Cooperante in Libano: Andrea Chistè si racconta a “Mondo Trentino”

TRENTO\ aise\ - Trentino, viaggiatore e operatore impegnato nella cooperazione e nei diritti umani in Libano. Si chiama Andrea Chistè il protagonista di Mondo Trentino, il portale della Provincia di Trento dedicato ai nuovi expat.
Nella lunga intervista, Chistè illustra i progetti in cui è impegnato e illustra la critica situazione socio politica in cui versa il Paese.
Ne pubblichiamo di seguito la versione integrale.
D. Chi sei e di dove sei?
R. Ciao MondoTrentino! Sono Andrea Chistè, “gardolotto”, trentino, cittadino del mondo. Sognatore, viaggiatore e operatore impegnato nella cooperazione e nei diritti umani, con concrete ambizioni e una bella fetta di strada ancora da fare.
D. Quali sono stati i tuoi studi e il tuo percorso formativo?
R. Molto si può racchiudere nel mio percorso scolastico e universitario. Dopo aver concluso il Liceo da Vinci a Trento, ho proseguito sempre a Trento ottenendo la Laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali. In seguito, visto il mio interesse per i contesti di conflitto e post-conflitto in aree extra europee, mi sono trasferito a Pavia per conseguire la Laurea Magistrale in Studi dell’Asia e dell’Africa (Relazioni Internazionali).
D. Hai avuto modo di viaggiare, dopo gli studi o nel mentre, dove sei stato?
R. Ho sempre voluto mettere il viaggio al centro del mio percorso, non inteso come semplice visita, ma come mezzo per conoscere, stare ed imparare, dunque spesso legato ad esperienze di formazione e di sviluppo professionale. Al di là di qualche breve vacanza, sono stato in Palestina nel 2017 per un periodo di Erasmus a Nablus, in Polonia nel 2018 per un tirocinio presso l’Ambasciata d’Italia a Varsavia ed in Libano nel 2020 per svolgere il Servizio Civile Universale in Caritas. Infine, nel 2022, sono tornato nuovamente in Libano per sostenere un progetto di sport per lo sviluppo attraverso il programma europeo degli European Solidarity Corps (ESC).
D. Dove vivi ora e cosa fai?
R. Ora vivo ad Ain El Remmaneh, sobborgo dell’area metropolitana a sud di Beirut e sono attualmente coinvolto in un progetto di sport per lo sviluppo finanziato dal programma ESC tramite l’associazione Chabibeh Sporting Club.
D. Parlaci del tuo progetto come lo hai ottenuto e grazie a quali competenze?
R. Il progetto è incentrato sull’utilizzo dello sport come mezzo di crescita individuale e sociale sia dei giovani partecipanti che della loro comunità. Lo sport è quindi inteso non solo come strumento di vittorie personali e di squadra, ma come importante fattore nel rafforzare abilità, conoscenze e mentalità in giocatori e famiglie con lo scopo di promuovere inclusione, dialogo, stabilità e sviluppo all’interno e tra i distinti gruppi sociali in Libano. La sede delle attività di Chabibeh sporting Club è principalmente Ain El Remmaneh, un quartiere a forte identità cristiana dove teniamo aperta la nostra accademia sportiva nonostante le attuali gravi difficoltà del paese. In parallelo, abbiamo avviato collaborazioni sul tema anche con altre organizzazioni locali e internazionali (UNODC, Right to Play, Peace First tra le altre) e siamo tra i promotori di progetti anche in altre aree del Libano, come sta avvenendo nella regione della Bekaa (area a nord est, confinante con la Siria) dove abbiamo avviato un programma focalizzato sull’empowerment femminile attraverso lo sport, mediante il quale puntiamo ad aumentare la partecipazione delle donne in attività sportive e a favorire la consapevolezza dei diritti e dell’importanza della loro rivendicazione. Infine, forniamo opportunità di crescita dedicate a giovani libanesi (e non) impegnati nella propria comunità tramite corsi, formazione e scambi interculturali in Libano o all’estero, perlopiù nell’ambito di progetti Erasmus+. A livello personale, il mio lavoro ha toccato essenzialmente tutti gli ambiti di intervento dell’associazione, da una parte avendo potuto operare come manager del settore giovanile, coordinatore e scrittore di progetti, social media manager, project officer e allenatore di calcio, dall’altra avendo avuto modo di partecipare in diverse attività sul campo e ad alcune conferenze internazionali come avvenuto recentemente a Dubai per un programma coordinato dall’Unione Europea. Senza dubbio ad aver agevolato la mia partecipazione a questo progetto sono state le pregresse conoscenze del contesto geopolitico mediorientale e la mia esperienza all’interno di ASD Intrecciante, associazione sportiva che da diversi anni opera sul territorio trentino per favorire inclusione e la partecipazione di gruppi fragili nella comunità locale attraverso lo sport.
D. Parlaci se ti va un po' del Libano, la sua storia, gli sviluppi ed in che Libano si vive oggi, com’è la situazione sociale, politica e religiosa?
R. Nonostante il Libano venga ancora definito come la Svizzera del Medio Oriente, questo non è che un lontanissimo ricordo. La guerra civile combattuta a più riprese dal 1975 al 1990, l’invasione israeliana del 1978 e del 1982, i numerosi eccidi perpetrati tra i vari gruppi politici, sociali e religiosi nel paese tra cui quello di Sabra e Shatila (1982), la successiva occupazione militare siriana fino al 2005 e la crisi dei profughi siriani a partire dal 2011 hanno inevitabilmente determinato conseguenze disastrose per il Libano. Allo stesso modo i contrasti scaturiti dalla guerra civile e dai successivi tragici eventi hanno contribuito ad aggiungere tensione all’interno di un contesto sociale già fortemente frammentato, in quanto non solo caratterizzato dalla divisione esistente tra cristiani (40%) musulmani sunniti (30%) e musulmani sciiti (30%) – a loro volta separati in ulteriori 18 distinte confessioni religiose – ma anche dalla massiccia presenza di rifugiati all’interno dello stato (circa 2 milioni tra palestinesi e siriani su 7 milioni di libanesi), rendendo il Libano il paese con il maggior numero di rifugiati pro capite al mondo. Solamente una eccezionale classe politica e un solido sistema istituzionale sarebbero stati in grado di intervenire per risolvere le cause e contrastare gli effetti di questa lunga crisi, cose che purtroppo in Libano sono del tutto assenti. Da una parte, infatti, l’attuale classe politica è figlia delle vicissitudini che hanno attraversato il Libano negli ultimi 50 anni, con i Warlords delle milizie della guerra civile (o i loro successori) ancora stabilmente in parlamento e con un sistema di voto di scambio ampiamente utilizzato e accettato nel corso delle elezioni. D’altra parte, il sistema politico confessionale libanese è estremamente restio ad ogni tipo di cambiamento, sia per le difficoltà tra i vari partiti nel mettersi d’accordo anche sulle questioni relativamente minori, sia per il fatto che ad ognuna delle 18 distinte confessioni religiose viene riconosciuto un certo numero di seggi e di posizioni di potere all’interno delle istituzioni libanesi, cosi come avviene per le principali cariche dello stato (Presidente della Repubblica sempre Cristiano Maronita, Capo del Governo sempre Musulmano Sunnita, Presidente della Camera sempre Musulmano Sciita). Questo implica che, che si faccia bene o male nel corso del proprio mandato, le persone ai vertici dello stato rimarranno essenzialmente sempre le stesse, aprendo le porte a incontrollati sistemi corruttivi e ad un utilizzo distorto e puramente personalistico della ricchezza sociale, culturale e religiosa presente nel paese.
D. Le condizioni in Libano sono molto critiche negli ultimi anni, ci vuoi spiegare a cosa dovute e come si è affrontato il Coronavirus e che impatti hanno avuto sul vostro progetto?
R. Paradossalmente il Coronavirus è stato considerato come l’ultimo dei problemi all’interno di un quadro ormai da tempo compromesso. Le crescenti difficoltà incontrate dalla popolazione nell’affrontare i problemi del paese avevano portato già negli ultimi mesi del 2019 a proteste con centinaia di migliaia di partecipanti, le quali tuttavia produssero come unico risultato concreto le dimissioni dei vecchi esponenti di governo e la loro sostituzione con nuovi non meno invischiati nelle consuete trame di potere libanesi. Da quel momento in poi la situazione è precipitata in tutte le aree del paese e in tutti gli ambiti della vita quotidiana, innanzitutto a causa del collasso del sistema economico, bancario e finanziario culminato con la bancarotta del Libano nell’aprile del 2022. Questo ha innanzitutto determinato la perdita di una quota compresa tra l’80 e il 100% dei risparmi in dollari depositati sui conti correnti prima del 2019, l’imposizione da parte delle banche di limiti illegali di prelievo per tutti i correntisti e di conseguenza la polverizzazione dei risparmi in valuta locale (Lira Libanese, LL) a causa dell’inflazione al 200% e della massiccia svalutazione della moneta, passata in meno di 3 anni dagli originali 1$ = 1.500 LL agli attuali 1$ = 62.500 LL (per intenderci, come se un chilo di pasta passasse da 1 euro a oltre 40 euro nel giro di 3 anni). Al contempo, gli stipendi non solo non sono aumentati di pari passo con l’iperinflazione, ma nella maggioranza dei casi sono persino diminuiti, come avvenuto per i lavoratori pubblici – dagli insegnanti ai militari – i quali ricevono attualmente una paga base attorno ai 50$ al mese. Il costo della vita è rimasto piuttosto alto – una birra al bar costa ancora l’equivalente di 2 euro – e quindi non di rado si incontrano membri delle forze dell’ordine a lavorare come tassisti notturni nelle strade di Beirut per sbarcare il lunario. In contemporanea alla crisi economica, anche il Covid-19 ha fatto la sua comparsa ad inizio 2020, colpendo duramente la società libanese e il già fragile sistema sanitario nazionale. Quest’ultimo, infatti, già in mano a strutture private di buon livello ma dai costi esorbitanti e gravato dalla crisi economica che ha privato gli ospedali pubblici delle risorse necessarie a rispondere all’epidemia, ha determinato inevitabilmente una diffusione della malattia e un numero di morti molto elevato. Sebbene il governo abbia tentato, almeno inizialmente, di contrastare l’epidemia imponendo blocchi temporanei alla circolazione e quarantene, queste sono state rapidamente lasciate da parte vista l’impossibilità di mantenere attivi i limiti in presenza di una crisi economica così profonda e col concreto rischio di ricorso alla violenza da parte dei cittadini. L’annus horribilis del 2020 è poi proseguito con l’enorme esplosione avvenuta nel porto di Beirut. Quest’ultima ha comportato la morte di 220 persone, il ferimento di 7.000, la perdita della casa per 300.000 e danni pari a 15 miliardi di $ sparsi nel raggio di oltre 10km dall’esplosione, come se l’epicentro fosse stato a Trento nord e la distruzione fosse arrivata fino a San Michele all’Adige. Gli effetti dell’esplosione non si sono limitati tuttavia al solo immediato, ma hanno anche comportato nel lungo periodo la carenza di ogni tipo di prodotto dall’estero – dal cibo alle medicine – essendo il Libano un paese di scarsa produzione industriale e il porto di Beirut il centro nevralgico di tutte le importazioni. Per mesi i miei amici libanesi, provando a scherzarci su, si lamentavano di non trovare la nutella sugli scaffali dei supermercati. Questa situazione non è migliorata negli anni a seguire ed è ulteriormente peggiorata in particolar modo nel 2022. Da una parte la Guerra tra Ucraina e Russia ha determinato un’impennata del costo di pane e benzina all’interno di una economia fuori controllo, dall’altra la diffusione del colera in tutte le regioni del Libano ha rappresentato l’ultima piaga in ordine cronologico e aggiunto ulteriore pressione ad un sistema sanitario allo stremo. Gli effetti sociali di queste continue crisi sono stati inevitabilmente devastanti. I pochi fortunati che hanno potuto lasciare il paese lo hanno fatto, tutti gli altri sono ancora bloccati all’interno di una situazione in continuo peggioramento e senza alcun piano risolutivo all’orizzonte. Oggi oltre l’80% della popolazione in Libano si trova sotto la soglia di povertà, molti sono i bambini costretti a lavorare, molti altri ancora i bambini che si trovano nelle strade a chiedere l’elemosina o a frugare nei rifiuti per rivendere plastica o ferrame. Impossibile uscire di casa e non trovarne qualcuno sul proprio cammino. In tutto questo, chiaramente, a non essere toccato dalla crisi è stata la classe benestante del paese che, principalmente legata ad istituzioni religiose, bancarie e politiche, hanno potuto continuare a drenare le risorse dello stato con lo scopo di determinare quella che la Banca Mondiale ha definito una “depressione orchestrata” del Libano.
D. Che impatto hanno avuto sul vostro progetto queste condizioni critiche?
R. Inevitabilmente molto importanti. Le conseguenze più immediate sono state la diminuzione delle attività sportive nel periodo più acuto della pandemia e il forte stress psicologico subito dai ragazzi in seguito all’esplosione che ha investito Beirut nel 2020. Successivamente è stato l’enorme aumento dei costi a mettere in difficoltà la continuità dell’operato dell’associazione. A questo proposito, se teniamo conto solamente del 2022, le spese di gestione sono aumentate del 250% tra febbraio e dicembre. Allo stesso modo, questi costi hanno avuto ricadute importanti anche sulla portata delle nostre iniziative in quanto, a causa dell’aumento del costo del trasporto, non è stato più possibile per molti giovani giocatori raggiungere la sede dell’accademia dalle zone al di fuori del quartiere dove siamo localizzati, precludendo la possibilità di utilizzare pienamente lo sport come mezzo di dialogo e di inclusione tra le varie comunità. Nonostante queste difficoltà, l’associazione ha continuato a promuovere i propri obiettivi ponendo enfasi su alcune iniziative già avviate e provando a cogliere alcune nuove opportunità. Da una parte, quindi, si è cercato di potenziare l’operatività a livello internazionale per favorire la partecipazione di giovani libanesi a programmi di studio, volontariato o sviluppo professionale in Europa tramite i programmi Erasmus+ o ESC. D’altra parte, si è proseguito nello sviluppo di progetti a livello locale (come avvenuto in Bekaa) e si sono avviate nuove collaborazioni sportive per favorire l’incontro tra i nostri giovani giocatori e le altre comunità del territorio, così come sta avvenendo con la Pelé Sports Academy, una squadra composta da ragazzi palestinesi e siriani situata nel campo profughi di Shatila, luogo dove le Falangi Libanesi, la principale forza politica di Ain El Remmaneh, avevano contribuito a perpetrare il massacro del 1982.
D. Quali sono le maggiori difficoltà di vivere in Libano per uno straniero, come ti trovi, vorresti continuare a viverci?
R. Certamente le conseguenze di questa crisi in continuo peggioramento si riscontrano nella vita di tutti i giorni, anche per gli stranieri. Mancanza di elettricità in casa e nelle strade, costo del gas e della benzina alle stelle, acqua del rubinetto non potabile e non utilizzabile nemmeno per lavare gli ortaggi, impossibilità di utilizzare il bancomat e necessità di rivolgersi al mercato nero per poter ottenere denaro contante, scarsità o assenza di medicine per specifiche patologie, infrastrutture inadeguate e limitato rispetto delle regole stradali, inquinamento diffuso, presenza ricorrente di spari e di imprevedibili proteste, manifestazioni e blocchi stradali, zone ad alta e diffusa criminalità, divisioni tra comunità e una generale sensazione di tensione sono certamente alcune delle maggiori difficoltà che si possono riscontrare nel corso della permanenza in Libano. Appare chiaro che le condizioni non sono certo semplici se si è sempre stati abituati alle comodità e alla stabilità della vita occidentale. Eppure, se ci fosse la possibilità, sarei contento di poter restare nel paese per poter continuare a lavorare in un contesto impegnativo ma stimolante dal punto di vista personale e professionale.
D. Quando scadrà il tuo progetto e quali sono le tue intenzioni future?
R. Al momento le opzioni al termine del progetto sono varie e ancora nulla è stato definito. Come accennato, se ci fosse la possibilità di rimanere in Libano per continuare ad impegnarmi in un progetto incentrato sullo sviluppo comunitario, sui diritti umani e sul peacebuilding (possibilmente attraverso lo sport) sarei certamente felice, dato che lo spazio per crescere professionalmente e, al contempo, avere effetti concreti sulla vita della popolazione c’è ed è importante. Se ciò tuttavia non fosse possibile, vaglierei anche la possibilità di spostarmi a lavorare in un progetto simile nella regione MENA (Medio Oriente – Nord Africa) o in Africa, aree al centro del mio percorso formativo e altrettanto caratterizzate da difficoltà ed opportunità. Non escludo, infine, di tornare in Italia o in Europa qualora si presentasse una offerta di lavoro interessante con prospettive concrete all’interno di questo ambito.
D. Cosa ti piace maggiormente del Trentino? torneresti a lavorare e vivere in Trentino?
R. Il Trentino è la mia casa. Più si viaggia più ci si rende conto della bellezza del suo territorio, della forza della sua comunità, della qualità della vita, dell’importanza degli affetti. Per ora non riesco ancora a vedermi tornare in pianta stabile, dato che sono convinto della necessità di vivere esperienze all’estero per poter continuare a crescere professionalmente e lavorare nell’ambito di mio interesse. Tuttavia, sono altrettanto convinto ci sarà nuovamente il Trentino nel mio futuro, non solo come luogo di residenza ma come casa di cui prendersi cura anche attraverso le conoscenze e le abilità acquisite con le esperienze avute in giro per il mondo.
D. Ti senti di lasciare un messaggio a tutti i lettori e alla Community di MondoTrentino?
R. Certo! Un carissimo saluto a tutti i lettori e un piccolo reminder: viaggiare è conoscenza, non fermatevi mai!”. (aise)