Come un idraulico italoamericano è diventato un'icona pop: We the Italians intervista Marco Carbone per parlare di Super Mario

ROMA\ aise\ - “Nel settembre di 40 anni fa la Nintendo pubblicò un videogioco che ha cambiato la storia dell’entertainment mondiale. Si chiamava Super Mario Bros. E aveva come protagonista un idraulico italoamericano che già nel 1981 era stato un personaggio di un precedente videogioco, Donkey Kong, tanto apprezzato che poi nel 1983 uscì Mario Bros. Ma è nel 1985 che Mario, da allora Super Mario, diventa un fenomeno mondiale. Nel quarantesimo anniversario dall’inizio di questo successo planetario, ospitiamo con piacere su We the Italians il Professor Marco Benoît Carbone, che ha scritto uno dei saggi più completi e interessanti su Super Mario: Olive Face, Italian Voice: Constructing Super Mario as an Italian-American (1981–1996)”. Questo il prologo dell’intervista che Umberto Mucci, fondatore del portale bilingue “We the Italians”, ha realizzato con Marco Carbone, autore del saggio "Olive Face, Italian Voice: Constructing Super Mario as an Italian American".
“D. Prof. Carbone, inizierei chiedendole come nasce il suo interesse nel personaggio di Super Mario
R. Il primo ricordo che ho di questo personaggio risale a quasi trent’anni fa, a una festa delle scuole elementari. Ricordo tutti gli occhi puntati su una scatola grigia, che scoprii essere una console della Nintendo, e una litania ossessiva: “giochiamo a Super Mario”. Il fatto di vedere dei personaggi che si potevano muovere liberamente sullo schermo del televisore era affascinante. Poi mi incuriosì il fatto che quel personaggio avesse un nome italiano.
Diversi anni dopo, appresi che i giochi Nintendo provenivano dal Giappone. Mi domandai, quindi, quale fosse la storia di Super Mario: è da questi momenti, credo, che si sviluppò una certa vaga curiosità. Molti anni dopo, nacque un interesse storico per un’icona pop che ha raggiunto la popolarità - e forse, in parte, la rilevanza culturale - di un Donald Duck o di un Mickey Mouse.
Nel suo lavoro lei racconta le tre fasi principali della scrittura del personaggio Super Mario, dall’inizio alla sua evoluzione…
Mi sono limitato a delineare, senza intento schematizzante, alcune fasi nello sviluppo di una proprietà intellettuale longeva e ormai multiforme.
All’inizio degli anni Ottanta, Super Mario è un personaggio mediterraneo molto generico: un italoamericano, per come questa categoria poteva essere percepita dalla prospettiva di un autore giapponese appassionato di fumetti e di cinema: Shigeru Miyamoto. Questo creativo era stato assunto da Nintendo, un’azienda che aveva iniziato producendo carte da gioco, alcune su licenza Walt Disney. Miyamoto intraprende una missione particolare: trasformare i videogiochi di questa azienda, con base a Kyoto, in esperienze che non si risolvano nell’abilità e nel senso di sfida, ma ruotino intorno a delle storie, delle gag e personaggi memorabili.
Miyamoto si cimenta su diversi giochi che si riveleranno rivoluzionari sul piano del design e della presentazione dei personaggi: Donkey Kong, Mario Bros., e poi Super Mario Bros, che produce un impatto commerciale deflagrante.
All’inizio, controlliamo Jumpman. Questi, poi, prende il nome di Mario, forse perché Miyamoto cercava un personaggio non troppo giapponese e non troppo stereotipato, che potesse risultare identificabile e buffo sia in Giappone che negli Stati Uniti, mercato su cui Nintendo puntava fortemente. Riguardo alla scelta dell’Italia, forse Miyamoto aveva visto il Padrino di Francis Ford Coppola, o magari era stato esposto a una certa iconografia tipica dell’italiano migrante e working class con le bretelle e la coppola, che si ritrovava spesso nei film e nei prodotti d’animazione.
Probabilmente c’era anche un discorso culturale che proveniva dal Dopoguerra. Se bisognava puntare su un personaggio simpatico, un po’ stravagante e originale, forse un personaggio italiano avrebbe funzionato. Il Giappone guardava all’Italia come un Occidente di un tipo particolare: l’Italia non era la superpotenza americana o l’ex impero britannico, non era il rivale industriale tedesco o l’orgogliosa Francia. Forse l’Italia era diversa, come sostengono alcuni studiosi come Toshio Miyake: era un ex alleato fallito della Seconda guerra mondiale; ed era un paese percepito come legato a tradizioni folkloriche, alla cucina, all’arte, alle tradizioni, alla famiglia: qualità percepite come positive in Giappone. In ogni caso, la vaghezza del riferimento all’Italia incuriosiva.
In più, come dicevo, gli italiani erano ben noti nella cultura statunitense, il mercato sul quale Nintendo nutriva forti interessi commerciali. Quando, però, Super Mario sbarca negli Stati Uniti, il personaggio ha un successo forse inaspettato anche da Nintendo. Forse perché in quel paese multietnico e di migranti gli italoamericani sono un gruppo assai riconoscibile sul piano demografico, e questo trasforma Mario in un fenomeno pop. Tutti richiedono la licenza del personaggio per mettere il suo volto memorabile su merchandising di ogni tipo: pacchi di pasta, spillette, adesivi, telefoni, detergenti, fumetti, cartoni animati, show televisivi - in questi ultimi, spesso enfatizzando i tratti “etnici” del personaggio. Dal Giappone prendono atto del successo: verso la fine degli anni Ottanta, aggiornano un model sheet di Super Mario (un documento che descrive il personaggio, destinato alla produzione e ai creativi), indicando che si tratta di un italoamericano: per la precisione, di un newyorchese di Brooklyn.
Questo aspetto continuerà a connotare il personaggio fino ad oggi, sebbene nei decenni successivi l’azienda abbia deciso di gestire l’identità di Mario con molta elasticità. In certi giochi, Mario ha di italiano solo il nome. Mario diventa parte di un universo di personaggi simil-disneyano, molto ampio e ramificato, che comprende centinaia di giochi e prodotti. Super Mario è il suo brand dal maggiore successo e il personaggio deve mantenersi sufficientemente tratteggiato da risultare memorabile e al contempo abbastanza vago da essere adattabile di prodotto in prodotto: dal platform game classico in cui si salta di piattaforma in piattaforma al gioco di tennis. Ciononostante, in molte occasioni, l’identità italica si fa più marcata: Mario guida una vespa, pronuncia frasi come ‘mamma mia’ e ‘it’s-a-me, Mario’ (rigorosamente, con la schwa intervocalica del cliché dell’italenglish) e sogna piatti di spaghetti, pici, ravioli e lasagne.
D. La sua ricerca si concentra in particolare su voce, doppiaggio e accento. Ci dice di più su questo argomento?
R. Intorno alla metà degli anni Novanta si evolvono i supporti e le tecnologie. Le musiche orchestrali, le voci recitative e i dialoghi registrati iniziano a diventare un potenziale selling point perché rendono i personaggi più vivi e vibranti. Nintendo si cimenta nel dotare Super Mario di una voce e, dopo qualche esperimenti portati avanti in alcuni prodotti di nicchia, decide di ufficializzare la voce del personaggio in Super Mario 64.
La voce è quella dell’attore Charles Martinet, che oggi (sebbene sia di recente cambiato il doppiatore) è la voce di Mario ben riconoscibile al pubblico. Charles Martinet è un attore rodato e, quando si tratta di sperimentare il tipo di voce da conferire a Super Mario, parte proprio dall’idea di un accento italico. Nel produrlo, attinge a un repertorio consolidato di tipi (e stereotipi) nazionali che attori e doppiatori impiegavano per i personaggi dei cartoon (e non solo: sin dall’avvento del cinema sonoro, si possono rivenire diversi manuali per attori molto interessanti, colmi di indicazioni stereotipate su come produrre le affettazioni di diverse etnie e nazionalità). Il risultato è un italiano iperreale, che mette a frutto in chiave bonaria e comica alcune caratteristiche percepite come tipicamente italiane dai parlanti anglofoni: il rotacismo, la vocale interconsonantica di it’s-a-me, un certo ritmo”.
L’intervista integrale è disponibile a questo link. (aise)