“Drawing as Space”: all’IIC di New York la produzione su carta di Luciano Fabro

NEW YORK\ aise\ - Si è aperta ieri, 15 aprile, all’Istituto Italiano di Cultura di New York la mostra “Drawing as Space” che, organizzata in collaborazione con Paula Cooper Gallery, presenterà sino al 15 maggio la produzione su carta dell’artista Luciano Fabro (Torino, 1936 – Milano, 2007).
Tra i più importanti e noti artisti italiani dal dopoguerra ad oggi, Fabro è conosciuto per la sua approfondita e innovativa ricerca sulla scultura e sullo spazio, nonché per la sua intensa riflessione teorica e per il suo impegno come insegnante. Invece poco nota è la parallela attività su carta che svolge dai primissimi anni Sessanta alla sua scomparsa nel 2007. Le esposizioni incentrate su tale produzione, infatti, sono state soltanto tre – nel 2013 al Kunst Museum di Winterthur e alla GAMeC - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, nel 2014 al CIAC - Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno – e sono state accompagnate da due cataloghi (anche in lingua inglese) che hanno aperto, per la prima volta, una riflessione critica su questo argomento.
La mostra all’Istituto Italiano di Cultura di New York, curata da Ilaria Bernardi e Silvia Fabro, desidera approfondire la produzione su carta dell’artista, presentando un nucleo di opere esemplificative dei suoi due principali modi di intendere il disegno: da un lato come “studio per”, ossia strettamente legato ai lavori scultorei e installativi; dall’altro come “opera in sé” concepita appositamente per il supporto cartaceo.
Sebbene la loro genealogia sia differente, gli “studi per” e le “opere in sé” selezionate per questa esposizione hanno un comune denominatore: una riflessione sullo spazio, sia esso fisico, antropologico, o naturale, e sulla sua percezione nel rapporto tra realtà esterna e interna.
Nella prima sala della mostra sono esposte opere da intendersi come “studi per”, tra le quali: due Senza titolo del 1962 (che costituiscono una ricerca sulla percezione propedeutica alla realizzazione dei lavori successivi presentati alla prima mostra personale del 1965), nonché lo studio per Concetto spaziale, descrizione del 1967 e quello per Allestimento teatrale (concepito per il Teatro Stabile di Torino nel 1967 e realizzato nel 1975).
Accanto a questi studi legati alla dimensione concettuale e fisica dello spazio esterno a noi, sono presentati gli studi per Giudizio di Paride (1979-80) e per IO (l’uovo) (1978), i quali, assieme a un piccolo segno delineato su un post-it che potrebbe evocare uno spermatozoo o un segno primario, rinviano alla volontà dell’artista di “prolungare il proprio corpo in tutte le cose del mondo”, prendendo come riferimento misure antropiche e personali.
Connesse alla dimensione antropologica sono altresì le due opere appartenenti alla serie delle Macchie di Rorschach (1976) che simulano le macchie d’inchiostro dotate di una forma apparentemente senza senso impiegate dagli anni Venti per eseguire il cosiddetto test di Rorschach allo scopo di indagare la personalità di un individuo. Parte integrante delle Macchie di Rorschach sono i testi scritti dall’artista, intitolati Apologhi, associati agli esemplari della serie.
Il testo, dattiloscritto o autografo, è fondamentale all’interno della ricerca dell’artista che lo intende in numerosi casi come un elemento di immagine al pari dei suoi interventi pittorico o disegnativi (come nelle Macchie di Rorschach), in altre occasioni come titolo “parlante”, ossia atto a integrare la visione dell’opera suggerendo all’osservatore un’idea, un’immagine o il senso stesso di ciò che sta osservando (come in molte delle opere esposte nella seconda sala della mostra).
Nella seconda sala sono esposte opere su carta concepite come “opere in sé”, per lo più evocanti lo spazio naturale.
Otto elementi, analoghi a quelli utilizzati dall’artista per costruire la stanza intitolata Habitat delle erbe realizzata nel 1980 (coll. Musée Départemental d'Art Contemporain de Rochechouart), vogliono suggerire all’osservatore di immaginare le quattro pareti di quel Habitat, dove paesaggi e cieli si dispiegano ritmicamente trasformandole idealmente in un ambiente esterno, naturale, in cui lo spazio diventa un complesso schema di reazioni vitali.
Ribadisce tale concetto Tubo da mettere tra i fiori (1963), un’installazione site specific realizzata con un tubo d’acciaio telescopico “nascosto” tra un corposo gruppo di piante vere.
Altre opere su carta esposte conducono ad ulteriore sviluppo la riflessione sulla natura, facendo riferimento ad alcuni suoi elementi (Paesaggio rettangolo, 1999; Il viaggio del sole, 1993; Disegno di cielo, dal vero, 1992; Tramonto, 1995) nonché a specifiche dimensioni temporali (Segno di partenza, 1992; È proprio ora di seminare, 1994 e In principio, 2007).
Concludono la mostra due importanti lavori. Nel primo, Far di un cielo un senso (1997), Fabro, attraverso una poesia dattiloscritta (anche qui un testo è parte integrante del lavoro), oltre a evocare specifici elementi dello spazio fisico, antropologico e naturale, fa riferimento a differenti opere realizzate nel corso della sua attività artistica. Nel secondo, Disegno malato (1995), reinvia al concetto stesso di disegno, raffigurandolo come un segno ovoidale aperto e pertanto contenitore di spazio e di relazioni, “curato” amorevolmente dall’artista tramite l’apposizione di una benda, una carta da cucina ripiegata.
In concomitanza con l’esposizione Luciano Fabro: Drawing as Space, Paula Cooper Gallery presenterà un esemplare della celebre serie di opere dell’artista intitolate Piedi in una prossima mostra collettiva di sculture al 521 W 21st Street. I primi Piedi risalgono alla fine degli anni Sessanta e all'’inizio degli anni Settanta: sono costituiti da enormi artigli in vetro o metallo, ciascuno dei quali è posto al termine di un drappo in tessuto che scende dal soffitto. Piede Senile II (2000) è un “piede” astratto in bronzo con un’elegante texture plissettata realizzata con tessuto immerso nella cera. La forma a colonna dei Piedi e l’uso di materiali sontuosi evocano sia l’architettura classica italiana sia lo stile barocco.
Inoltre, opere di Fabro fanno parte delle più importanti collezioni museali degli Stati Uniti, come il San Francisco Museum of Modern Art, il New Orleans Museum of Art, l'Hessel/CCS Bard di Annandaleon Hudson (NY), il Museum of Modern Art e il Guggenheim Museum di New York, e altre importanti collezioni private. In particolare, un'importante collezione di sue opere è esposta in modo permanente al Magazzino Italian Art, a Cold Spring (NY): questa collezione comprende anche uno degli esemplari della Struttura ortogonale assoggettata ai quattro vertici a tensione (1964), i cui modellini sono esposti all'Istituto Italiano di Cultura.
“La mostra sulle opere su carta di Fabro segna un traguardo nella promozione dello studio e valorizzazione del disegno degli artisti italiani, ormai storicizzati, operanti dagli anni Sessanta. Solo affrontando l’ardua impresa di indagare e ricostruire scientificamente la loro attività su carta è possibile scoprire aspetti del loro pensiero finora sconosciuti e fondamentali per dare una nuova lettura all’intero loro operato”. (Ilaria Bernardi, curatrice della mostra).
“Lavorare sui disegni di Fabro è entrare in un territorio certamente fatto di arte, di ricerca, ma nello stesso tempo un mondo intimo, fatto anche di amicizie e legami”, afferma la curatrice della mostra, Silvia Fabro. “Sono infatti state rarissime le occasioni in cui l’artista ha deciso di mostrare pubblicamente i suoi disegni, invece molte sono state le occasioni in cui li ha donati a persone a cui era legato. Scoprire che vi erano numerosi suoi lavori su carta è stata quindi per molti una scoperta recente grazie alle prime mostre organizzate una decina di anni fa. Mostre che avevano proprio lo scopo di aprire una riflessione su questo suo ambito di ricerca e evidenziarne la stretta connessione col suo più noto lavoro come scultore. Eppure ogni nuova occasione che mi si presenta per approfondire questa sua ampia produzione crea in me un’emozione che è difficile spiegare se non con il piacere di ritrovare in essa quell’aspetto ludico, leggero e ironico del suo carattere tradotto con una delicatezza visiva, sensoriale ed emotiva che mi commuove”.
Luciano Fabro nasce a Torino nel 1936, ma all’età di sei anni, nel 1942, rientra con la madre a casa dei nonni materni in provincia di Udine. Nel 1959 si trasferisce definitivamente a Milano e partecipa attivamente al vitale clima artistico della città entrando immediatamente in contatto con gli artisti Lucio Fontana, Piero Manzoni, Dadamaino, Enrico Castellani e con la critica d’arte Carla Lonzi con la quale avrà un intenso sodalizio intellettuale fino al 1970, anno in cui Lonzi decise di abbandonare il mondo dell’arte per dedicarsi solo al femminismo.
Alla prima mostra personale a Milano, presso la Galleria Vismara, dal 12 al 26 maggio 1965 espone Buco, Impronta, Raccordo anulare, Ruota, Struttura ortogonale assoggettata ai quattro vertici a tensione, Tondo e rettangolo (quest’ultimo acquistato da Lucio Fontana).
Nel 1967 Germano Celant include l’opera Pavimento, Tautologia (1967) nella sezione “Arte povera” della mostra Arte Povera - Im Spazio tenutasi alla Galleria La Bertesca di Genova dal 27 settembre al 20 ottobre 1967. Fabro entra così a far parte del gruppo dei primi sei artisti scelti da Celant per presentare il modo di lavorare che questi hanno tra loro come punto in comune, un atteggiamento che Fabro riconosceva nel concetto francescano di un’attitudine ad una semplicità, “povertà”, densa di significati.
Fabro condividerà con gli artisti dell’Arte Povera tutte le occasioni espositive ed anche la riproposizione e rilettura storica che Celant fece di questo gruppo di artisti a partire dagli anni Ottanta.
Nel 1979, con l’artista Hidetoshi Nagasawa e la critica d’arte Jole De Sanna, fonda a Milano la Casa degli Artisti (chiusa nel 2007): un luogo di discussione, ricerca e scambio tra artisti di diverse generazioni.
Insegna dal 1983 al 2002 all’Accademia di Brera (le sue lezioni sono recentemente state pubblicate, in due volumi curati da Silvia Fabro, rispettivamente nel 2022 e nel 2023, dall’editore Libri Scheiwiller, Milano).
Oltre ad esporre in occasione della Biennale di Venezia (1972, 1975, 1978, 1980, 1984, 1986, 1993, 1997) e di Documenta di Kassel (1972, 1982, 1992), è stato oggetto di importanti retrospettive presso il PAC - Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, Milano (1980), Museum Folkwang, Essen e Museum Boymans-van Beuningen, Rotterdam (1981), Neue Galerie - Sammlung Ludwig, Aachen (1983), The Fruitmarket Gallery, Edinburgh, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Paris e Le Nouveau Musée, Villeurbanne (1987), il Palais des Beaux-Arts, Bruxelles (1988) il Museo d’Arte contemporanea del Castello di Rivoli (1989), la Fundació Joan Miró a Barcellona (1990), il Kunstmuseum Luzern (1991), il San Francisco Museum of Modern Art (1992), l’Openluchtmuseum voor Beeldhouwkunst Middelheim, Antwerpen e Palazzo Fabroni, Pistoia (1994), il Centre G. Pompidou di Parigi (1996), la Tate Gallery a Londra e il Centro de Arte Hélio Oiticica, Rio de Janeiro (1997), Musée Bourdelle, Paris (2004), il MADRE: Museo d'Arte Contemporanea Donnaregina a Napoli (2007) e il Museo Reina Sofia a Madrid (2015).
A partire dagli anni Ottanta realizza molte opere pubbliche in diversi paesi (Svizzera, Corea, Giappone, Olanda, Belgio, Norvegia e Italia).
Sue opere sono nelle collezioni dei maggiori musei quali ad esempio, il Centre Pompidou a Parigi, la Tate di Londra, il San Francisco Museum, il Reina Sofia di Madrid, il New Orleans Museum of Art, The Museum of Modern Art and the Guggenheim Museum in New York e il Guggenheim Museum a New York, e in altre importanti collezioni private o pubbliche.
Amplissima è inoltre la sua produzione teorica raccolta in diverse pubblicazioni tradotte in diverse lingue. (aise)