di una precisa risposta politica da parte dell’Italia”. (aise)