11 SETTEMBRE: IL RICORDO DI UN TESTIMONE D’ECCEZIONE, L’AMBASCIATORE FRANCESCO TALÒ – di Alessandro Butticé

BRUXELLES\ aise\ - Mercoledì 11 settembre, al quartier generale della Nato, a Bruxelles, presso il Comando Alleato Operazioni (Aco) di Mons, in Belgio, e presso il Comando alleato per la trasformazione (Act) a Norfolk, in Virginia, tutte le bandiere erano a mezz’asta. Alla presenza di tutti i rappresentanti permanenti degli Stati membri dell’Alleanza, tra i quali, per l’Italia, l’ambasciatore Francesco Maria Talò, i ricordi sono stati affidati agli interventi del segretario generale Jens Stoltenberg e della rappresentante Usa Kay Bailey Hutchison, con un minuto di silenzio a chiudere la cerimonia alle 14:46, l’ora precisa del primo attacco contro la torre nord del World Trade Center diciotto anni fa.
La ricorrenza mi ha fatto rileggere – come ormai una consuetudine, ogni 11 settembre - una significativa mail dell’ambasciatore Talò, che all’epoca era in servizio presso la Rappresentanza Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite, a New York, in risposta alla mia richiesta di notizie sue e dei suoi cari. Un’email che conservo preziosamente, non solo per l’antica amicizia nei confronti dell’attuale rappresentante permanente d’Italia presso il Consiglio Atlantico, ma anche perché la considero una testimonianza vissuta in prima persona. Testimonianza di un evento drammaticamente storico, scritto con lo stile asciutto del cronista, oltre che del diplomatico. Seppure in un contesto di evidente emozione personale.
Voglio condividerlo con i nostri lettori a ricordo di quel dannato giorno: chiunque l’abbia vissuto, in qualunque parte del mondo, non potrà mai scordare cosa stesse facendo nel preciso momento in cui ha appreso la notizia della distruzione delle Torri Gemelle.
"Caro Alessandro, vi ringraziamo molto per aver pensato a noi in queste straordinarie giornate che potrebbero cambiare la nostra storia. Noi stiamo tutti bene.
In questo momento, così come in tutte le ore trascorse, New York è bellissima. Giornate di rara bellezza, almeno qui a Midtown. A pochi chilometri da qui, invece, è l'inferno. Non riusciamo a staccarci dalla televisione. Lo stesso fanno i newyorkesi che si raggruppano, spesso molto numerosi, davanti agli schermi dei bar o quelli dei centri commerciali.
La successione degli avvenimenti di questa mattina ci ha lasciato sgomenti. Abbiamo vissuto "in diretta" eventi che ci sembravano inverosimili. Non avremmo accettato una simile sceneggiatura neanche in un film di fantapolitica. Invece è la realtà. Non solo quella della televisione, ma quella che viviamo noi stessi, che vediamo con i nostri occhi. Ieri mattina, alle nove, in ufficio i colleghi increduli mi invitavano a vedere l'enorme pennacchio di fumo sulle Twin Towers, che si vedono molto bene all'orizzonte dalle finestre del nostro archivio (siamo al 24mo piano).
Poi qualcuno ha anche visto l'esplosione provocata dal secondo attacco aereo (quella incredibile immagine che voi come noi avete visto in tv). Quindi tutti davanti alla televisione a seguire le notizie, una più sorprendente dell'altra: i dirottamenti aerei, gli attacchi a Washington, "America under attack". Nel frattempo cercavamo di raggiungere Roma, il Ministero, i parenti e qui le famiglie, ma i collegamenti telefonici sono presto entrati in crisi e le comunicazioni non sempre funzionavano. Finalmente sono riuscito a raggiungere Ornella, che da poco aveva accompagnato Paolo alla scuola (l'asilo), che da pochi giorni ha con sua grande felicità iniziato a frequentare a tempo pieno. Dopo un po' Ornella è entrata in contatto con le scuole di Teresa, di Angela e di Paolo. Tutte hanno deciso di chiudere, ma attendevano l'arrivo dei genitori prima di consentire l'uscita da scuola. Quindi Ornella si è dovuta incamminare a piedi per raggiungere i tre diversi istituti e quindi tornare a casa. È stata una lunga camminata (una decina di chilometri) attraverso una Manhattan all'apparenza intatta, ma in realtà colpita al cuore. Chiusa la metropolitana e le linee ferroviarie, introvabili i taxi, pochi ed affollati gli autobus, il traffico privato ridotto al minimo e poi quasi del tutto eliminato (chiusi i ponti e gli accessi a Manhattan, mentre molte strade sono state interdette per evitare ostacoli ai soccorsi).
Centinaia di migliaia di persone si sono riversate nelle strade assolate, che sembravano più belle del solito. Scene straordinarie, molta calma, anche visi sorridenti (molti non riuscivano a rendersi conto dei drammi personali, che la tv non aveva ancora documentato e gli eventi sembravano più cinematografici che reali). Un'atmosfera davvero surreale, d'altra parte anche lunghe code per donare il sangue. Frattanto anche i palazzi dell'ONU sono stati evacuati, incluso il nostro, che è un grattacielo a due passi dalle Nazioni Unite, dove hanno sede moltissimi uffici. A metà mattina sono stato tra gli ultimi a lasciare l'ufficio, dopo aver attivato le procedure del caso.
Stiamo così nell'incertezza sul nostro lavoro, sul futuro dell'ONU, ma anche per l'immediato sul Vertice sull'infanzia, che tra una settimana avrebbe dovuto portare qui molti capi di Stato e di Governo, ministri (per l'Italia Maroni) e delegazioni parlamentari, ma è stato oggi deciso di rinviarlo. Attendiamo di sapere cosa sarà deciso per la "settimana ministeriale" per l'apertura dell'Assemblea Generale, che dovrebbe iniziare il 24 con la partecipazione di Ruggiero con decine di altri ministri ed il primo intervento di Bush all'ONU.
Ieri sera sono rimasto costretto a casa, che ho raggiunto naturalmente a piedi. Mi sono fermato con dei colleghi da Cipriani (sulla quinta vicino a casa) per avere notizie dei nostri connazionali e se avevano qualcuno coinvolto nel disastro. Mi ha colpito il commento di un cameriere italiano: "voi almeno avete un lavoro". È questo ciò a cui pensano molti preoccupati per le prospettive economiche? Oggi l'ufficio è stato riaperto ufficiosamente (il nostro edificio ufficialmente è ancora chiuso) per le attività di emergenza e stiamo anche collaborando, anche con turni notturni, con il Consolato, che sta fronteggiando la crisi più acuta per prestare assistenza ai connazionali.
Mi dispiace di aver ricambiato la vostra cortesia infliggendovi questo sproloquio.
Un cordialissimo saluto da noi tutti, sperando di rivedervi presto magari a New York.
Francesco".
Rileggendo questa mail, che conservo come prezioso documento e testimonianza storica, ho voluto chiamare l’ambasciatore Talò, la cui carriera, da quel drammatico evento, ha seguito un filo conduttore che, dopo averlo riportato a New York come console generale italiano e poi ambasciatore in Israele, lo ha condotto quest’anno ad essere il rappresentante italiano alla NATO. "L’11 settembre mi ha davvero cambiato la vita", mi ha confessato l’alto diplomatico. "Ero a New York quel giorno, quando gli Stati Uniti e tutto il mondo occidentale furono sotto attacco. Dieci anni dopo, l’11 settembre 2011, ho desiderato essere assieme alle nostre truppe ad Herat. Ed oggi mi trovo a rappresentare il nostro Paese alla NATO. Ho avuto il privilegio di essere testimone del fatto che, anche se la battaglia continua, chi ci ha attaccato non ha vinto e mai vincerà. E questo soprattutto perché la nostra alleanza a difesa delle nostre libertà è più forte del loro odio".
La difesa collettiva NATO venne utilizzata per la prima volta nella storia della Nato "in una situazione che i fondatori dell’Alleanza non avevano previsto. Non si trattava infatti di una minaccia tradizionale, convenzionale o nucleare, proveniente da un nemico dell’Est, ma di un attacco terroristico attuato con mezzi sorprendenti. Un vero attacco al cuore dell’Occidente". Quella solidarietà atlantica diede inizio alla missione in Afghanistan che, nonostante tutto e i tanti caduti in quella battaglia di libertà, ha dato i suoi frutti, come mi ha ricordato Talò.
"Da quel momento tengo una bandiera americana, simbolo di libertà, accanto a me nel mio ufficio, ovunque sia la mia sede di servizio", mi ha raccontato Talò. Aggiungendo che per lui quella bandiera è il simbolo della "manifestazione concreta della solidità del legame transatlantico, a difesa dei nostri valori e del nostro stile di vita. Non solo degli Usa, ma di tutti gli alleati".
Alla mia domanda su come abbia vissuto la celebrazione dell’11 settembre, 18 anni dopo, qui a Bruxelles, quale rappresentante italiano alla Nato, mi ha risposto: "È stata una toccante e significativa esperienza, quella di assistere alla cerimonia nella sede della Nato. Soprattutto perché celebrata davanti a due monumenti di enorme valore simbolico: un grosso frammento delle Torri gemelle, dove è stata posta una corona di fiori, e un pezzo del Muro di Berlino". Due monumenti che ricordano, soprattutto ai giovani, "due eventi fondamentali nella storia dell’Alleanza Atlantica e di tutto l’Occidente", con un curioso e misterioso intreccio dei numeri 9 e 11 delle due date. "Il 9 novembre (9/11) è il giorno della caduta del Muro di Berlino, la fine della Guerra fredda e cioè della ragion d’essere storica dell’Alleanza. Quindi la fine di una fase, che era il frutto del successo ottenuto dalla NATO". Poi, ha ricordato Talò, "mentre c’era chi pensava che fosse arrivata la fine di quella ragion d’essere e quindi della stessa NATO, arriva come un fulmine a ciel sereno l’11 settembre (11/09), che ci ha riportato tutti con i piedi per terra, ricordandoci che la storia è più veloce dei nostri sogni e delle nostre speranze". Come dicevano gli antichi, "si vis pacem, para bellum", se vogliamo la pace dobbiamo essere pronti alla guerra. (alessandro butticé\aise)