REFERENDUM ELETTORALE/ DEPOSITATA LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE: ALTERATO RADICALMENTE IL SENSO DI UNA NORMA DI DELEGA

ROMA\ aise\ - Il 16 gennaio scorso la Corte Costituzionale, riunita in camera di consiglio, ha discusso la richiesta di ammissibilità del referendum elettorale “Abolizione del metodo proporzionale nell’attribuzione dei seggi in collegi plurinominali nel sistema elettorale della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”, presentata da otto Consigli regionali a guida centro destra: Veneto, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Abruzzo, Basilicata e Liguria, definendo il referendum inammissibile. Oggi, 31 gennaio, è stata depositata la sentenza n. 10 (relatrice Daria de Pretis) con cui la Corte spiega perché ha dichiarato “inammissibile” la richiesta di quel referendum che, ricordiamo, chiedeva di intervenire sulle due leggi elettorali del Senato e della Camera con l’obiettivo di eliminare la quota proporzionale, trasformando così il sistema elettorale interamente in un maggioritario a collegi uninominali.
Il referendum – ricorda oggi la Corte – ha, nell’ordinamento costituzionale italiano, una finalità meramente abrogativa: di intere leggi o di interi articoli ma anche di singole frasi e persino di singole parole. Da questa abrogazione, tuttavia, non può risultare un testo radicalmente diverso, estraneo e di portata normativa più ampia rispetto a quello originario.
Se la richiesta referendaria ha ad oggetto la legge elettorale di un organo costituzionale o a rilevanza costituzionale, essa, per giurisprudenza costituzionale costante, deve comunque garantire che, all’esito dell’abrogazione, permanga una normativa (cosiddetta normativa di risulta) auto-applicativa, cioè idonea a consentire lo svolgimento immediato delle elezioni. Se così non fosse, l’esito del referendum potrebbe paralizzare il normale svolgimento dell’attività di questi organi.
Nel caso deciso con la sentenza depositata oggi, oggetto della richiesta referendaria erano, come detto, le due leggi elettorali del Senato e della Camera.
In particolare, i promotori proponevano l’abrogazione dei riferimenti letterali ai collegi plurinominali, con l’obiettivo di eliminare la quota proporzionale, trasformando così il sistema elettorale in uno totalmente maggioritario a collegi uninominali.
All’esito della richiesta abrogazione referendaria – spiega la Corte – sarebbe stato quindi necessario rideterminare i collegi elettorali per trasformarli tutti in uninominali. Per farlo, i promotori del referendum proponevano anche la parziale abrogazione della delega conferita al Governo con la legge n. 51/2019 al diverso scopo di dare attuazione alla riforma costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari.
Così facendo, però, secondo la Corte Costituzionale la proposta referendaria “alterava radicalmente” il senso e la portata di questa delega per renderla adattabile anche all’ipotesi di mutamento del sistema elettorale risultante dal referendum.
Sarebbero stati infatti modificati tutti i “caratteri somatici” della delega originaria (oggetto, tempo, principi e criteri direttivi), al punto da dar vita a una nuova delega, potenzialmente destinata a un duplice esercizio (l’attuazione della riforma costituzionale sulla riduzione dei parlamentari e l’attuazione della legge elettorale risultante dal referendum).
In questo modo, annota la Corte, si sarebbe realizzata un’eccessiva, e perciò inammissibile, manipolazione del testo originario della norma di delega.
Per questa ragione, assorbente rispetto a tutte le altre, la Corte ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum. (aise)