SOSTENERE I VENEZUELANI PER UNA SOLUZIONE DEMOCRATICA CONDIVISA DELLA CRISI – di Rino Giuliani

ROMA\ aise\ - Il Venezuela è un paese a noi vicino. Non potrebbe essere diversamente perché questo è il paese che ha accolto decine di migliaia di italiani che laggiù sono emigrati trovando nel riscatto del lavoro una vita nuova più degna per loro e per le loro famiglie.
Oggi gli italiani del Venezuela sono diverse decine di migliaia (oltre i 135 mila) ma molti di più sono i venezuelani di origine italiana.
Oggi il Venezuela si trova in una situazione economica peggiorata, gravissima, con livelli di inflazione altissimi e con povertà sempre più estesa. Dinamiche di accaparramento di merci di largo consumo e di medicinali, realizzato per finalità politiche, connotano una realtà già grave in sè. La solidarietà ed il sostegno in tutte le forme possibili da parte delle istituzioni italiane va ulteriormente indirizzata alla nostra comunità. Un’azione che metta in rete le diverse frammentate iniziative di associazioni, comitati, comuni, parrocchie che cercano di alleviare la grave situazione della popolazione per ciò che riguarda i bisogni primari quali l’alimentazione e la salute. Si pensi soprattutto agli anziani, alle donne e ai bambini.
L’economia è crollata e il bolivar, la moneta nazionale, è quasi carta straccia. La cripto moneta venezuelana - il “Petro” - , decisa dal governo, vede la Russia molto attiva negli acquisti vietati dagli USA.
In Venezuela si è in presenza di una crisi umanitaria cui non corrisponde una solidarietà internazionale come si dovrebbe.
Violazioni dei diritti umani vengono periodicamente denunciati.
Gli accadimenti politici di queste ore in Venezuela devono sospingere ad una analisi e ad una interpretazione non schierata, ma rispettosa di quanto avviene all’interno di uno Stato sovrano.
Lo schema a priori di chi vuol vedere una dittatura cui si contrappone una opposizione liberale, democratica non appare corrispondente alla realtà.
Oggi in Venezuela la Costituzione prevede l’elezione diretta del presidente della Repubblica e dell’Assemblea Nazionale. Un sistema analogo a quello che negli Usa funziona senza molti traumi.
In Venezuela le opposizioni, articolate fra loro, hanno scelto a suo tempo di non presentare candidati alle elezioni presidenziali, scegliendo una sorta di “Aventino”. Le opposizioni hanno invece partecipato a quelle parlamentari, dove si trovano in maggioranza e da ultimo hanno eletto nell’Assemblea Nazionale il presidente Juan Guaidò. Sempre democraticamente, con il voto, l’opposizione ha “conquistato” la capitale Caracas e molte realtà locali importanti del paese.
Le opposizioni (dalla destra estrema a formazioni “socialdemocratiche”) hanno a disposizione giornali e media che sparano ogni giorno “a palle incrociate” per la loro contestazione al governo, in piazza e nel parlamento. Sembra difficile sostenere, come si legge, il paradosso di un eccesso di democrazia per il sol fatto che esiste un pluralismo, una polverizzazione di partiti.
Questo quadro, tuttavia, non segnala di certo l’esistenza di una dittatura, ma certo di un governo e di un sistema fortemente autoritario, che si sostiene anche con una sua milizia, in cui la democrazia è debole quanto quella di Orban; un sistema, per questo, definito in Italia con neologismo giornalistico “democratura”.
La decisione di andare ad una assemblea costituente, se si guarda agli effetti a cascata, è stata una forzatura ed un errore.
L’assemblea nazionale esautorata è restata “in convivenza” con la nuova del governo, ma come mera sede di dibattito. In seguito alla sentenza del tribunale supremo di giustizia, che ha esautorato l'Assemblea Nazionale, e con il potere legislativo nelle sue mani, Maduro che ha convocato l’assemblea costituente, ha poi dato il via a quella nuova, diventata il vero organo legislativo del Paese e, nei fatti, una sorta di Consiglio dei ministri alle dirette dipendenze del presidente.
La costituzione, sempre nel luglio 2017, di una seconda alta corte di giustizia eletta dalle sole opposizioni e coesistente a quella voluta dalle forze di governo dà l’idea di una più generale instabilità istituzionale nella quale dall’esterno s’ingeriscono i governi.
Gli appelli fatti da papa Bergoglio, ripetuti nel tempo, a cercare la strada di una intesa fra forze di governo e opposizioni per un superamento condiviso della contrapposizione aperta non è stata accolta.
Nel 2017 il segretario di Stato del Vaticano, il cardinale Parolin, aveva provato a dissuadere dall’andare, nelle condizioni date, ad una Costituente non condivisa sottolineando che il criterio ispiratore doveva essere solo il bene della popolazione. “Bisogna trovare — aveva aggiunto il segretario di Stato — una maniera pacifica e democratica per uscire da questa situazione, e l’unica strada è sempre la stessa: ci si deve incontrare, parlare, ma seriamente, per farne uscire un cammino di soluzione”.
Maduro ha mostrato una inadeguatezza ad affrontare il peggioramento di una situazione economica e sociale che, fino a un certo punto, con Chavez, aveva consentito una redistribuzione della ricchezza a vantaggio dei cittadini più ai margini.
Maduro e Juan Guaidò rappresentano anche la conseguenza ed il risultato del tipo di sistema istituzionale vigente, che si è avvitato su se stesso e che è andato in stallo. I molti inviti, fatti da papa Bergoglio, ma anche da paesi non certo ostili al governo Maduro quali quelli del Messico, del Portogallo, della Spagna e dell’Uruguay, a trovare una soluzione condivisa per far uscire il Venezuela dallo scontro muro contro muro, non hanno dato esito. I governi che si sono succeduti in Italia fino ad ora hanno assunto un analogo atteggiamento senza esplicitamente schierarsi pro o contro il governo o le opposizioni.
L’intervento del presidente USA (“la mossa di Trump preparata da mesi” titola oggi il Corriere della sera) che, sovranista a corrente alternata, dà ora sostegno alla “opposizione democratica” e all’autoproclamazione di Juan Guaidò come “presidente ad interim” del Venezuela appare, non sorprendentemente, come la riproposizione della vecchia nota dottrina Monroe che identifica nei paesi di America il “cortile di casa” degli Usa i quali, proprio per questo, si sentono liberi di intervenire a gamba tesa nelle questioni interne di altri paesi.
Nella versione interventista, Trump promette di “esportare la democrazia” facendo balenare la forza. La stampa cita Shannon O’Neil, senior fellow per l’America latina al Council on Foreign Relations di New York, che mostra di non credere ad una ipotesi di intervento militare in Venezuela da parte degli Stati Uniti, argomentando in maniera tecnica gli effetti negativi di questa misura. “Il Venezuela non è Grenada o Panama, i due paesi latinoamericani invasi dagli Stati Uniti durante gli ultimi giorni della Guerra Fredda. Ha il doppio delle dimensioni dell’Iraq, con una popolazione solo leggermente più piccola, e si trova sull’orlo del caos. Qualsiasi invasione richiede preparativi su scala simile”.
La Russia e la Turchia hanno comprato e comprano grandi quantità della criptomoneta “Petro”, garantita dalle riserve di petrolio: la Cina in cambio di petrolio a prezzi stracciati ha dato ad oggi miliardi di dollari al Venezuela. Due convitati di pietra che si presume non staranno a guardare le mosse di Trump.
In questo quadro, in cui l’iniziativa di Trump delle ultime ore è quella di riconoscere e sostenere soltanto le ragioni di una opposizione radicalizzata, l’alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri Mogherini dovrebbe intervenire con urgenza e fermezza per promuovere il dialogo politico in Venezuela e per aprire nuovi autorevoli canali di collaborazione come a suo tempo, nel 2018, richiesto da Italia, Francia, Portogallo e Spagna.
Un approccio politico, comune della diplomazia comunitaria, urgente, necessario e certo più utile rispetto alla politica delle sanzioni.
La comunità internazionale trovi in fretta il modo più idoneo perché si possa avviare un processo democratico, costituzionale, di autodeterminazione del proprio futuro da parte di tutto il popolo venezuelano. Una struttura costituzionale complessa quale quella venezuelana può essere aggiornata o cambiata, ma con il confronto fra tutti.
Quando una situazione a lungo critica precipita non servono invasioni di campo dall’esterno, ma sostegno all’autonomo sviluppo democratico. È del tutto inutile dividersi in fazioni di aficionados. Non si facilità così una soluzione democratica costituzionale. È il tempo del fare. (rino giuliani*\aise)
* Vicepresidente dell’Istituto Fernando Santi