CARMENATI (AICS) AL WEWORLD INDEX 2018: ANCORA LUNGA LA STRADA PER UN’EDUCAZIONE INCLUSIVA ANCHE IN ITALIA

ROMA\ aise\ - “Un bambino, un insegnante e un libro e una penna possono cambiare il mondo”. La frase del premio Nobel per la Pace, Malala, citata dal direttore vicario dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, Lorenzo Carmenati, non potrebbe spiegare meglio il senso del report, presentato il 18 aprile alla Farnesina da WeWorld onlus.
Molti gli interventi autorevoli che si sono succeduti nel corso del convegno. Il vice ministro agli Affari Esteri e Cooperazione internazionale, Mario Giro, ha fatto riferimento alla crisi siriana, un conflitto che dura da sette anni e che vede proprio le donne e i bambini come principali vittime.
Le problematiche legate al mondo dell’infanzia e l'impellente necessità di investire nell’istruzione per ridurre la povertà, sono state al centro del dibattito e del rapporto presentato da WeWorld. “La classifica che emerge dal WeWorld Index 2018 prende in considerazione tanto i Paesi europei, a noi geograficamente vicini, quanto i Paesi extraeuropei”, ha detto Marco Chiesara, presidente WeWorld Onlus. “Ciò rende immediatamente visibili le dimensioni sociali, economiche, ambientali e culturali in cui un intervento a favore dell’inclusione delle fasce di popolazione più a rischio di esclusione va attuato, per la costruzione di società più giuste ed eque”.
In Italia bambine, bambini, adolescenti e donne rischiano più che in tutti gli altri Paesi europei di subire esclusione sociale e di essere maggiormente esposti alla povertà rispetto ai maschi adulti. L’Italia è fanalino di coda tra i Paesi europei, perdendo, rispetto agli anni precedenti, ben 9 posizioni: oggi è 27° su 171 Paesi, mentre era 18° su 167 nel 2015. Anche rispetto al gruppo del G20 l’Italia è tra i 6 Paesi con la performance peggiore.
In cima alla classifica, tra i Paesi più virtuosi troviamo quelli del Nord Europa con in testa l’Islanda con 112 punti (53 in più rispetto all’Italia), che per la prima volta scalza la Norvegia, mentre chiude la classifica la Repubblica Centrafricana con -146 punti. Si posizionano al 27° posto, come l’Italia, anche gli Stati Uniti, seguiti da Brasile (78° -17 posizioni), Argentina (41° -6 posizioni), Messico (75° -20 posizioni) e Turchia (92° -8 posizioni).
Su 171 Paesi presi in considerazione dal WeWorld Index, sono 100 quelli in cui WeWorld ha rilevato forme insufficienti di inclusione come il Nepal o la Cambogia (rispettivamente al 121° e 114° posto) o forme gravi o gravissime di esclusione come il Benin, in 143° posizione, e il Kenya in 130°. Si tratta di 100 Paesi in cui si concentra il 59% della popolazione mondiale (54% nel 2017).
Il documento presentato alla Farnesina, ha dichiarato il direttore vicario dell’AICS, Lorenzo Carmenati, “rappresenta uno stimolo e un punto di riferimento per il nostro lavoro. Abbiamo molto da fare: non c’è ranking tra le priorità, occorre fare tutto e bisogna farlo entro un determinato tempo e diffusamente, cioè ovunque occorra. WeWorld ha lanciato delle sfide, dal punto di vista umanitario, adesso sta a noi fare sistema. La prima priorità dell’AICS è agire, agire con intelligenza e con coerenza per raggiungere questi obiettivi”.
La novità del WeWorld Index 2018 è proprio la centralità data alla dimensione educativa. Considerata come elemento fondamentale per l’inclusione di donne, bambine, bambini e adolescenti all’interno della società, l’educazione diventa il mezzo attraverso cui un Paese riesce ad evolversi, garantendo i diritti fondamentali di eguaglianza e pari accesso alle risorse a donne e uomini indistintamente.
Sono 5 le barriere da eliminare, secondo il WeWorld Index 2018, per assicurare a tutti i bambini e bambine l’accesso a un’educazione inclusiva, elemento primario e fondamentale per la creazione di una società più equa: scarsa nutrizione, che blocca o limita la partecipazione scolastica; migrazione, che interrompe i percorsi d’istruzione; discriminazioni di genere, radicate in norme e consuetudini; violenza nelle relazioni sociali e familiari; povertà educativa che, in combinazione con quella economica, diventa ereditaria.
Per ciascuna delle 5 barriere WeWorld onlus ha individuato 5 Paesi in cui sono particolarmente presenti. Si parte dal Kenya, dove la denutrizione ostacola la partecipazione scolastica dei bambini. Nella contea di Mingori il 26,4% dei bambini con meno di 5 anni soffre di denutrizione cronica e il 9% è sottopeso. Segue l’India, dove il 40% dei migranti sono minori di 18 anni e il 34% dei bambini convolti negli spostamenti abbandona il percorso di studi.
A rappresentare la discriminazione di genere, secondo il WeWorld Index, è il Nepal. Qui al 37% delle bambine è imposto un matrimonio combinato prima dei 18 anni, con conseguente abbandono della scuola, gravidanze precoci ed esclusione sociale. In Brasile la violenza permea le relazioni sociali e famigliari, con conseguenze sul clima scolastico, il rendimento e la frequenza.
Infine è l’Italia a rappresentare l’ereditarietà della povertà educativa. Qui infatti solo l’8% dei giovani figli di genitori senza diploma di scuola superiore si laurea, rispetto al 68% di laureati provenienti da famiglie in cui entrambi i genitori hanno conseguito un diploma di laurea.
Dall’analisi di WeWorld Onlus emerge inoltre che la dispersione scolastica nel Mezzogiorno è superiore al 20% e che 1.292.000 di ragazzi under 18 vivono in condizioni di povertà. Inoltre il 9,4% della popolazione studentesca con cittadinanza non italiana è 3 volte più a rischio di dispersione rispetto ai coetanei.
Tanto nei Paesi meno sviluppati, Kenya e Nepal, quanto in quelli più sviluppati come Brasile o Italia, ci sono ampi margini di miglioramento. Bisogna quindi ribaltare l’assunto che investendo nello sviluppo economico si esce dalla povertà e si migliorano le condizioni sociali e l’accesso all’istruzione. È infatti vero il contrario: investire nell’educazione e contrastando le 5 barriere con la cooperazione internazionale allo sviluppo si riduce la povertà e si favorisce anche lo sviluppo economico. (aise)