Africa: nuove analisi ridefiniscono la frattura nella crosta terrestre che attraversa la parte orientale del continente

Mappa topografica dell'Etiopia che mostra la depressione di Afar, la parte settentrionale del sistema di rift che attraversa il continente africano. Derivata da SRTM 1‑ArcSecond DEM (circa 30 m) del Jet Propusion laboratory della Nasa.

ROMA\ aise\ - L’impiego di tecniche moderne per l’elaborazione di un vasto archivio di dati aeromagnetici inediti raccolti nella regione africana dell’Afar tra il 1968 e il 1969 e integrati con dati più recenti del Mar Rosso, Golfo di Aden e Yemen ha permesso di ricostruire in dettaglio la struttura crostale dell’area e di riesaminarne l’evoluzione da una nuova prospettiva, arricchendo e rafforzando le conoscenze sui grandi sistemi di rift.
Lo studio, dal titolo “A review of the 1968 Afar Magnetic Survey data and integration with vintage Red Sea and Gulf of Aden data”, è stato recentemente pubblicato sulla rivista Journal of African Earth Science e ha coinvolto un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dell’Università inglese di Keele e della P&R Geological Consultants australiana.
“L’Africa si sta lentamente dividendo in due parti, con una grande frattura che attraversa l’intero continente e che affonda le sue radici nella regione dell’Afar, nel nord dell’Etiopia”, spiega Riccardo De Ritis, ricercatore dell’INGV e co-autore dell’articolo. “Si tratta di un luogo unico al mondo in cui convergono tre grandi sistemi di rift — il Mar Rosso, il Golfo di Aden e il Rift dell’Africa Orientale — formando una delle aree geologicamente più attive e complesse del pianeta”.
In questa regione, i processi che assottigliano e rompono la crosta continentale sono osservabili direttamente in superficie, trasformando l’Afar in un vero laboratorio naturale per lo studio della dinamica crostale.
Grazie al recupero, alla digitalizzazione e all’analisi di un vasto archivio di dati aeromagnetici raccolti mezzo secolo fa nella regione dell’Afar e mai utilizzato prima, gli autori dello studio sono stati in grado di confermare che la rottura della crosta terrestre ebbe inizio con la separazione tra Africa e Arabia lungo le zone del Mar Rosso/Afar e del Golfo di Aden, mentre il Main Ethiopian Rift (MER) raggiunse la regione dell’Afar solo in una fase relativamente tardiva della sua storia tettonica.
“Con una lettura coerente del segnale magnetico, integrata con dataset più recenti provenienti dal Mar Rosso e dal Golfo di Aden, abbiamo potuto rafforzare un quadro già proposto in passato”, prosegue De Ritis. “L’analisi delle anomalie magnetiche rivela un aspetto cruciale per comprendere la tettonica dell’Afar. Nel settore meridionale della regione emerge in modo molto netto l’impronta WSW-ENE del trend del Golfo di Aden, mentre non compare alcuna traccia magnetica del più giovane Main Ethiopian Rift (MER), orientato verso NNE-SSW e noto per essere il ramo settentrionale del grande Rift dell’Africa Orientale. Procedendo verso nord, la situazione cambia: nell’Afar settentrionale le anomalie magnetiche si orientano secondo la direzione NW-SE del Mar Rosso, mentre più a sud si dispongono quasi perfettamente lungo il trend del Golfo di Aden. Questa doppia disposizione mette in evidenza le principali fratture geologiche che hanno guidato la separazione iniziale tra Africa e Arabia”.
Secondo i ricercatori, questo caratteristico allineamento magnetico indica che il rifting continentale si è sviluppato inizialmente lungo fratture profonde allineate con il Golfo di Aden e il Mar Rosso. Il Rift etiopico si sarebbe attivato solo in un secondo momento, probabilmente alimentato dalla risalita di un superplume mantellare sotto l’Africa orientale, processo tuttora attivo.
L’Afar costituisce un esempio straordinario di come la crosta continentale possa deformarsi, assottigliarsi e rompersi sotto l’effetto combinato del magmatismo profondo e delle spinte tettoniche. Su tempi geologici molto lunghi, questi processi potrebbero portare all’apertura di un nuovo oceano e alla divisione dell’Africa in due masse continentali distinte.
“Oltre all’importanza scientifica, i nostri risultati hanno evidenziato l’importanza di preservare e rivalutare i dati del passato poiché i modelli interpretativi possono cambiare nel tempo, ma i dati ben acquisiti durano per sempre”, conclude De Ritis. (aise)