Dall’Argentina a Piacenza: un sogno realizzato dalla presidente dell’Associazione Emilia-Romagna Santa Fe

BOLOGNA\ aise\ - Per Silvana Bruschi, presidente dell'Associazione Emilia-Romagna Santa Fe (Argentina), è stato un sogno che si è realizzato quello di visitare Piacenza, dove dopo 30 anni ha ritrovato i suoi parenti italiani. Ne ha parlato, in questi giorni, con la Consulta degli Emiliano-Romagnoli nel mondo. Di seguito la sua lettera completa sulla sua esperienza.
“Non so se molte persone possono dire di avere realizzato il sogno della propria vita.
Mi considero una persona privilegiata nel poter dire che io ci sono riuscita. Fin da quando ero piccola ho potuto vivere la cultura italiana grazie ai miei nonni, nati a Piacenza, che mi hanno trasmesso tutto quello che hanno potuto sull’Italia, dalla lingua ai costumi. Con un italiano “argentinizzato” mi dicevano “veni qui Silvana a mangiare con tus abuelos” o il tipico “Com’è andata a scuola, te fue bien?” alla fine dell’anno e prima di darmi un regalino…
A Santa Fe, Argentina, ho l’onore di essere la presidente dell’Associazione Emilia-Romagna, istituzione a cui fin da piccola mi ha avvicinato mio padre, Silvio Bruschi. Lì parliamo sempre a proposito della nostra Regione e le sue bellezze che hanno attraversato le frontiere del mondo…la Ferrari di Modena, le belle spiagge di Rimini, l’enorme patrimonio culturale della regione, la città universitaria di Bologna, il grande castello di Ferrara. Non posso ovviare le squisitezze gastronomiche di cui mi parlava mi nonno e impastava mia nonna… Ho potuto sperimentare in terra italiana il prosciutto crudo di Parma, il salame di Piacenza e la mortadella di Bologna, il delizioso formaggio di Reggio Emilia e, siccome non poteva mancare, il sapore dell’incomparabile pasta italiana che ha fatto si che ogni domenica ci incontrassimo in famiglia attorno alla tavola a condividere un pranzo familiare, tra risate e aneddoti di questa terra di cui tanto sentono nostalgia mio padre e i miei nonni. Aver trascorso quest’esperienza ha fatto in modo che tutto ciò che era per me ‘’racconto dei nonni’’, si materializzasse davanti ai miei occhi. ora posso davvero capire in maniera completa quello che hanno sentito, lasciando il loro paese, le loro abitudini, il loro sangue.
È importante per me parlare dell’emozione che ho sentito per avere realizzato anche un sogno di mio padre…prima di venire qui mi ha dato moltissime foto vecchie dicendomi “sono i tuoi zii e cugini, vedi se puoi incontrarli”. Ho pensato che fosse matto, con più di 30 anni senza avere contatti, ma dopo un’intensa ricerca, sono riuscita ad incontrarli a Piacenza. È stato un momento che mai avrei immaginato; trovare le mie radici, vedermi riflessa nei visi dei cugini e cugine di mio padre e scoprire che la somiglianza, il sangue e l’affetto non si perdono con la distanza, è stata una delle esperienze più forti della mia vita. Chiamare l’Argentina per telefono in quel momento e far parlare mio padre con la sua famiglia e vedere come tutti si commuovevano dall’emozione, è stato ancora più forte. A 15 mila chilometri, il legame e la memoria continuavano intatti.
Dopo aver conosciuto la mia famiglia italiana e mentre passavo del tempo in Emilia-Romagna, stavo comprendendo alcune cose che prima non capivo o che consideravo “sciocchezze di mio padre”. Vivo a Santa Fe, per esempio, e parlo quasi urlando; ma ho notato che gli italiani parlano in modo stridente e discutono con passione anche dei temi più semplici. Anche a Santa Fe mio padre esce tutti i giorni in cortile e lascia in un recipiente pane o cibo per gli uccelli e io ho sempre pensato che fosse matto; tuttavia a Piacenza ho potuto notare che i suoi cugini facevano lo stesso! E in quel momento ho pensato “mio padre non è l’unico matto, lo sono tutti!”, anche se questo è solo un modo simpatico per far capire come un’abitudine può attraversare le frontiere del tempo e dello spazio. Non ho mai capito perché mio padre volesse cenare alle 20, quando in Argentina l’orario di cena è le 21.30, fino a che non ho visto qua che si cena a quest’ora.
Rispetto al lavoro, torno in Argentina con la consapevolezza di avere conosciuto la cultura lavorativa emiliano romagnola, in una situazione molto speciale, “dall’interno”. Nonostante il duro clima di crisi economica, la gente mantiene il suo calore, la sua fraterna forma di comunicare, di cooperare tra colleghi di lavoro e con il capo. Mi hanno ricevuta come una del gruppo e mi sono sentita molto conforme e adatta ai compiti da svolgere. Questo viaggio è andato oltre l’aspetto affettivo; è stato anche produttivo, perché ho potuto conoscere molte cose relazionate alla mia professione e le differenze che ha rispetto ad un’altra cultura. Prendere parte alla vita quotidiana di Bologna e non essere un’altra “turista” è stato tra gli aspetti più importanti.
Mi sono sentita realmente come a casa, e a partire da ora, non solo ho realizzato un sogno; posso anche continuare a diffondere a cultura Emiliano Romagnola, non perché me l’hanno raccontata ma perché l’ho vissuta in prima persona, in un’esperienza che non scorderò mai. Grazie per essere stati parte di questo sogno." (aise)