L’ItaloAmericano/ Sinergia USA-Italia per restaurare l’opera d’arte “Giraffa Artificiale” - di Silvia Nittoli


LOS ANGELES\ aise\ - “Si chiama “Giraffa Artificiale” la scultura esposta presso il Museo di Storia Naturale di Milano dopo essere stata restaurata nell’ambito di un progetto avviato dal Getty Conservation Institute in collaborazione con il Museo del Novecento, il Museo delle Culture di Milano (Mudec) e il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale di Torino. L’opera, una giraffa scultorea alta 3 metri, realizzata in plastica rosa trasparente e di proprietà del Museo del Novecento, fu creata dall’artista italiano Gino Marotta nel 1973”. Come scrive Silvia Nittoli in un articolo pubblicato dal giornale bilingue di Los Angeles Italoamericano.org, “Il progetto è stato coordinato da una ricercatrice italiana, Anna Laganà, specializzata nella conservazione dei materiali plastici presso il Getty Conservation Institute (Gci) di Los Angeles.
Anna Laganà, romana, è una restauratrice e ricercatrice di arte moderna e contemporanea, entrata a far parte del Dipartimento scientifico del Getty Conservation Institute nel 2016 nell’ambito di una iniziativa dedicata all’Arte moderna e contemporanea. Il suo lavoro si incentra sullo sviluppo di strategie di restauro e conservazione per le plastiche presenti nelle collezioni museali e sulla realizzazione di workshop sulla loro conservazione”. Silvia Nittoli l’ha intervistata.
“D. Perché è stato importante il restauro di quest’opera?
R. La Giraffa Artificiale, di Gino Marotta, è un meraviglioso esempio di come gli artisti di quegli anni abbracciassero nuove tecnologie e utilizzassero prodotti industriali come la plastica per le loro creazioni. Il modo in cui Marotta, fin dagli anni ’60, ha lavorato con la plastica come mezzo artistico è stato sperimentale e innovativo. È stato un pioniere nel realizzare a mano sculture e installazioni complesse e monumentali con la plastica trasparente polimetilmetacrilato (PMMA), meglio nota come acrilico. Ha utilizzato questo materiale per esplorare il rapporto tra naturale e artificiale, creando un “Eden sintetico” fatto di piante, animali e ambienti colorati e trasparenti, in cui lo spettatore è invitato a immergersi. La Giraffa Artificiale è il più grande animale scultoreo realizzato dall’artista modellando e assemblando magistralmente 67 pezzi di acrilico.
D. L’opera “Giraffa Artificiale” può essere considerata un caso di studio. Perché?
R. Questa scultura è stata nei depositi del museo per più di venti anni a causa delle sue condizioni conservative non buone; l’opera era coperta da polvere e graffi, diverse parti della scultura erano rotte (fra cui una zampa) e mancavano vari frammenti. Purtroppo, molte opere d’arte in plastica trasparente una volta danneggiate vengono lasciate in deposito o alienate dalle collezioni, a causa della mancanza di trattamenti conservativi per restaurarle, in particolare per la difficoltà di ripristinare la loro trasparenza nelle zone danneggiate. Negli ultimi anni il Getty Conservation Institute ha condotto un’ampia ricerca per identificare materiali e metodi per restaurare gli oggetti realizzati con queste plastiche, in particolare il PMMA. Date le analogie con il restauro del vetro, la nostra ricerca ha analizzato anche diverse tecniche utilizzate per la conservazione di questo materiale trasparente. Di recente abbiamo completato questi studi di ricerca e abbiamo visto nella Giraffa Artificiale un caso di studio che racchiudeva tutte le sfide tipiche della conservazione delle plastiche trasparenti.
D. Qual è stato l’obiettivo principale del progetto?
R. L’obiettivo principale è stato quello di mettere in pratica i risultati ottenuti dalla ricerca del Getty attraverso il restauro di questa scultura monumentale, fornendo così ai restauratori dei metodi di restauro che consentissero di esporre nuovamente questa tipologia di opere d’arte. Il progetto, ha previsto diverse attività di divulgazione, tra le quali delle giornate di laboratorio aperto per i visitatori del museo e un workshop sulla conservazione dei materiali plastici che includeva anche l’illustrazione del restauro di questo caso di studio. Questo workshop, offerto a 22 restauratori italiani, è stato organizzato in collaborazione con il progetto italiano Storie di Plastica e si è svolto presso il laboratorio di restauro del Mudec.
D. Qual è il suo background e come ha scoperto la passione per la conservazione delle materie plastiche?
R. Mi sono laureata come restauratrice all’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro (Iscr) di Roma, uno dei più importanti istituti di formazione nel campo della conservazione, con una tesi sulla plastica. Da lì è nata la mia passione per la conservazione di questi materiali. In seguito, e prima di entrare al Gci, ho avuto l’opportunità di gestire la mia ditta di restauro e anche di lavorare all’interno di grandi istituzioni coprendo vari ruoli, tra i quali quello di coordinatore del Laboratorio di Restauro d’Arte Contemporanea presso il Centro Conservazione Restauro la Venaria Reale di Torino, di restauratore/ricercatore presso l’Agenzia per i Beni Culturali dei Paesi Bassi per condurre ricerche sulla conservazione delle plastiche e di docente per il Master in Conservazione dell’Arte Moderna e Contemporanea dell’Università di Amsterdam. Durante il periodo trascorso ad Amsterdam, ho lavorato a stretto contatto con Thea van Oosten, una delle prime scienziate ad aver condotto ricerca sulla plastica nel settore della conservazione. È stata una mentore per me e lavorare con lei ha contribuito indubbiamente ad accrescere la mia passione per la ricerca e per questi materiali.
D. Qual è la sfida più grande nella conservazione dell’arte moderna e contemporanea?
R. Le sfide in questo campo sono moltissime, ma la conservazione delle opere in plastica è sicuramente una delle più grandi. Le plastiche sono state utilizzate per realizzare un’infinità di oggetti e attualmente costituiscono una parte significativa del nostro patrimonio culturale. Il problema è che, questi materiali non sono stati progettati per durare in eterno. Purtroppo, negli ultimi trent’anni si sono rivelati molto instabili e hanno mostrato rapidamente segni di degrado. In alcuni casi, il degrado è così drammatico che opere d’arte realizzate con questi materiali non possono più essere esposte. Ecco perché la ricerca in questo campo è necessaria.
D. Quali sono gli altri progetti a cui ha lavorato negli Stati Uniti?
R. Nel corso degli anni ho avuto l’opportunità di lavorare con diverse istituzioni statunitensi. Ho collaborato con il Guggenheim di New York svolgendo ricerche e trattamenti di restauro su un gruppo di importanti opere plastiche dipinte in preparazione della mostra Moholy-Nagy: Future Present del 2016. Ho tenuto un workshop sulla conservazione delle plastiche presso il Conservation Center, Institute of Fine Arts della New York University. L’anno scorso sono stata invitata come docente annuale per la 2022 Brodsky Series for the Advancement of Library Conservation, presso la Syracuse University, dove ho anche fornito una consulenza sulla conservazione della loro collezione di plastica e, attualmente, sto collaborando con il Wende Museum di Los Angeles per un progetto incentrato sulla plastica nel design. Devo dire che sono state tutte delle collaborazioni fantastiche.
D. A quale altra opera d’arte in plastica vorrebbe lavorare prossimamente?
R. Vorrei sviluppare dei metodi per restaurare il nitrato di cellulosa, una delle materie plastiche più instabili, nota anche come celluloide. Molti oggetti iconici realizzati con questo materiale si sono letteralmente disintegrati. Vorrei che questa fosse la mia prossima sfida”. (aise)