SCIENZA E DINTORNI

ROMA – focus/ aise - Quasi il 50% delle nostre coste sabbiose è attualmente soggetto a erosione, un fenomeno che negli ultimi 50 anni si è mangiato 40 milioni di metri quadrati di spiagge. A lanciare l’allarme su questa vera e propria emergenza ambientale per la Penisola è Legambiente, che ha presentato questa settimana uno studio sullo stato di erosione delle coste in Italia e inaugurato il portale dell’Osservatorio “Paesaggi Costieri Italiani”.
Legambiente ha elaborato un quadro dell’evoluzione dell’erosione delle nostre coste tra il 1970 e il 2020 (partendo dagli ultimi dati pubblicati dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con ISPRA e con le 15 Regioni marittime) e un’analisi di questo vero e proprio disastro ambientale, paesaggistico, economico e sociale.
Le cause principali sono da attribuire ai cambiamenti molto rilevanti introdotti negli ultimi decenni sulle coste dal consumo di suolo, con la costruzione di edifici e di nuove opere infrastrutturali portuali o di opere rigide a difesa dei litorali. Con i rischi quasi certi che i cambiamenti climatici in atto inaspriscano ora ancora più drammaticamente il fenomeno.
Per analizzare questi fenomeni e in generale tutti quelli che riguardano i litorali è attivo da oggi il portale dell’Osservatorio Paesaggi Costieri Italiani promosso da Legambiente, con il supporto scientifico di ricercatori e docenti di diverse università italiane (Pescara, Ancona, Bari, Ascoli, Firenze, Genova, Messina, Trento e Venezia) e di enti di ricerca (tra cui CMCC, CRESME, ENEA, GNRAC).
Una piattaforma dove si trovano analisi e ricerche scientifiche e che ne promuoverà con l’aiuto del comitato scientifico, con l’obiettivo di aumentare l’attenzione nei confronti delle aree costiere e dei fenomeni di trasformazione in corso, al fine di fornire risposte concrete per la tutela dei paesaggi costieri, con particolare attenzione all’effetto dei cambiamenti climatici, al consumo di suolo e ai nuovi modelli di uso degli spazi e di turismo. Tutti temi rispetto ai quali la pianificazione dovrà dare risposte nuove per il futuro dei nostri paesaggi costieri.
La prima iniziativa dell’Osservatorio è il lancio di un concorso fotografico sul tema dell’erosione costiera, per contribuire a comprendere i processi avvenuti lungo le coste, gli interventi realizzati, le trasformazioni che hanno interessato manufatti, porti e paesaggi costieri, attraverso racconti fotografici che mettano in evidenza i cambiamenti e il rapporto con il mare.
Anche per comprendere in che direzione dovrebbero andare gli interventi di adattamento dei territori ai cambiamenti climatici e di riqualificazione dei paesaggi costieri. La partecipazione al concorso è gratuita e aperta a professionisti e dilettanti, di ogni età e nazionalità. I concorrenti devono presentare, entro il 31 dicembre 2020, un progetto di racconto fotografico composto da un massimo di 5 immagini legate tra loro secondo un criterio scelto dall’autore, maggiori dettagli su adesione e termini sono consultabili sul bando.
Tornando ai dati elaborati dal geologo marino Diego Paltrinieri per Legambiente, più dettagliatamente, su circa 8.000 chilometri di litorale, le coste basse sabbiose (che sono quelle sostanzialmente erodibili) coprono 3.770 chilometri, di cui 1.750 chilometri sono attualmente in erosione: per un tasso di erosione del 46,4%.
Negli ultimi 50 anni, i litorali in erosione sono triplicati: è come aver perso in media 23 metri di profondità di spiaggia per tutti i 1.750 km di litorale in erosione. I dati evidenziano inoltre un profondo dislivello tra Nord e Sud del paese, con picchi fino al 60% nelle regioni di Sicilia e Calabria. Le opere marittime connesse al sistema portuale nazionale si sviluppano per una lunghezza complessiva di circa 2.250 chilometri (dati ISPRA 2010). Questa profonda artificializzazione del litorale ha innescato fenomeni di erosione dovuti in sostanza alla alterazione della naturale dinamica litoranea.
Nel primo semestre del 2020 i Governi di moltissimi Paesi hanno adottato ampie misure di lockdown della popolazione per combattere la diffusione della pandemia da Covid-19. Con lo studio “Global quieting of high-frequency seismic noise due to COVID-19 pandemic lockdown measures”, appena pubblicato sulla rivista Science, i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) hanno fatto parte di un team internazionale proveniente da altre 66 Istituzioni di 27 Paesi, evidenziando una eccezionale riduzione del 50% dell’ampiezza del rumore sismico a livello mondiale.
“Grazie all’analisi dei dati raccolti da stazioni sismiche installate in tutto il mondo”, spiega Flavio Cannavò, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio, “abbiamo potuto evidenziare come negli ultimi mesi il rumore sismico si sia ridotto in molti Paesi rispetto ai valori medi degli ultimi anni, mostrando un’ondata di attenuazione che, seguendo le tempistiche del lockdown nelle varie aree del pianeta, si è mossa dalla Cina, all’Italia e al resto del mondo”.
Il “lockdown sismico”, risultato delle misure di distanziamento sociale, della riduzione delle attività economiche e industriali e della contrazione degli spostamenti, ha rappresentato la riduzione del rumore sismico antropogenico più lunga e più importante mai registrata nella storia.
“Grazie al lavoro di squadra che ha coinvolto scienziati in così tanti Paesi”, prosegue il ricercatore, “è stato possibile analizzare i dati provenienti da centinaia di stazioni di monitoraggio sismico in tutto il mondo per “isolare” le vibrazioni ad alta frequenza tipiche delle attività umane che vengono costantemente registrate dai sismometri. Se il 2020 non ha visto una riduzione del numero medio di terremoti, il calo del ‘ronzio’ sismico antropogenico è stato invece senza precedenti”.
Le più forti riduzioni del rumore sismico sono state riscontrate nelle aree urbane, ma lo studio ha evidenziato riduzioni anche in sensori siti in pozzi a centinaia di metri di profondità e in aree particolarmente remote, come nell'Africa subsahariana.
Lo studio ha inoltre evidenziato una forte corrispondenza tra la riduzione del rumore sismico e i dati sulla mobilità umana ricavati dalle app di navigazione nei telefoni cellulari, resi pubblici dalle società Google e Apple. Questa correlazione mostra come i dati sismici possano essere utilizzati per il monitoraggio delle attività umane in tempo quasi reale, nonché per quantificare gli effetti dei lockdown e delle riaperture, evitando così problematiche complesse legate alla privacy.
“Gli effetti ambientali del lockdown sono stati ampi e svariati”, aggiunge Cannavò. “Tra questi vanno ricordati in particolare la riduzione delle emissioni in atmosfera e la riduzione del traffico e dell'inquinamento acustico, che incidono sulla fauna selvatica. Per caratterizzare tale intervallo di tempo è stato coniato il termine “antropausa”. Il nostro studio rappresenta quindi il primo lavoro scientifico sull'impatto dell'antropausa sulla Terra solida sotto i nostri piedi a scala globale”.
La ricerca pubblicata su Science ha inoltre evidenziato come segnali di terremoti precedentemente “nascosti” nel rumore sismico antropogenico siano risultati essere più chiari durante il lockdown.
“Con la crescente urbanizzazione e l'aumento della popolazione mondiale, in futuro sempre più persone vivranno in aree geologicamente a rischio. Pertanto, affinché i sismologi possano “ascoltare” meglio la Terra, diventerà sempre più importante caratterizzare il rumore antropogenico. L’auspicio è, dunque, che vengano portate avanti ulteriori ricerche sul “lockdown sismico” con l’obiettivo di individuare segnali prodotti da terremoti ed eruzioni vulcaniche precedentemente nascosti dal rumore”, conclude il ricercatore.
Questo studio svolto su scala mondiale offre compiutezza alle analoghe analisi condotte recentemente sul rumore sismico solo sul territorio italiano dai ricercatori dell’INGV. (focus\ aise)