Giuseppe Gagliardi: pioniere del buongusto italiano a Dresda - di Tony Mazzaro

STOCCARDA\ aise\ - La sua avventura nell’ex DDR (Germania dell’Est) risale all’8 agosto del 1990, a meno di un anno dalla caduta del Muro di Berlino. La storia di Giuseppe Gagliardi è in origine simile a quella della stragrande maggioranza dei gastronomi italiani in Germania.
Originario di Auletta, un piccolo Comune campano di 2.300 anime in provincia di Salerno, nel 1968, all’età di 18 anni per evitare il servizio militare decide di emigrare in Germania. Trova subito lavoro in una fabbrica metalmeccanica e il fine settimana gironzola tra case e baracche per rifornire i connazionali di generi alimentari. Dopo qualche anno inizia a commerciare anche capi di abbigliamento maschili e femminili.
Nel 1975 opta per una nuova avventura. A Nassachtal, nei pressi di Göppingen, vicino Stoccarda, rileva in un bosco una modestissima birreria. La rinnova e il giorno dell’apertura giunge una marea di avventori. L’anno dopo dà vita alla pizza al taglio e, grazie alla sua arte acrobatica della preparazione della pasta, partecipa a fiere, feste di paese e mercatini per sfociare poi nei grandi capannoni.
Ma questo successo non gli basta. Va alla ricerca di nuove sfide. Un suo conoscente gli suggerisce di avventurarsi nell’ex DDR. Rimane colpito da Dresda, denominata “la Firenze dell’Europa del Nord”. D’intesa con la famiglia decide di affrontare una nuova avventura.
Per purificare i polmoni dagli scarichi della Traband 500, una piccola utilitaria di fabbricazione della Germania dell’Est, quasi ogni settimana torna nella “sua” Göppingen, sua prima città di accoglienza in terra sveva.
L’exploit arriva con l’apertura del suo primo ristorante, il Giardino. Inizialmente è abbastanza dura, soprattutto perché deve dimostrare che si tratta di qualcosa di serio e di duraturo nel tempo. Vi lavorano 42 persone e, dopo un paio di mesi dall’apertura, registra numeri che oscillano tra i 500 e gli 800 clienti al giorno.
D. Certamente la sfida nascondeva anche insidie. Hai mai avuto momenti di crisi o di sconforto o addirittura di voler chiudere e tornare magari a Göppingen ove ancora oggi vivono diversi tuoi familiari, anch’essi operanti in gastronomia?
R. Certamente ho avuto qualche momento di sconforto, ma caratterialmente sono una persona forte e non mi sono mai demoralizzato più del dovuto. I problemi ci sono sempre e la vita continua, ma non ho mai pensato di tornare indietro. Ci ho creduto dal primo momento. Se in una città come Dresda, capitale della regione della Sassonia con 500.000 abitanti, non avessi combattuto dal primo istante, avrei pensato di non essere in grado di far nulla. Con la forza della volontà si ottiene tutto. All’inizio amici e parenti mi affibbiarono il soprannome di “Gorbaciov”.
D. Quanta italianità si percepisce oggi a Dresda?
R. A Dresda non siamo molti. Siamo all’incirca 600/700 italiani.
D. In quali settori sono principalmente attivi?
R. La maggior parte dei connazionali lavora nella gastronomia o nelle fabbriche dove si producono chip elettronici.
D. Vi siete costituiti in qualche associazione?
R. Appena arrivato a Dresda conobbi delle professoresse universitarie tedesche, che parlavano perfettamente l’italiano. In pochi giorni demmo vita ad una associazione, denominata Deutsch-Italienisch Freundschaft e.V. Pagavamo una quota sociale di 25 marchi all’anno e l’ultimo venerdì del mese ci intrattenevamo nel mio locale per parlare di argomenti culturali italiani. Successivamente io organizzai eventi con complessi musicali, prodotti culinari italiani e bibite. Di questo ci sono anche pagine di giornali locali che ne parlano.
D. I vostri figli e nipoti hanno la possibilità di frequentare corsi di lingua e cultura italiana?
R. I primi miei due figli sono nati in Germania, ma hanno frequentato le scuole in Italia a Scafati (Salerno), cittadina di origine di mia moglie, dove si sono diplomati in ragioneria. Il mio ultimo figlio è invece nato in Italia ma ha frequentato le scuole qui in Germania. I nipoti sono tutti nati in Germania, ma parlano anche italiano.
D. Che cosa ti ricorda e ti lega ancora a Göppingen, città degli Staufer?
R. Göppingen per me è tutto. Quando i primi anni arrivai, tutti i venerdì c’era l’incontro tra italiani organizzato dall’azione cattolica, dove ci venivano spiegati i problemi di noi connazionali. Dopodiché guardavamo un film e si andava via soddisfatti, perché si erano conosciuti altri connazionali. Poi questi incontri vennero trasferiti in una grande sala nella zona industriale, chiamata Handelshof. Vi era una sala per i giovani, dove si potevano ballare vari generi musicali e ci si divertiva insieme; e un’altra per i più grandi dove ci si riuniva per giocare. Alla sala venne dato il nome di “Club bandiera gialla”.
D. Dopo mezzo secolo di vita e lavoro in terra tedesca, che cosa rappresenta oggi la Germania per te e per la tua famiglia?
R. Dopo più di mezzo secolo di vita in Germania ancora non sento di essere un vero cittadino tedesco. Però mi sento adottato, rispettato e amato, sia io sia la mia famiglia. Non poteva andarmi meglio di così. Devo molto anche alla città di Dresda. Ringrazio Dio per avermi dato più di quanto abbia mai sognato. E per questo cerco di fare sempre del bene. (tony mazzaro\aise)