SPACCAFAMIGLIE: I DANNI COLLATERALI DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA IN SVIZZERA – di Dino Nardi
ZURIGO\ aise\ - Come ho ricordato nella rubrica del settimanale “L’Eco", proprio in questi giorni è stato ricordato il 50° anniversario del primo referendum antistranieri tenutosi in Svizzera il 7 giugno 1970 che, fortunatamente, per l’economia della Confederazione e degli stessi emigrati italiani che vi risiedevano e lavoravano a quell’epoca, venne bocciato dall’elettorato elvetico. In caso contrario circa 300'000 italiani avrebbero dovuto (ri)fare le valigie e tornarsene in Italia ed oggi saremmo confrontati con una Svizzera non saprei se migliore o peggiore ma comunque molto diversa.
Ricordando quel referendum alcuni media e sociologi hanno rispolverato giustamente i drammi vissuti in quegli anni dai bambini invisibili che tante famiglie di emigrati italiani, con permesso di “stagionale”, tenevano nascosti in casa poiché quel permesso di lavoro non consentiva di portarsi i figli in Svizzera. Ma l’emigrazione nella Confederazione (e non solo qui) non ha comportato unicamente questo danno collaterale all’interno delle famiglie italiane. Infatti ve ne sono stati altri di danni collaterali come, per esempio, quello delle così dette “vedove bianche” mogli di emigrati lasciate sole al paese in Italia che, pur non vedove, vivevano come se lo fossero; oppure quello degli “orfani bianchi” cioè quei bambini che molte coppie di emigrati hanno lasciato in Italia in custodia dei parenti più prossimi, in genere i nonni, oppure in qualche collegio magari a ridosso del confine elvetico, nel varesotto o nel comasco, cioè a portata di mano per delle visite fugaci nei fine settimana.
Danni collaterali dell’emigrazione, quest’ultimi, di cui raramente si parla e questa ricorrenza, è certamente l’occasione per farlo. Quantomeno per il sottoscritto poiché questo 50° coincide anche con i cinquanta anni dal mio arrivo nella Confederazione. Una coincidenza temporale che, peraltro, non è assolutamente casuale.
Infatti anche il sottoscritto è stato un “orfano bianco” e, prima ancora, mia madre una “vedova bianca” poiché quando mio padre nel 1948 (dopo essere stato licenziato da una importante ditta metallurgica della lucchesia per essersi impegnato con il Fronte popolare nelle elezioni politiche che si tennero quell’anno in Italia) emigrò in Svizzera nell’Oberland zurighese, per lavorare in una fabbrica di telai per tessitura, era proibito portare con sé i familiari anche se in possesso di un permesso di residenza.
Solo nel 1954 mia madre poté raggiungerlo ma non come “coniuge” bensì per il fatto che anche lei aveva ottenuto un suo permesso di lavoro da una fabbrica tessile. La conseguenza fu che il sottoscritto si ritrovò a vivere in Italia con i nonni e, quando, infine, i miei genitori avrebbero potuto portarmi con loro in Svizzera - in virtù delle nuove normative non più così restrittive a seguito dell’entrata in vigore dell’Accordo di emigrazione italo-svizzero del 1964 - il clima antistranieri che vi stava crescendo e l’ipotesi di un eventuale referendum, che poteva costringerli a rimpatriare, li fece desistere. Così solo immediatamente dopo l’esito di quel referendum, e cioè il 14 giugno 1970, avvenne il ricongiungimento.
Un ricongiungimento, peraltro, durato poco tempo poiché, quando entrambi maturarono il diritto alla pensione italiana, decisero di concretizzare il sogno di una vita di emigrazione e cioè di tornarsene in Italia per godersi la vecchiaia nella “loro” casa frutto di anni di sacrifici. Una decisione analoga a quella di tantissimi altri emigrati in Svizzera, soprattutto di prima generazione, raramente integratisi in questo Paese come poi ho potuto constatare nel corso della mia attività professionale nell’ITAL UIL e da rappresentante dell’emigrazione prima nel Comites di Zurigo, poi nel Consiglio regionale dei Toscani all’estero ed infine nel CGIE.
Un’integrazione mancata proprio per quel clima di insicurezza vissuto in Svizzera e continuato purtroppo anche dopo quel referendum del 1970 a causa delle ricorrenti iniziative referendarie antistraniere promosse con pervicacia dalla Destra elvetica. Ed infatti il prossimo 27 settembre si terrà l’ennesimo referendum di quel tipo avendo come oggetto la fine della libera circolazione delle persone con i Paesi dell’Unione Europea. Cioè sempre lo spauracchio degli stranieri, un chiodo fisso della Destra elvetica, oggi impersonata dall’UDC, che, tradizionalmente, trova molti consensi tra la popolazione svizzera più conservatrice. Un referendum che, se passerà, rischierà non solo di danneggiare la Confederazione ma di creare nuovi problemi a molti nuclei familiari di immigrati in questo Paese da qui un invito pressante a tutti gli elettori doppi cittadini italosvizzeri a non farsi ammaliare dal canto dell’UDC né, tantomeno, dalla sua pubblicità elettorale in cui la Destra è purtroppo imbattibile! (dino nardi*\aise)
* esperto “Sociale & Dintorni” di Radio LORA (97,5 MHz) e L’ECO Tele7 Settimanale di informazioni