Documenti di oltre 80 anni fa: un “tesoro” ritrovato nella Procura di Chieti

ROMA\ aise\ - “Due faldoni di carta in mezzo a cumuli di vecchi oggetti male in arnese, accatastati in uno scantinato della Procura di Chieti. E proprio in quegli scatoloni dimenticati nei meandri dell’imponente palazzo che con le sue colonne domina la via dedicata ai fratelli Silvio e Bertrando Spaventa, il procuratore Francesco Testa ha scovato materiale preziosissimo. In mezzo a tonnellate di carta da macero sono stati trovati e riesumati centinaia di documenti – note, circolari e dispacci in materia di giustizia – relativi al periodo fascista, della seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra. Testimonianze preziose, carte “che parlano” e raccontano nei dettagli anni fondamentali per la nascita della democrazia”. Ne scrive Massimo Filipponi sul magazine online del Ministero della Giustizia, visto che da alcuni giorni questo materiale è esposto nei locali dell’ufficio della Procura di Chieti, a disposizione dei visitatori e degli addetti ai lavori.
“Un’iniziativa – si legge nell’articolo – che Testa spiega così: “L’abbiamo realizzato per contribuire a tenere viva la memoria di un tempo drammatico. Per conoscere le radici della nostra Repubblica. L’archivio sarà aperto agli studiosi ma soprattutto alle scuole, perché i giovani, ossia i cittadini di domani, possano scoprire tra le righe di questi documenti i valori su cui si fonda la nostra Costituzione e comprendere che libertà, pace e democrazia sono un patrimonio da custodire gelosamente”.
All’interno del materiale recuperato ci sono note esplicative che si ripromettono di fornire la corretta interpretazione, per esempio, delle leggi razziali. Il 3 giugno del 1940, riguardo al “divieto di collaborazione tra professionisti di razza ebraica e i professionisti ariani”, il capo della Procura Generale del Re dell’Aquila, rispondendo a quesiti che hanno generato dubbi, specifica che non possono essere fatte eccezioni in quanto “la legge, quando ha inteso riferirsi ai professionisti discriminati in contrapposto ai non discriminati ha sempre precisato opportunamente la circostanza della discriminazione, come, ad esempio, nelle norme concernenti l’iscrizione dei primi negli elenchi aggiunti e degli altri in quelli speciali”.
Sempre sul tema della “difesa della razza”, il Regio Decreto-Legge 17 novembre 1938 n.1728 all’art.2 stabiliva che il cittadino italiano non poteva contrarre matrimonio con “persona di razza diversa dall’ariana” e, in caso di matrimonio tra italiani e stranieri, era necessario “un preventivo consenso del Ministro per l’Interno”. A tal proposito il 4 settembre 1939 il Procuratore Generale del Re dell’Aquila riferisce di una circolare ministeriale in cui è scritto: “Ora, mi risulta che si è verificato qualche caso di matrimonio fra italiani e stranieri celebrato col rito religioso ed anche trascritto nei registri di Stato Civile, senza il previo consenso di cui all’art.2 del citato R.D.L. E’ preciso intendimento del Duce che le sanzioni comminate siano applicate senza alcuna pericolosa indulgenza”.
“Attendo assicurazione” chiosa il Procuratore prima di apporre la firma.
Tra i documenti riportati alla luce dal procuratore Testa, ce n’è uno che testimonia fino a che punto il regime condizionasse la gestione della macchina amministrativa dello Stato.
Stiamo parlando della circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 18 novembre del 1940. Nel documento, che il Procuratore Generale dell’epoca diramò “per opportuna conoscenza”, si specifica che “si è reso opportuno dichiarare obbligatorio il requisito dell’appartenenza al Partito – finora prescritto solo per l’immissione agli impieghi – per l’avanzamento in carriera dei personali delle Amministrazioni dello Stato e di ogni altro Ente pubblico”.
Il Fascismo cade nel luglio del 1943 e la guerra continua. Le condizioni di vita degli italiani sono precarie e anche negli istituti penitenziari non c’è abbondanza.
In una circolare del 30 gennaio 1945 si raccomanda di razionare i viveri per i detenuti e viene indicata l’esatta quantità di pane (250 grammi), pasta (80 grammi), legumi secchi (100 grammi) e anche di zucchero (grammi 8,3) di cui ogni recluso può disporre.
In pieno periodo di occupazione ci sono da fronteggiare i rastrellamenti che l’esercito tedesco compie non risparmiando gli operatori della giustizia.
Una nota della Procura Generale di Stato presso la Corte d’Appello dell’Aquila dell’8 maggio 1944 annuncia di aver ricevuto “assicurazione” che tali “inconvenienti” (ossia rastrellamento di magistrati, funzionari di cancelleria e segreteria) non ci saranno più in quanto “il Generale Plenipotenziario germanico in Italia ha proibito rigorosamente simili iniziative dei comandi locali”.
Il Procuratore termina così la sua nota: “Informate di quanto sopra anche i Pretori dipendenti e si tenga da tutti in evidenza questa comunicazione per la lontana ipotesi che il grave inconveniente dovesse ripetersi”.
Nel faldone delle carte rinvenute a Chieti c’è anche la nota del 18 agosto 1945 firmata da Palmiro Togliatti, all’epoca Ministro di grazia e giustizia, sul tema della “partecipazione della Magistratura alla vita politica”.
La rilevanza storica del materiale ritrovato e reso disponibile da Francesco Testa è straordinaria. Dalla lettura di quegli atti emerge uno spaccato della vita, sociale, politica e giuridica, degli anni subito prima e immediatamente dopo la guerra.
“Ogni documento nasconde una storia – dichiara il procuratore di Chieti – e dietro ogni storia c’è un’esigenza del Paese. Sono rimasto letteralmente sbigottito quando mi sono trovato di fronte a queste carte”.
“Tra i documenti ritrovati – conclude Testa – ce n’è uno con cui si comunica a tutti gli uffici del Distretto la necessità di rinunciare alle maniglie e ai pomelli in ottone delle porte perché si tratta di composti che possono essere utilizzati come ‘materiale bellico’ e, per questo motivo, dovevano considerarsi ‘requisiti’ e andavano ‘conferiti al Ministero della Guerra’””. (aise)