“My Home’s Wind”: a Palermo la prima retrospettiva dedicata a Mario Merz in Sicilia

PALERMO\ aise\ - È stato inaugurato il 1° giugno al Padiglione ZAC - Zisa Arti Contemporanee il primo capitolo del progetto “My Home’s Wind”, che, promosso dalla Fondazione Merz, porta sino al 24 settembre nella città di Palermo la prima retrospettiva in assoluto dedicata all’artista Mario Merz in Sicilia.
Il progetto “My Home’s Wind” nasce per commemorare il ventesimo anniversario dalla scomparsa di Mario Merz, avvenuta a Milano il 9 novembre 2003. La grande retrospettiva siciliana, insediandosi negli spazi del Padiglione ZAC – Zisa Arti Contemporanee come parte del progetto ZACentrale, che vede la Fondazione attiva nel territorio palermitano sin dal 2021, segna il primo tempo di un percorso che attraverserà l’Italia.
In mostra per la prima volta a Palermo un’ampia selezione di opere che costruisce un arco narrativo della ricca e complessa produzione artistica di Mario Merz dal 1969 al 2002, ponendosi l’obiettivo di restituirne tanto la portata creativa quanto lo spirito critico e sperimentatore.
L’aspetto mutevole e inafferrabile del vento, tema guida della mostra, rispecchia l’approccio di Mario Merz all’opera d’arte, caratterizzato da un flusso creativo continuo in grado di affrontare le sfide concrete e cambiare traiettoria sino al raggiungimento del risultato finale. Con My Home’s Wind il visitatore è invitato a scoprire il lavoro di Mario Merz e a immergersi nel suo pensiero, addentrandosi all’interno di un percorso espositivo immaginato come l’artista stesso avrebbe potuto concepirlo.
“Eccoci, infatti, a chiederci ancora una volta dopo tutti questi anni: come farebbe Mario? Cosa si porterebbe a Palermo? Cercheremo attraverso le nostre mani le sue parole, costruiremo con le opere una nuova mostra, certamente “diversa” da come l’avrebbe fatta lui, ma rispettosa, poetica, scientifica, rigorosa, seppur con qualche seme di irrazionalità”, spiega Beatrice Merz, presidente della Fondazione Merz e curatrice della mostra.
Il percorso dell’esposizione ripercorre senza soluzione di continuità l’opera di Mario Merz, restituita attraverso ogni sua sperimentazione. Dalla struttura in metallo, rami, vetro e mastice che compone Acqua scivola (1969) si passa ai disegni in tecniche varie tratti della serie Senza titolo (1978) e alle sperimentazioni nella tecnica del collage di Senza titolo (1998). Dall’incontro tra tela, roccia, terra e neon scaturiscono lavori come Un albero occupa soprattutto tempo, due alberi occupano il medesimo tempo ma uno spazio maggiore e Senza titolo (1991). Cinque gli inconfondibili igloo che popolano l’esposizione, tracciando un percorso che porta dalla struttura metallica, gomma, vetri, giornali, neon, argilla di Senza titolo (1985) alle intersezioni con il neon di le case girano intorno a noi, o noi giriamo intorno alle case? (1994-1999) e Spostamenti della terra e della luna su un asse (2002). Non mancano le lavorazioni in tecnica mista, che spaziano da La natura è l’equilibrio della spirale (1976) a Il guardiano (1981), così come le caratteristiche sperimentazioni con il neon alla base di opere come Pittore in Africa (1984) e Fibonacci sequence (2002).
Il progetto “My Home’s Wind” proseguirà in autunno a Torino e altrove, offrendo un ricco palinsesto di eventi dedicati alla figura di Mario Merz. Il programma studiato per l’occasione vede il coinvolgimento di numerosi studiosi e amici che hanno condiviso passaggi importanti del percorso creativo dell’artista, cui si affianca la presentazione del primo volume del catalogo generale dell’opera di Mario Merz e il lancio di un nuovo documentario.
Mario Merz nasce il 1 gennaio 1925 a Milano e si trasferisce ancora bambino a Torino con la famiglia, di origine svizzera. Durante gli anni della II Guerra Mondiale abbandona gli studi universitari di Medicina e partecipa attivamente alla lotta anti-fascista. Arrestato nel 1945 durante un volantinaggio, inizia a disegnare in carcere. Dopo la liberazione, incoraggiato anche dall’amico Luciano Pistoi, decide di dedicarsi interamente alla pittura e nel 1954 inaugura la sua prima personale, presso la Galleria La Bussola di Torino, dove presenta dipinti di taglio espressionista.
A metà degli anni Sessanta la ricerca di Merz si sviluppa ed evolve verso una sperimentazione che lo porta a realizzare le “pitture volumetriche” (Mila Pistoi), costruzioni di tele che inglobano object trouvés, materiali organici o industriali, il cui inserimento nell’opera contribuisce a collocare l’artista tra i protagonisti dell’Arte Povera. Oggetti d’uso – il cestone, la pentola, l’impermeabile –, reperti organici – la fascina, la cera d’api, la creta –, materiali tecnici – il tondino di ferro, la rete metallica, il vetro, il neon –, citazioni non solo letterarie, si manifestano come energie fino ad allora trascurate dalla pratica artistica che Merz libera in “una somma di proiezioni interiori sugli oggetti”, traducendole a volte “direttamente negli oggetti” (Germano Celant), reinterpretandoli nel riposizionarli in un panorama di forme e pronunciamenti inediti. Lo costellano l’igloo (1969) e il tavolo (1973): l’uno “forma organica ideale, nel contempo mondo e piccola casa” che l’artista pretende abitabile, spazio assoluto non modellato ma “semisfera appoggiata a terra”; l’altro “la prima cosa per la determinazione dello spazio, pezzo di terra sollevata, come una roccia nel paesaggio”. Igloo e tavoli sono, nonché strutture primarie e archetipiche, dichiarazioni estetiche e socio-politiche insieme, nel loro rappresentare il superamento definitivo del quadro e del solipsismo dell’artista.
Dagli anni ‘70 la serie numerica di Fibonacci – progressione in cui ogni cifra è la somma delle due precedenti (0,1,1,2,3,5,8,13,21…), individuata nel 1202 dal matematico pisano Leonardo Fibonacci – è una presenza fissa nell’opera di Merz. L’artista la interpreta come emblema della dinamica relativa ai processi di crescita del mondo organico, collocando nei propri lavori le cifre realizzate in neon, dall’anteprima del Fibonacci Santa Giulia, appeso nella cucina dell’abitazione torinese (1968), alla Suite interrata lungo la linea 1 del tram di Strasburgo (1994), dai tavoli proliferanti pensati per John Weber (1973) alla folla di igloo presenti alla Kunsthaus di Zurigo (1985) e alla Salpêtrière di Parigi (1987) fino alla compenetrazione tra tavoli e igloo (dal Capc di Bordeaux, 1987, allo Stedelijk di Amsterdam, 1994).
La ricorrenza di determinate forme riconducibili tutte alla spirale, come il triangolo, il cono, il vortice, visualizzate artisticamente, desunte o intraviste in una serie infinita di elementi per lo più organici, come chiocciole, rami, foglie, pigne, corna, è legata alla stessa serie di Fibonacci, trascrizione numerica di una figura che, partendo dal punto zero, si espande all’infinito con un andamento, per l’appunto, spiralico.
Le grandi mostre degli anni Ottanta (Palazzo delle Esposizioni di San Marino, 1983; Guggenheim di New York, 1989; Castello di Rivoli e Museo Pecci a Prato, 1990) sono caratterizzate dal riemergere di una pratica pittorica che assume sempre maggior rilievo, diventando “lunga e veloce”, habitat naturale per animali selvaggi e “preistorici” come il rinoceronte, il coccodrillo, la tigre, il bisonte, il gufo, la chiocciola, portatori anch’essi di una ingenua primarietà. I ritratti degli animali sono “simbolici religiosi ma anche organici” affiancati e assemblati alle forme già dettagliate (l’igloo e il tavolo, e il loro riversamento su tela) e agli oggetti (il neon, la bottiglia, l’impermeabile, il giornale, l’albero dello “sciamano” Merz), con una cadenza proliferante e spiraliforme ritmata sulla serie di Fibonacci. Ma sono anche soggetti ad un processo di metamorfosi (procurato tecnicamente con l’abolire telaio e imprimitura, e con il lasciare che il colore imbeva la tela, “cosicché prenda l’imprimitura della pittura, piuttosto di essere un suo supporto”) che fa crescere zampe alla tela dipinta, in modo che questa possa diventare l’animale che ritrae.
A questo periodo intenso, durante il quale l’artista pubblica anche una ponderosa e programmatica silloge di scritti (Voglio fare subito un libro, 1985), segue una fase caratterizzata da un ritorno all’essenzialità della materia e del segno (personale alla Fundaçâo de Serralves, Porto, 1999). Ampio rilievo viene dato da sempre alla pratica del disegno, che diventa protagonista di una serie di installazioni di grandi dimensioni. Merz le espone a Nîmes, al Carré d’Art – Musée d’Art Contemporain (2000), ed esordisce in America Latina con una mostra personale alla Fundación Proa di Buenos Aires (2002). Partecipa a Zero to Infinity: Arte Povera 1962-1972 (2001), la prima antologica sull’Arte Povera nel Regno Unito organizzata dalla Tate Modern di Londra e dal Walker Art Center di Minneapolis. Delle numerose onorificenze assegnategli, particolarmente significative sono la Laurea Honoris Causa dal Dams di Bologna (2001) e il Praemium Imperiale dalla Japan Art Association (2003).
Tra le personali allestite dopo la scomparsa dell’artista si segnalano, accanto a quelle proposte dalla Fondazione Merz, la grande retrospettiva torinese ospitata nelle tre sedi torinesi della Galleria d'Arte Moderna, del Castello di Rivoli e della stessa Fondazione (2005); la monografica Disegni, al Kunstmuseum di Winterthur e poi alla Fondazione (2007); What Is to Be Done? (Henry Moore Institute, Leeds; Bildmuseet, Umeå, nel 2011-12); Mario Merz Arnulf Rainer. Tiefe weite (Fragmente) all’Arnulf Rainer Museum, Baden (2013); Pace Gallery, Londra (2014); Città Irreale, a Venezia, Gallerie dell’Accademia; Numbers are prehistoric, al Museum of Cycladic Art di Atene (2015); Igloos, con oltre trenta igloo ospitati dal Pirelli Hangar Bicocca di Milano (2018); l'ampia antologica El tiempo es mudo al Reina Sofía di Madrid (2019); e un allestimento a lungo termine alla Dia Art Foundation di New York (2020).
Nel 2021 La Fondazione Merz ospita una doppia personale dal titolo La punta di matita può eseguire un sorpasso di coscienza, con opere per lo più inedite di Marisa e Mario Merz. L'anno seguente è il Musée Rath di Ginevra a ospitare la coppia in una retrospettiva di ampio respiro; mentre il Palazzo delle Esposizioni, a Roma, allestisce per il ciclo 'mostra in mostre' il rifacimento della personale che l'artista - suggestivamente affiancato a grandi nomi del Novecento come Balla, De Chirico, Morandi - tenne nel 1978 alla Galleria dell'Oca. (aise)