IL 30 APRILE LA LIBERAZIONE (EFFIMERA) DI TRIESTE – di Renzo Codarin

TRIESTE\ aise\ - Com’è risaputo, la liberazione della Penisola dall’occupazione nazifascista, simboleggiata dalla festa del 25 Aprile, a Trieste e nella Venezia Giulia non rappresentò altro che il prologo dell’insediamento in questi territori di un’altra dittatura. Più che di liberazione, infatti, per le nostre terre a conti fatti si può parlare di tentativo – più o meno riuscito – di rioccupazione da parte della Jugoslavia comunista.
Al noto grido di “L’altrui non vogliamo, il nostro non diamo” i cosiddetti liberatori concentrarono le loro forze per arrivare prima degli alleati su Gorizia, Trieste e l’Istria, soprassedendo in un primo momento alle più logiche velleità di liberazione di altre città, da sempre slovene o croate come Zagabria o Lubiana, preferendovi invece i territori della Venezia Giulia per perseguire un chiaro disegno annessionistico.
La liberazione a Trieste pertanto non arrivò il 25 aprile, bensì cinque giorni più tardi, grazie all’insurrezione del 30 aprile. Una liberazione – quella vera – durata purtroppo poco più di 24 ore e che fu preparata nei giorni precedenti fin nei più minuti particolari dal CLN guidato da don Marzari, che costrinse gli ultimi tedeschi presenti in città a ritirarsi su alcune ridotte come il porto, il tribunale e il castello di San Giusto.
Il CLN giuliano era composto solamente da forze non comuniste, essendosi queste ultime dissociate dallo stesso Comitato di Liberazione alla fine del 1944. Una scissione dovuta proprio alle velleità nazionalistiche slovene e croate, malcelate all’interno di un movimento comunista i cui componenti caldeggiavano la futura annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito. Mire espansionistiche jugoslave che, come dimostrano le foto di fresca ritinteggiatura che si possono ritrovare lungo il corso di superficie del Timavo, evidentemente nel 2020 non sono ancora passate di moda.
L’insurrezione del 30 aprile anticipò così di un giorno l’arrivo dei primi presidi del IX Corpus titino. Gli stessi tedeschi non si arresero ai liberatori con la stella rossa, bensì attesero nei presidi dov’erano asserragliati di consegnarsi, appena il 2 maggio, ai reparti neozelandesi del generale Fryberg giunti nel frattempo da ovest. Le armate jugoslave, intanto, in un clima rappresentante tutt’altro che una comunione di intenti, nel pomeriggio del primo maggio disarmarono i membri del CLN al termine di un incontro avvenuto nei pressi dei Portici di Chiozza, costringendo in tal modo i suoi membri – costituiti in prevalenza da cattolici – a un repentino ritorno alla clandestinità. Che terminerà solamente alla fine dei 42 giorni di occupazione, avvenuta grazie alla firma degli accordi di Belgrado stilati tre giorni prima, con i quali si sancì il passaggio della città dall’occupazione militare jugoslava all’amministrazione provvisoria angloamericana.
Quarantadue giorni segnati da nuove delazioni, lutti, deportazioni e assassinii e dalla scoperta di una nuova parola, foiba, che i giuliani tutti impararono ben presto a conoscere.
Quelli che altrove furono giorni di vera liberazione, quindi, per Trieste – e per Monfalcone e Gorizia – furono un’appendice dell’orrore vissuto fino a quel momento. Un orrore che in Istria proseguì negli anni a venire e che costrinse la maggioranza italiana della sua popolazione autoctona all’esodo forzato. (renzo codarin*\aise)
* Presidente Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia