IL CGIE A MATERA/ VERSO IL MUSEO DELL’EMIGRAZIONE A GENOVA: APERTURA ENTRO IL 2021

MATERA\ aise\ - “Siamo impegnati in questa nuova avventura” grazie ad un “lavoro di squadra con il MIbac e il MAeci”. Così Pierangelo Capodolico ha introdotto il video di presentazione del nuovo Museo dell’emigrazione nazionale che nascerà a Genova, di cui è curatore, nella seconda giornata di lavori del Cgie a Matera.
Quella italiana è “un’emigrazione vasta nei numeri, nelle storie e nelle situazioni che tocca. Non c’è nessuno che possiede questa storia completamente, è come un vetro spezzato” i cui frammenti “sono sparsi in tutto il mondo e sono diversi per grandezza, dimensione, luminosità, ma tutti rispecchiano una storia”.
Perché il museo nazionale a Genova? “Non è la terra di più grande migrazione, ma rispetto ai territori, Genova è stata un po’ l’imbuto dell’emigrazione, il luogo dove storicamente la gente s’imbarcava sui bastimenti per le destinazioni transoceaniche”. Genova “porta del mondo”, per molti “era l’ultimo pezzo d’Italia che vedevano” con la Lanterna che svaniva piano piano. Il Museo avrà sede nella Commenda a Via Prè, ha spiegato Capodolico, centro di un quartiere “dove i migranti passavano settimane, anche mesi in attesa di imbarcarsi”. Inoltre la Commenda, “edificio medievale”, nel passato “ospitava i pellegrini di passaggio”.
Il MEI “vuole raccontare la storia dell’emigrazione italiana dall’Unità del Paese fino alla contemporaneità” perché “la migrazione non è un fenomeno finito”. Per questo, ha sottolineato Capodolico, “noi non dobbiamo guardare solo al passato, ma dobbiamo arrivare alla contemporaneità e studiare tutte le forme di migrazione. Dalla prima (quella transatlantica), fino a quella europea. C’è poi la migrazione interna, con le persone che da sud a nord e viceversa di trasferivano per lavorare”.
La migrazione “è quasi una condizione esistenziale. Ancora oggi – ha osservato – si ha una percezione del fenomeno migratorio come fenomeno negativo. Certamente lasciare il proprio Paese è doloroso, ma noi abbiamo il dovere di essere orgogliosi della storia della migrazione, come un fattore di crescita del nostro mondo”. Perché l’emigrazione “non è stata solo la storia di valigie di cartone, è stata una storia che ha segnato e cambiato la storia del mondo globale”.
Gli italiani “hanno avuto un’influenza di grandissima portata in tanti campi”, e il MEI “vuole raccontarlo”.
“Altri popoli rivendicano con orgoglio il proprio ruolo nel mondo, come gli irlandesi”, ha ricordato il curatore del Museo, secondo cui “anche noi dobbiamo essere orgogliosi della storia migratoria”.
Una cosa “non scontata” alla luce di un “approccio del passato che è stato di chiusura”.
I modelli di riferimento del Museo “non sono italiani”, ha spiegato Capodolico, ma esteri come l’EPIC, il museo dell’emigrazione irlandese, ma anche altri musei tedeschi, per un “approccio diverso, innovativo” verso “uno story telling della migrazione”. Anche perché i primi fruitori del Museo, per Capodolico, dovranno essere i giovani, anche “per necessità” perché loro “non sono separati dalla storia della migrazione, anzi, ne sono protagonisti. Noi dobbiamo dar loro la percezione di cosa sia globalmente il fenomeno migratorio e di come possa essere un’opportunità e non una condanna”.
Il Museo dovrà rivolgersi ad un pubblico soprattutto “italiano”, perché “molto spesso si è prodotta in questi anni una sorta di amnesia collettiva di noi come popolo di migranti, e questa è una perdita di coscienza che ha impatti sul nostro livello di civiltà estremamente importanti”. Il MEI, dunque, “ci esorta a non perdere la memoria”.
E poi, ovviamente, il Mei vuole rivolgersi agli italiani all’estero: “italiani di generazioni seconde e terze alla ricerca della propria identità, delle radici. Un luogo come il MEI è un piccolo contributo, che certo non risolve tutto, ma può essere al centro di una rete”. Infine, gli stranieri “perché vogliamo raccontare con orgoglio la nostra storia anche a loro”.
Ricordato che il palazzo che ospita il Museo “è medievale”, Capodolico ha spiegato che questa struttura “ci obbliga ad essere delicati e propensi alla multimedialità”. Quindi il Mei “non è un museo di oggetti, teche, vetrine” ma “un museo immersivo e interattivo, un museo coinvolgente con contenuti molto strutturati”, grazie anche alla collaborazione di Istituto Luce, Rai Teche, Istituto centrale dei beni audiovisivi, dell’archivio diaristico nazionale e dei musei locali dell’emigrazione. Un Museo “al centro di una rete di relazioni”, di cui fa parte anche il Cgie.
Il rapporto con il Consiglio generale “è estremamente importante, perché è il collegamento tra il MEI e le comunità all’estero, da cui vogliamo contributi, storie”.
Il MEI “è un museo vivente, un interlocutore di tutti i luoghi della migrazione italiana” e che per farlo avrà 5 milioni di euro “stanziati dallo Stato, più altri fondi messi in campo dalla Fondazione San Paolo”. Un museo, ha concluso Capodolico, “che contiamo di aprire entro il 2021”. (g.z.\aise)