BELLA GERMANIA, UNA STORIA ITALO-TEDESCA – di Flaminia Bussotti

BERLINO\ aise\ - “L’auto, la cucina, la passione, la famiglia, il tedesco stentato: il catalogo dei luoghi comuni sugli italiani è completo. Eppure, Bella Germania (titolo italiano), primo romanzo dello sceneggiatore Daniel Speck (Fischer Verlag, 624 pagine, 14,99 euro), è una dichiarazione d’amore all’Italia: un libro sincero, onesto e pertinente sul Bel Paese. In più, molto avvincente, che si legge in un baleno e da cui dispiace separarsi alla fine. Il ricorso ai tanti clichés esistenti da ambo le parti (e in gran parte con un fondamento di verità) ha una funzione taumaturgica: serve ad abbattere quegli stessi pregiudizi”. A scriverne è Flaminia Bussotti su “Il Deutsch-Italia”, quotidiano online che Alessandro Brogani dirige a Berlino.
“Il romanzo, con una narrazione naturalmente cinematografica, sarà adattato per la tv e girato questa estate per il secondo canale ZDF in una miniserie di tre puntate di 90 minuti ciascuna. Il libro sarà anche tradotto e pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer.
Uscito nel 2016, Bella Germania è risultato il debutto letterario di maggiore successo dell’anno e ha conquistato finora per 25 settimane i vertici della classifica di Spiegel (Paperback) dei libri più venduti in Germania, in concorrenza quasi con Elena Ferrante, che campeggia fra i bestseller rilegati.
È il racconto di una storia di famiglia, di emigrati siciliani in Germania, lungo tre generazioni. Fatti reali, personaggi fittizi. Una specie di 100 anni di solitudine ambientato fra Milano, Bresso, Monaco, Napoli e Salina: un Amarcord italo-tedesco sullo sfondo delle prime ondate di emigrati italiani, i Gastarbeiter, in Germania e del miracolo economico tedesco reso possibile proprio grazie anche al contributo della manodopera straniera.
Tutto comincia a Milano, dove pure c’erano nel dopoguerra tanti emigrati dal Sud Italia, Sicilia in particolare. Nel 1954 un giovane ingegnere tedesco, Vincent, viene mandato da Monaco a Bresso per preparare accordi fra la Iso e la Bmw che versava allora in cattive acque. Nascerà poi, frutto di lungimiranza e genialità italo-tedesca, la Isetta, vetturetta a forma di uovo con sportello frontale divenuta culto in Germania fra il ‘55 e il ’62 e che non attecchì invece in Italia. Oltre che dalle auto, Vincent rimane folgorato da Giulietta, la segretaria interprete, bellezza siciliana di cui si innamora, ricambiato, a prima vista, ma che è promessa a un compaesano.
Passano gli anni e il racconto di questo amore tragico, attraverso le avventure dei due protagonisti e degli altri comprimari, è rivelato poco alla volta, con intenso crescendo drammaturgico, e grande suspense, dall’ultima rappresentante della linea genealogica, Julia.
Monaco 2014: Julia è una stilista di moda in procinto di sfondare. Nella testa le parole di un distinto signore tedesco, Vincent, che a una sfilata a Milano l’avvicina e le dice di essere suo nonno e che suo padre, Vincenzo, è vivo. Uno shock per lei perché cresciuta credendosi figlia di ragazza madre, senza mai conoscere il padre perché la madre, una tedesca sessantottina con trascorsi di terrorismo, le aveva detto che era morto.
Comincia per il lettore un lungo viaggio di qua e di là del Brennero. Viaggio geografico fra i paesaggi e la diversa cultura dei due Paesi, ma anche viaggio formativo alla scoperta dell’identità di Julia e dei personaggi – il padre Vincenzo, lo zio Giovanni e la nonna Giulietta – che, a sua insaputa, sono stati parte della sua famiglia invisibile che si appalesa poco a poco.
Noi del Deutsch Italia abbiamo intervistato l’autore, Daniel Speck.
D.
Come è nato questo romanzo, ci sono italiani nella sua famiglia?
R. No, sono nato a Monaco, ma ho studiato Cinema a Roma alla metà degli anni ‘90, ho molti amici lì. Amavo molto il Neorealismo, Zavattini, Guerra, Antonioni, Fellini. Mi sono imbattuto nei clichés che continuano ad esistere. Con l’idea che i tedeschi sono ordinati, ad esempio, ho sempre trovato facilmente case da affittare a Roma. Negli anni ‘60 invece in Germania era difficile per gli italiani, perché prevaleva l’idea che fossero rumorosi, facessero puzza in cucina, tanti bambini, la mafia ecc. Nella percezione dei tedeschi gli italiani erano poveri e poco istruiti, il che secondo me è assolutamente sbagliato.
D. La Isetta, i personaggi, Milano, la Sicilia: finzione o realtà?
R. La storia dell’Isetta e tutti i fatti narrati sono veri. I personaggi invece sono fittizi. L’Isetta era culto in Germania, il simbolo del miracolo economico. Per il romanzo ci sono voluti otto anni di maturazione e due, fra Monaco e Salina, per scriverlo. Ho viaggiato molto e ricercato tutti i dettagli. Ma come poi la storia e i caratteri abbiano preso forma è un vero mistero. Scrivendo, avevo l’impressione che la famiglia Marconi fosse veramente esistita: Giulietta, una donna degli anni ‘50 che sacrifica la sua passione per la moda per la famiglia, e Julia, giovane stilista di oggi, che viceversa sacrifica la famiglia per il suo talento creativo.
D. Alla fine si ha l’impressione che nell’interazione dei personaggi gli italiani ne escano meglio dei tedeschi, almeno da un punto di vista umano: direi 1- 0 palla al centro per l’Italia…
R. Ho voluto rendere omaggio a questa generazione italiana di Gastarbeiter. Hanno reso un grande servizio, hanno fatto immensi sacrifici pensando solo ai loro figli, e non hanno avuto in Germania il riconoscimento che meritavano. Hanno contribuito al miracolo economico, hanno dato tutto. Per me era importante sottolineare i loro meriti. La prima generazione è quella dei sacrifici, la seconda quella dei vantaggi avendo i figli più chance dei padri essendo nati qui. È una straordinaria storia di successo e vuole essere anche un incoraggiamento per l’integrazione dei nuovi migranti. Una storia che mostra come l’Europa sia un modello di successo, è cresciuta in questo modo insieme, per questo ho voluto cominciare il romanzo nel dopoguerra. È una storia di famiglia ma riflette anche, pur non essendo un romanzo politico, un microcosmo della società. L’emigrazione era frutto di un accordo fra Gronchi e Adenauer: la Germania non aveva manodopera e l’Italia non aveva lavoro. La politica fa i piani ma poi la gente mette radici e le famiglie cambiano il continente.
“Wir riefen die Arbeitskräfte – dice Speck citando una frase dello scrittore svizzero Max Frisch – und es kamen die Menschen” (abbiamo chiamato la forza lavoro e sono venuti gli uomini)””. (aise)