RIPARTIRE DALLA STRAGE DI VERGAROLLA – di Antonio Ballarin

FIUME\ aise\ - "Ogni anno le celebrazioni per la commemorazione della strage alla stazione di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980 – erroneamente o volutamente scambiata come la "più grande strage dal dopoguerra" –, occupano grande spazio sui media italiani e, spesso, quelle manifestazioni diventano elemento di dialettica politica, in ogni caso la risonanza che esse trovano è sempre molto significativa nel panorama della comunicazione. Non altrettanto si può dire di Vergarolla, taciuta, obliata, nascosta, travisata fino a che, negli ultimi anni, qualche squarcio di luce ha cominciato a penetrare la nebbia causata da una cortina fumogena ad arte organizzata e mantenuta per decenni". Parte da qui la lunga riflessione che Antonio Ballarin, presidente di FederEsuli, affida ad un articolo pubblicato oggi sulla versione on line de La Voce del Popolo, quotidiano dell’Istria e del Quarnero, ad una settimana dall’anniversario della triste strage.
"Io stesso ne sono un testimone diretto: quest’anno, proprio per la ricorrenza e a distanza di 73 anni, per la prima volta la RAI ha mandato in onda a livello nazionale un ricordo sulla vicenda. Non solo: è stato inserito nel palinsesto della TV pubblica, sempre in quella data, il docufilm "L’ultima spiaggia", prodotto dal nostro Alessandro Quadretti (figlio di esuli) e al quale hanno partecipato attivamente, per la sua realizzazione, le nostre Comunità raccolte sotto la sigla della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati (FederEsuli).
Le richieste
Insomma, dopo decenni di oblio, la strage di Vergarolla comincia a essere nota al pubblico italiano ed è su quest’onda d’interesse che la stessa FederEsuli ha chiesto a più riprese e in varie occasioni alle massime autorità dello Stato italiano, l’istituzione di una Commissione parlamentare su questa strage, reato che non va mai in prescrizione e secondo la legislazione e del quale, tra l’altro, non mi risulta che sia mai stata nemmeno depositata una denuncia in una qualche Procura.
Un docufilm che va in onda, qualche passaggio sulla RAI nazionale che ricorda la vicenda, la visita ufficiale di un paio di ministri della Repubblica Italiana da me guidati a suo tempo al cippo che ricorda la vicenda (Affari esteri, Alfano e Salute, Lorenzin), possono sembrare poca cosa, ma non è di certo "poca cosa" in una società affetta dal male incurabile della distrazione e della dimenticanza. Tanto più che il ricordo di ciò che accadde, in questi anni, si è trasformato da "fatto provinciale" quanto meno a evento che merita una risonanza nazionale, come è giusto che sia per celebrare una memoria di siffatta portata.
Dunque, grazie al lavoro delle "persone che hanno memoria", come quelle delle nostre Associazioni e delle nostre Comunità, la vostra testata e tanta gente di buona volontà, questo triste episodio conquista un minimo di adeguata rilevanza. Incomparabile agli spazi dedicati a quanto susciti la strage di Bologna, ma, per lo meno, non del tutto trascurato, come lo è stato per decenni.
Tuttavia, pur esprimendo un’inevitabile e sincera soddisfazione per i risultati raggiunti in questi anni (abbattere un muro è sempre un’impresa non facile, soprattutto se lo si fa a mani nude, come siamo stati abituati noi dalla storia a farlo), la questione profonda che porta con sé la strage di Vergarolla è ancora intonsa e continua a richiedere a gran voce una soluzione che va al di là della semplice celebrazione commemorativa.
La frattura
Mi riferisco a un fatto semplice ed evidente: Vergarolla è stata ed è una frattura, un momento di discontinuità, un diabolico elemento di conflitto interiore, in grado di dividere in due un’anima. E la cosa ancora non si è risolta.
Vergarolla è "la" frattura, non solo fisica ma anche ideale, che vede una parte di un popolo, la stragrande maggioranza, andarsene in esilio, lasciando un’altra parte di popolo, un’esigua minoranza, in balia di un orco al quale non bastava aver vinto una guerra, ma, giocando come un gatto col topo, desiderava anche "riscrivere la storia" (come si conviene nelle peggiori dittature) di un’intera porzione di mondo, il nostro, col beneplacito delle potenze internazionali e alla faccia di duemila anni di eredità latina ed italofona.
Nelle lunghe riflessioni di questi anni sulla natura del mondo dell’Adriatico nord-orientale (non certo banale "laghetto", come vorrebbero certi storici, ma crocevia di conflitti e drammi epici dal Trattato di Campoformio ad oggi), è apparsa con sempre più evidenza una certa connotazione specifica dell’identità italiana-italofona in questa Regione. Più precisamente, non vi è ombra di dubbio che l’elemento istro-veneto e dalmato-veneto, grazie all’impostazione derivante dall’Impero romano e continuata con vigore nella Repubblica di Venezia, è un fattore integrante, non esclusivista, tutt’altro che razzista, cerniera piuttosto che cesura. Così come non vi è dubbio alcuno che i nazionalismi e le ideologie politiche, partendo dal tristemente noto Consiglio della Corona Asburgica del 12 novembre 1866 (evento che segna la data di partenza dell’odio etnico anti-italico istigato proprio dagli Asburgo), hanno operato come una Caterpillar su un territorio prospero, fervido, generativo, ma estremamente fragile alle ondate di barbarie succedutesi nella storia.
Esiste, dunque, un’anima "andata" e un’anima "rimasta". Senza un’adeguata ricomprensione dell’una nell’altra e viceversa non sarà mai possibile costruire né memoria né, tantomeno, prospettiva.
La prosecuzione storica
È necessario che l’attuale minoranza italofona in Istria, Quarnero e Dalmazia comprenda che l’anima di questo popolo è conservata gelosamente e solennemente celebrata in quella porzione di popolo che alla fine della Seconda guerra mondiale fu costretto a lasciare la propria terra. Tale minoranza, se non opera un lavoro serio sulla propria memoria che comprende in primis la terribile epopea dell’esodo, è destinata a scomparire in breve tempo o, al limite, ad essere rappresentata come vago ricordo folcloristico. È necessario, dunque, che questa minoranza studi la propria natura partendo dalla pulizia etnica di una parte di sé e di cui Vergarolla è emblema.
D’altro canto, è indispensabile che il popolo che deriva dall’Esodo giuliano-dalmata comprenda che la propria prospettiva identitaria, volenti o nolenti, è tutta dentro l’attuale minoranza italofona dell’Istria, del Quarnero e della Dalmazia. Pena, la riduzione della propria identità a pura azione nostalgica, cioè a sterile amarcord destinato a scomparire nel giro della prossima generazione. Cosa fare affinché questo popolo dalle due anime comprenda la necessità simbiotica per la sua prosecuzione storica? Questa domanda non ha una risposta univoca, semplice, lineare. Di certo un gran lavoro è stato fatto in questi anni, in maniera più o meno spontanea tra singoli, Associazioni e Comunità, partecipando a progetti comuni o, semplicemente, celebrando insieme le feste patronali nei luoghi d’origine.
La diffidenza
Esiste una diffidenza nella maggioranza slavofona nel vedere gli esuli o i loro discendenti tornare. Li chiamano "ospiti", offendendoli una volta di più, senza pensare che queste persone hanno un diritto innato ad appartenere alla propria terra e non possono essere di certo lieti nel sentirsi chiamati "ospiti" in ciò che a diritto sarebbe il proprio Heimat. Ma esiste anche la diffidenza strisciante della stessa maggioranza nei confronti della minoranza, l’altra parte della stessa anima, che progetta un futuro per sé e per la propria esistenza. Insomma, non si riesce a far comprendere fino in fondo che nessuno ha sentimenti revanscisti né revisionisti, ma che è altresì diritto di un uomo poter proclamare liberamente la propria identità e appartenenza, un fatto da accettare anche se disturba poiché richiamo a una storia e cultura a lungo osteggiate.
Forse proprio questa diffidenza della maggioranza della città di Pola nei confronti di questo popolo, variegato e generativo, ha impedito al sindaco di partecipare e intervenire ufficialmente alle celebrazioni di quest’anno. Se fosse mancato il sindaco di Bologna alla celebrazione della ricorrenza dell’attentato del 2 agosto 1980 ne sarebbe uscito un caso nazionale.
Certamente le Istituzioni, anche quest’anno, erano presenti, come ci raccontano le cronache (Davide Giugno, presidente della Comunità degli Italiani di Pola, Aleksander Matic, assessore al Comune, Paolo Demarin, per l’Unione Italiana), così come erano presenti le nostre Associazioni. Ma non basta. Se veramente occorre ricucire una frattura non basta una deposizione di una corona di fiori. Se queste due anime di un unico popolo non sono pronte a conoscere la storia reciproca, le fatiche e le speranze, una comune prospettiva identitaria e se non sono pronte a condividere una comune memoria, non ci sarà futuro, né per gli "esuli" né per i "rimasti".
L’idea
È assolutamente necessario costruire questa ricercata memoria comune e disegnare, al contempo, una prospettiva. Non bastano i viaggi delle Comunità nelle città italiane, né le visite delle nostre Associazioni nei luoghi di origine. Non bastano gli scambi culturali, i gemellaggi tra scuole, le sagre e il folclore. È necessaria una ricomposizione che tocchi il fondo della questione. Lo si potrebbe fare partendo da un’assemblea comune, proprio in concomitanza con la ricorrenza di Vergarolla. Un momento di incontro e dibattitto, come si faceva una volta nelle fumose e caotiche aule delle scuole, sognando un’utopia forse irrealizzabile, ma, come ci insegna Max Weber: "La politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe mai raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile".
Credo che sarebbe veramente bello, al di là delle diversità, delle polemiche, dei distinguo inevitabili nell’essere umano, vedere una sala piena di gente con dentro Associazioni e Comunità che dibattono di cosa siamo, di cosa fare, di come progettare un futuro che abbia l’identità come centro della discussione. Magari ripartendo da Vergarolla, da quella frattura immane, alla ricerca di una ricomposizione, alla ricerca di linee guida da elaborare in concetti da trasmettere come esempio al resto del mondo. Perché la nostra storia è quanto meno catalogabile come "internazionale", cioè di portata globale, non inferiore ad altre storie della nostra umanità.
Si potrebbe realizzare un incontro permanente proprio ripartendo da Vergarolla, alla presenza di sindaci, presidenti, ambasciatori, consoli e maggiorenti ma, soprattutto, con la partecipazione di gente comune, persone che vanno di qua e di là del confine sempre più liquido posto come barriera labile tra territori amministrativamente governati da Nazioni diverse, eppure con uno spirito in grado di unire quel Golfo di Venezia oggi chiamato Adriatico. È proprio l’impossibile di Max Weber che mette in moto la nostra passione, così struggentemente legata a una terra e un’identità comune a tutte e due le parti di quella stessa anima". (aise)