“LA FINE DELLA GUERRA IN BOSNIA ERZEGOVINA, L’INIZIO DEL NUOVO CAOS” IN LIBRERIA CON INFINITO EDIZIONI

MODENA\ aise\ - È uscito il 29 ottobre nelle librerie italiane per Infinito edizioni “Dayton, 1995. La fine della guerra in Bosnia Erzegovina, l’inizio del nuovo caos” (pp.192, 14 euro) a cura di Silvio Ziliotto e Luca Leone.
Il volume, con la prefazione di Cristina Battocletti, si avvale dei testi di: Francesco Bascone, Martin Bell, Paolo Bergamaschi, Andrea Cortesi, Tamara Cvetkovic, Daniele De Luca, Jovan Divjak, Silvio Ferrari, Jacob Finci, Faris Focak, Kanita Focak, Stjepan Kljuic, Anthony Lake, Ivan Lovrenovicì, Predrag Matvejevic, Nicola Minasi, Riccardo Noury, Gianluca Paciucci, Mirko Pejanovic, Fabrizio Ravelli, Abdulah Sidran, Pero Sudar, Franjo Topic, Lino Veljak, Staša Zajovic e Alen Zecevic.
Gli Accordi di Dayton nel novembre del 1995 misero fine al conflitto in Bosnia Erzegovina dopo quattro anni di orrori, il più noto dei quali è il genocidio di Srebrenica. In questo libro collettivo – un lavoro imparziale nel quale parlano ventisei voci di altissimo spessore –, testimoni dell’epoca, diplomatici, giornalisti, scrittori, giuristi, religiosi, cooperanti ed esperti di Bosnia Erzegovina e di Balcani raccontano spaccati inediti dal loro osservatorio speciale durante le settimane che precedettero e seguirono il raggiungimento degli Accordi, partecipando al contempo al dibattito sull’efficacia, i limiti, gli errori di chi li negoziò, viste la situazione di stallo sociale ed economico e la gestione improvvida del potere da parte delle élite politiche attuali.
“A venticinque anni di distanza si possono fare alcuni bilanci di un accordo assai perfettibile, ma necessario”, scrive Cristina Battocletti nella prefazione al volume. “Dopo una prima tentazione estremista, il radicalismo islamico ha lasciato la presa. La Costituzione crea grosse difficoltà operative. Il ganglio più pericoloso è il ricatto del Parlamento, i cui esponenti non sempre sono espressione di alta politica. I migliori elementi della società civile se ne sono andati. Gli intellettuali rimasti sono esasperati. Il cinema ci mostra città in preda alla miseria morale e sociale, al capitalismo selvaggio che ha smontato l’industria locale schiacciando i più deboli”. (aise)