QUELLA PASSIONE PERICOLOSA PER L’AMERICANO

ROMA – focus/ aise – La passione per la letteratura, in alcuni contesti storici, può essere pericolosa. È il caso della passione per gli autori americani di Cesare Pavese che, durante il periodo fascista, quasi si vide negare la possibilità di discutere la tesi di laurea perché incentrata sull’opera del poeta Walt Whitman.
Non si è trattato di un amore passeggero, il suo, ma di qualcosa di profondamente viscerale, che ha reso Pavese – tra i maggiori autori italiani contemporanei – anche uno dei maggiori traduttori, contraddistinto da uno stile sobrio ed elegante, molto attento a mantenere inalterato il testo originale.
Tra le traduzioni più famose, quella di Moby Dick, di Herman Melville, 42° Parallelo, di John Dos Passos e Ritratto dell’artista da giovane, di James Joyce, tutti autori invisi al regime fascista.
Come se non bastasse, la biblioteca di Pavese contava volumi di alcuni tra gli autori più vietati a quell’epoca: Hemingway, Cummings, Lee Masters e molti altri. Arrestato dalla polizia fascista e relegato in esilio in Calabria, al suo ritorno, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale, su incarico di Luigi Einaudi e della neonata casa editrice, riprende l’attività di traduttore, lavorando su testi di Steinbeck, Dickens, Stein, Defoe. Con il passare degli anni, poi, Pavese si concentrerà sulla sua produzione originale, divenendo uno degli autori italiani più famosi sia nella poesia che nella prosa, ma – ad oggi – viene universalmente riconosciuto come uno degli intellettuali che contribuì a diffondere in Italia la passione per la letteratura americana. (focus\ aise)