Italiani negli USA “Prigionieri in Paradiso”: We the Italians intervista Camilla Calamandrei

ROMA\ aise\ - "Durante la Seconda Guerra Mondiale, oltre 51.000 soldati italiani furono portati negli Stati Uniti come prigionieri di guerra. Il documentario pluripremiato "Prisoners in Paradise" racconta la storia di questi giovani soldati giunti negli USA come prigionieri, delle loro storie d’amore e amicizia con donne americane, del loro contributo allo sforzo bellico alleato e, per alcuni, della decisione di tornare a vivere negli Stati Uniti". Questo l'incipit con cui Umberto Mucci ha dato il via all'intervista che ha realizzato per il portale bilingue da lui fondato e diretto, "We the Italians", a Camilla Calamandrei, italo-americana autrice del documentario.
"D. Per cominciare, potresti raccontarci qualcosa su di te e sulle tue origini italiane?
R. Mio padre, Mauro Calamandrei, è stato giornalista e per molti anni corrispondente americano per L’Espresso, e in seguito corrispondente culturale dagli Stati Uniti per Il Sole 24 Ore. Era nato nel 1925 in un piccolo paese nei dintorni di Firenze. Suo padre era un calzolaio di talento, e sua madre una casalinga con poca istruzione – in casa avevano una sola lampadina, usata solo dal padre per poter lavorare di notte. Durante la guerra, Mauro si unì alla Resistenza come partigiano. Dopo la guerra, conseguì un dottorato all’Università di Firenze e successivamente vinse una borsa Fulbright per studiare all’Università di Chicago.
Io sono nata negli Stati Uniti, ma mi sono sempre sentita profondamente legata all’Italia e alla mia famiglia a Firenze. Ho la doppia cittadinanza.
D. Com’è nata l’idea per il tuo splendido documentario?
R. Da bambina avevo visitato più volte la mia famiglia a Firenze, ma non parlavo italiano, quindi le conversazioni erano molto limitate. Poi, in un viaggio nei miei primi vent’anni, mio zio (che non parlava inglese e che non era mai stato negli USA durante la mia vita) iniziò a raccontare una storia in italiano: “Quando ero prigioniero in America durante la guerra…” Non avevo idea di cosa stesse parlando. Non avevo mai sentito parlare della sua esperienza come prigioniero di guerra, né sapevo che ci fossero stati prigionieri italiani negli Stati Uniti.
Iniziai a cercare informazioni nei libri e nei film, ma c’era pochissimo materiale: solo alcuni articoli accademici e un libro di un appassionato di storia, Louis Keefer.
Louis fu molto gentile e condivise con me i suoi contatti, permettendomi di iniziare a incontrare prigionieri italiani sopravvissuti in tutto il Paese. Ho lavorato al film per 10 anni: interviste preliminari, ricerche con consulenti storici, raccolta fondi, riprese negli USA e in Italia, ricerca di filmati d’archivio e costruzione della narrazione.
D. Chi sono gli italiani presenti nel documentario?
R. Ho intervistato 19 ex prigionieri italiani durante la fase di ricerca, poi ho selezionato quattro prigionieri e due delle loro mogli per le riprese negli Stati Uniti, e tre prigionieri sopravvissuti per le riprese in Italia. Quattro dei protagonisti avevano fatto parte delle Italian Service Units (unità di supporto all’esercito americano), mentre due non collaborarono. Uno dei due che rifiutò, poi si pentì di quella decisione e avrebbe voluto contribuire allo sforzo alleato.
D. Che tipo di rapporto avevano i prigionieri con la comunità italoamericana?
R. Dopo l’armistizio italiano del settembre 1943, circa 35.000 prigionieri italiani entrarono a far parte delle Italian Service Units in ruoli non combattenti, occupandosi di lavanderia, agricoltura, cucina, ecc., a supporto dell’esercito americano. Chi accettava doveva giurare fedeltà al nuovo governo italiano e veniva tenuto in campi sparsi in tutti gli USA.
In molti di questi campi, le famiglie italoamericane potevano fare visita ai prigionieri la domenica. Talvolta, sotto sorveglianza, potevano partecipare ad eventi comunitari o condividere pasti con le famiglie locali. Nacquero anche delle storie d’amore, alcune molto serie. Tutti i prigionieri furono rimpatriati dopo la guerra, ma alcune donne viaggiarono in Italia per sposare i loro amati, e molti tornarono a vivere negli USA, dato che la situazione in Italia era molto difficile".
L'intervista integrale è reperibile in italiano e in inglese a questo link. (aise)