UN’ANALISI PREOCCUPANTE SUI TEMI CHE L’EMIGRAZIONE ITALIANA DEVE AFFRONTARE – di Luigi Papais

UDINE\ aise\ - “Tanti sono i problemi che tornano a preoccupare la nostra emigrazione italiana. Da un decennio a questa parte l’Italia è tornata a essere Paese con alta propensione migratoria, che va ad aggiungersi alla già vasta comunità di italiani nel mondo di vecchio insediamento. Tuttavia, per quanto riguarda la nuova emigrazione, Stato e corpi intermedi, compreso l’associazionismo, non si sono dotati di strumenti adatti per governare questo vasto fenomeno. Ci si augura che la Conferenza mondiale dei giovani in emigrazione, prevista a Palermo il mese di marzo prossimo, possa fornire elementi utili per capire meglio il caso e individuarne alcune soluzioni pratiche ed efficaci”. Così scrive Luigi Papais, Consigliere CGIE di nomina governativa e componente del Consiglio direttivo dell’Ente Friuli nel Mondo, nell’articolo che firma per il bimestrale dell’Ente, “Friuli nel mondo”.
“Non si intravedono poi, al momento, strategie atte a contenere il nuovo esodo, che porta a 5.600.000 gli italiani nel mondo. Lavoro, previdenza e assistenza sono le misure indispensabili per contenere la spinta migratoria.
A coloro che non riescono a trovare lavoro in Italia, si aggiungono ulteriormente anche coloro che cercano altrove migliori opportunità economiche e di carriera e perfino diversi pensionati, che vanno a vivere laddove la vita è meno cara, oppure al seguito dei propri figli espatriati. Sappiamo altresì che questo numero, già di per sé alto, non tiene conto di coloro che non si cancellano dalle anagrafi locali per transitare in quella dell’Aire. Cosicché, mentre il Rapporto Italiani nel Mondo della Migrantes, su dati Istat registra nel 2017 70.000 giovani italiani partiti per la Germania, l’Istituto di statistica tedesca, su dati della polizia locale, sostiene che sarebbero tre volte tanti, se non addirittura 300.000.
Gli italiani in Germania, stimati dapprima in 700.000, sarebbero addirittura 1 milione. Dati, questi, che fanno rimbalzare, all’indietro, la nostra emigrazione alla stregua degli anni ’60 del secolo scorso e a immaginare non irreale il numero complessivo di 6 milioni. Ci sono nuovi giovani emigranti che partono impreparati ad affrontare la vita di lavoro nei Paesi di approdo, prevalentemente europei, con scarso sostegno anche degli organi preposti, mentre la tecnologia di cui sanno padroneggiare non sempre risolve i loro problemi.
La chiamiamo, indirettamente, nuova mobilità, ma rappresenta problematiche più complesse. Da qui l’esigenza di un maggior impegno da parte dello Stato per individuare soluzioni utili a ridurre l’emigrazione e ad accompagnare seriamente quanti sono costretti a emigrare. L’Europa, sogno e aspirazione delle persone ormai adulte se non anziane, sta implodendo con il risorgere di nazionalismi e sovranismi, movimenti che denunciano limiti e contraddizioni di svariate politiche comunitarie, come quella dell’immigrazione incontrollata, ma che non debbono e non possono demolire un’aggregazione di Stati che, a malapena, regge il confronto con dinamiche economiche globalizzate, quali quelle messe in atto da colossi come America, Russia e Cina.
Ma vi è di più: Paesi come Germania e Belgio, a dispetto della libera circolazione delle persone in Europa, sollecitano l’abbandono dei loro territori per gli emigranti temporaneamente disoccupati. Per non parlare dell’affievolimento dei diritti sociali, perfino del tutto assenti in Nazioni progredite come l’Australia. Nel mese di dicembre a Marrakech si è svolto un summit dei Paesi aderenti all’Onu, allo scopo di regolamentare le migrazioni e, purtroppo, l’Italia ha dimostrato disinteresse per questo evento. Chissà quali saranno i risultati che, quando questa rivista vedrà la luce, saranno già noti e speriamo positivi. Positivi invece non sono affatto i riflessi della Brexit e, a quanti reclamano l’uscita dall’UE di altri Paesi europei, domandiamo di riflettere sulle difficoltà, quantomeno transitorie, che l’Inghilterra sta attraversando e forse attraverserà pure in futuro, mettendo parimenti in crisi la nostra stessa numerosa comunità italiana che vive e lavora sul posto.
Del Venezuela abbiamo già trattato e qui ci limitiamo a chiedere quali interessi sconosciuti trattengano la comunità internazionale a non assumere atteggiamenti di maggiore disapprovazione di un nefasto regime, che sta piegando un intero popolo, finito dal benessere diffuso alla povertà assoluta.
Siamo poi alle prese con la riforma del voto degli italiani all’estero, istituto di grande valenza sociale e democratica, così criticato ma così poco partecipato e per certi versi perfino schernito. Come se non bastasse, circolano proposte di ridurre il numero, già misero, degli eletti all’estero nel nostro Parlamento. Una realtà, quella degli italiani nel mondo che, per consistenza numerica, potremmo considerare alla stregua della ventunesima regione italiana e che non può non avere una adeguata rappresentanza parlamentare, privando milioni di persone di un diritto civile, da migliorare o modificare, ma non certo da schiacciare verso l’insignificanza.
Vogliamo aggiungere anche la proposta, insensata, di eliminare i finanziamenti alla stampa di emigrazione, strumento essenziale per mantenere viva l’italianità nel mondo, per tenerla collegata nei vari segmenti che la compongono, per contribuire anche a sostenere, con un mosaico di informazioni, il sistema Paese e il quadro è completato. Nubi dense anche nei capitoli di spesa del Ministero degli Esteri riguardanti l’emigrazione, dalla promozione della lingua italiana, al sistema scolastico all’estero, allo stesso funzionamento delle strutture diplomatiche.
Il Paese è in crisi e questo ci è noto. La politica si sforzi a rimuovere gli ostacoli che, facilitando l’emigrazione, aumentano ancor di più questa ricaduta. Ce la faremo a far sopravvivere i nostri progetti perlopiù associativi e sussidiari, ma di grande coesione sociale, anche negli anni a venire? Auguriamocelo!”. (aise)