Emigrazione, nuova frontiera per l’Europa - di Nicola Mattoscio

PESCARA\ aise\ - “Da terra antica di emigranti, l’Europa sembra connotarsi sempre di più come nuova terra di immigrati. A dispetto di un lunghissimo passato migratorio, infatti, le asimmetrie dello sviluppo globalizzato hanno ridisegnato le rotte del movimento delle popolazioni nel mondo, concorrendo a trasformare il Vecchio continente, compreso il nostro Paese e con esso l’Abruzzo e la regione adriatica, in una terra d’approdo dai confini decisamente sfumati”. Partono da qui le riflessioni di Nicola Mattoscio, direttore di “Abruzzo nel mondo”, Presidente dell’associazione Abruzzesi nel Mondo e da questo numero direttore dell’omonima testata.
“Secondo i dati Eurostat sulle migrazioni internazionali, gli immigrati nei 27 Stati dell’UE (escluso quindi l’UK) provenienti da paesi terzi sono stati 2,4 milioni nel 2018, mentre le persone emigrate verso un paese non appartenente all'Unione sono state all'incirca 1,1. In totale, i cittadini residenti in uno Stato membro e aventi la cittadinanza di un paese terzo erano 21,8 milioni, pari al 4,9% della popolazione.
In termini assoluti il numero più elevato di stranieri residenti nell'UE si registra in Germania (con 10,1 mln), Italia (5,3), Francia (4,9) e Spagna (4,8).
Gli stranieri residenti in questi quattro Stati membri ammontano complessivamente al 71% del totale di quelli presenti nell’intera Unione.
Passando ai dati regionali, secondo i numeri forniti dell’Osservatorio sull’immigrazione, agli inizi del 2018 i cittadini stranieri residenti in Abruzzo erano 87.054, pari al 6,6% della popolazione complessiva. Il maggior numero di stranieri risiede in provincia dell’Aquila (24.983), dove incide per l’8,3% sul totale della sua popolazione residente – a fronte di una media nazionale del 8,5%.
D’altra parte, stando ai dati dell’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE), l'Abruzzo registra alla stessa data 179.715 cittadini residenti all'estero. L'incidenza, sul totale della popolazione, è del 13,5%. In sostanza, a livello nazionale, soltanto Basilicata, Calabria, Molise, Sicilia e Friuli Venezia Giulia evidenziano un tasso di emigrazione più elevato.
Non si vuole qui ricorrere alla ormai abusata retorica delle dimenticanze e delle rimozioni da parte di un Paese che con la sua “diaspora sociale” ha disseminato i continenti, fornendo forza lavoro agricola e operaia e da ultimo anche intellettuale alle realtà emergenti del Vecchio e del Nuovo mondo. Basti dire, però, che le classi dirigenti e anche l’opinione pubblica hanno scarsamente tenuto conto della parabola delle “partenze” non solo nei secoli passati, ma anche di recente essa sembra essere minimizzata, a dispetto della sovrarappresentazione delle ondate di “arrivi”, con tutte le evidenti forzature e faziosità politiche che ne conseguono.
Sul tema, ciascun europeo, italiano, abruzzese ha conoscenze dirette se non esperienze strettamente famigliari per riflettere personalmente su un fenomeno così complesso, che coinvolge in profondità aspetti sociali, economici e persino affettivi ed esistenziali. Quanto alle migrazioni, che Brudel definiva “tra i fenomeni sociali più conformi all’ordine della natura e i più ricorrenti in tutte le epoche della storia”, è stato ribadito da più parti che nei paesi e nelle regioni di destinazione - e l’Abruzzo ne è un caso esemplare – le migrazioni internazionali possono servire a colmare specifiche carenze del mercato del lavoro, ma difficilmente potranno invertire la tendenza all'invecchiamento come quella registrata nella popolazione di molte zone dell'UE.
Un’ulteriore occasione di ripensamento sulla questione ci è data anche dalla recente pubblicazione della terza enciclica del pontificato di Papa Francesco, “Fratelli tutti”, pubblicata nello scorso ottobre, dopo la “Laudato si’” del 2015 e la “Lumen fidei” del 2013. Il testo esprime un urgente appello alla fraternità per ricomporre le profonde fratture e le distanze di un mondo umanamente disgregato e diviso, nonostante l’apparente vicinanza e addirittura la simultaneità consentita dai progressi della tecnologia nell’ambito dei trasporti, delle comunicazioni e anche in campo economico-finanziario.
Il Papa parte dalla constatazione di tante, troppe vite lacerate dalle separazioni e dagli allontanamenti forzati (§ 37 e 38). Molte di esse fuggono dalla guerra, dalle persecuzioni, dalle catastrofi naturali, trovandosi di fronte il limite invalicabile della “frontiera”, una costruzione nella migliore delle ipotesi e solo apparentemente ideale, in realtà molto spesso artificiosa, se non fittizia, prima ancora che naturale, esito soprattutto della formazione degli Stati Nazione in epoca moderna. Stiamo vivendo “senza dignità umana alla frontiera” – si scandalizza Francesco. Si infrangono così i valori su cui gli stessi Stati Nazione sono fondati, che nell’accezione ad esempio mazziniana dovevano essere i veicoli naturali di appartenenza ad una nuova e fraterna comunità sovranazionale ed in primis europea.
La cultura occidentale, emblema di democrazia, etica, liberalismo, solidarietà, che attira migranti anche per i suoi postulati di apertura e di liberà, d’improvviso rischia di diventare barriera per chi si mette in viaggio, nutrendo talvolta aspettative irrealistiche, ma comunque esponendosi all’abuso psicologico e fisico, alle violenze e alle sofferenze di un’avventura disumana (sovente gestita da organizzazioni criminali) che troppo spesso termina nella morte.
Il secondo tema toccato dal Pontefice riguarda l’identità. Da una parte coloro che emigrano “sperimentano la separazione dal proprio contesto di origine e spesso anche uno sradicamento culturale e religioso” (§ 108). Dall’altra parte, coloro che ricevono appaiono incapaci di considerare i migranti “abbastanza degni di partecipare alla vita sociale come qualsiasi altro”; si chiudono perciò in atteggiamenti di difesa anacronistici e pericolosi e dimenticano che “gli altri” possiedono la stessa intrinseca dignità di qualunque persona, che può e deve essere protagonista del proprio riscatto (§ 108).
Di nuovo una “frontiera”, dunque, quella psicologica e sociale che facilmente può sconfinare nel razzismo, oltre quella politica.
Il Papa lancia un forte appello con la sua nuova Lettera pastorale, invitandoci tutti ad uscire dai ricatti sottesi agli “ismi” (nazionalismi, individualismi, razzismi) e soprattutto ci invita a farlo sulla questione delle migrazioni, in nome di una fraternità che restituisca all’umanità globale la sua coscienza, che si riappropri dell’“altro”, in quanto portatore di un valore ineludibile.
“È anche vero – si legge in Fratelli tutti – che una persona e un popolo sono fecondi solo se sanno integrare creativamente dentro di sé l’apertura agli altri” (§ 41). E del resto, “le varie culture, che hanno prodotto la loro ricchezza nel corso dei secoli, devono essere preservate perché il mondo non si impoverisca” (§ 134). Viene subito naturale pensare all’attualità di simili affermazioni, dal momento che proprio in questi giorni abbiamo assistito all’elezione di un Presidente degli Stati Uniti per cui sono stati decisivi i voti degli immigrati afroamericani e dei latinoamericani (così come pure degli elettori più giovani, aumentati del 10% rispetto al 2016), ovvero di quella parte di popolazione solo arbitrariamente costretta ad essere “marginale”, ma che sull'onda di “Black Lives Matter” ha saputo mobilitarsi per una società migliore e diversa.
“È necessario – leggiamo ancora in Fratelli tutti – impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità” (§ 130 § 131). Il Papa, dunque, ci richiama ad un imperativo morale del nostro tempo che riassume in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Ne consegue che occorrerebbe impostare una governance globale per le migrazioni. Stabilire cioè progetti a medio e lungo termine che vadano oltre la risposta alla mera emergenza legata alla gestione dei “flussi” per promuovere effettivamente l’integrazione nei Paesi di accoglienza e, al contempo, per favorire lo sviluppo dei Paesi di provenienza. Perché non si tratta più di semplici luoghi di partenze e di arrivi. Si tratta invece del nostro mondo comune e di effettiva appartenenza. Indipendentemente dal grado di adesione ai contenuti dell’Enciclica, la millenaria storia della Chiesa di Roma, la sua universalità e l’autorevolezza morale del Pontefice, invitano alla riflessione e alla meditazione sul tema sociale più controverso di questa stagione della storia, e sulla figura dell’emigrante, che, con la sua inevitabile collocazione di confine, è comunque un elemento indispensabile alla costruzione del destino civile e ed economico del futuro condivisibile e realmente possibile. E sono gli Europei e le loro istituzioni sovranazionali i più portati ed obbligati a farsene primi e principali interpreti.
Secondo la leggenda la stessa “Europa” fu costretta immigrata a Creta a causa dell’avidità seduttrice di Zeus e lì ebbe come figlio Minosse. Nessun “migrante” più suggestivo di Ulisse lungo le sponde del Mediterraneo è difficile immaginare nella storia dell’umanità. Tocca perciò all’Unione Europea, erede di quella cultura, candidarsi a promuovere nel mondo una nuova visione dell’emigrazione e nuove regole globali che ne consentano uno sciamare disciplinato e realistico che possa contribuire a spostare le “frontiere” sempre più verso sfide universali, le uniche che favoriscono il ripristino della verità che non può rinunciare a vedere l’intera umanità accomunata nello stesso destino. E poter dire coraggiosamente, come europei, italiani, abruzzesi: siamo “Migranti tutti” o chi vuole “Fratelli tutti””. (aise)