Imprese immigrate: +32,7% in dieci anni/ I dati Idos-Cna

ROMA\ aise\ - Di fronte alla crisi demografica e alle sfide dei mercati globali, un dato si impone con evidenza: l’imprenditoria immigrata continua a espandersi, consolidandosi come un pilastro essenziale per l’economia italiana. A testimoniarlo è il Rapporto Immigrazione e Imprenditoria, che analizza i dati di Infocamere sull'andamento delle imprese a gestione immigrata nel periodo 2013-2023. Presentata questa mattina a Roma, l’analisi condotta dal Centro Studi e Ricerche IDOS e da CNA Nazionale certifica che, mentre il numero complessivo di imprese italiane è diminuito dell’1,7% nell’ultimo decennio, le aziende guidate da imprenditori nati all’estero sono aumentate del 32,7%, superando quota 660.000 nel 2023 e rappresentando oltre l’11% del totale.
Le imprese individuali restano predominanti (482.918, pari al 73% del totale), ma il vero cambiamento sta nella crescita esponenziale delle società di capitale (129.267), quasi triplicate in dieci anni (+160%). Un’evoluzione che segnala una maggiore strutturazione e competitività del tessuto imprenditoriale immigrato.
A fronte di un calo generalizzato delle imprese giovanili (-22,8%), quelle a conduzione immigrata dimostrano una maggiore resilienza, mantenendo una quota del 19% sul totale. Un segnale chiaro del ruolo sempre più rilevante della nuova generazione di imprenditori stranieri nel tessuto economico nazionale.
Pur restando fortemente radicati nei settori tradizionali, come commercio ed edilizia, gli imprenditori immigrati stanno progressivamente investendo in ambiti più dinamici e in crescita, contribuendo alla vitalità economica del Paese. In particolare, alloggio e ristorazione (+57,6%) e servizi alla persona (+101,6%), ma anche settori più specializzati, come le attività professionali, scientifiche e tecniche (+56,0%), hanno visto un ingresso di immigrati con maggiore qualificazione. Anche la sanità e l’assistenza sociale risultano in espansione (+77,6%).
Dal punto di vista territoriale, le imprese immigrate si diffondono in tutto il Paese, con una crescita marcata anche nelle aree meno dinamiche.
Il Nord rimane il principale polo attrattivo, con Lombardia, Emilia Romagna e Veneto in testa. Tuttavia, anche il Sud registra aumenti significativi, in particolare in Campania (+72,8%) e Puglia (+33,8%). Le grandi città come Roma e Milano restano i centri nevralgici dell’imprenditoria immigrata, ma la crescita di Napoli e Caserta conferma una tendenza di espansione su scala nazionale.
DONNE IMMIGRATE E IMPRENDITORIALITÀ
Negli ultimi dieci anni, mentre il numero complessivo di imprese femminili in Italia è diminuito del 7,3%, quelle guidate da donne nate all’estero sono aumentate del 37,8%, raggiungendo quota 162.245 nel 2023. Una crescita che non è solo quantitativa: queste imprenditrici stanno ridefinendo il panorama economico italiano, adattandosi alle trasformazioni del mercato e investendo nelle proprie comunità.
Le imprenditrici immigrate non si limitano a creare occupazione, ma introducono nuovi modelli di business e contribuiscono alla diversificazione economica, spaziando dai settori tradizionali come commercio e ristorazione, fino agli ambiti emergenti, con incrementi rilevanti nei servizi alla persona (+101,6% in 10 anni), nelle attività professionali (+69,1%) e nella sanità (+75,3%).
A livello territoriale, il Nord Italia si conferma il principale polo di sviluppo, con la Lombardia in testa (+47,7%), seguita da Emilia-Romagna (+46,4%) e Piemonte (+41,8%). Tuttavia, anche il Sud registra dinamiche interessanti: la Campania (+54,1%) mostra una crescita significativa, segno di un fenomeno diffuso e trasversale.
Un caso emblematico è quello delle imprenditrici ucraine, il cui numero di imprese è aumentato di oltre il 60% tra il 2013 e il 2023. Un dato che dimostra come anche le emergenze migratorie possano trasformarsi in opportunità imprenditoriali, alimentando nuove dinamiche di crescita e integrazione.
I PAESI DI ORIGINE DEI TITOLARI DI IMPRESE INDIVIDUALI
Negli ultimi dieci anni, l’imprenditoria immigrata in Italia ha registrato una crescita significativa, segno di una progressiva integrazione economica e di una forte capacità di adattamento a un mercato in costante evoluzione. Oltre il 79,4% delle attività autonome gestite da immigrati è riconducibile a persone nate al di fuori dell’UE. Le imprese individuali rappresentano la forma predominante, con 483mila unità registrate nel 2023. I principali protagonisti di questa espansione sono i cittadini di Marocco, Romania e Cina, che costituiscono il gruppo più numeroso di titolari d’impresa.
L’analisi dei settori di attività rivela dinamiche interessanti:
• Gli imprenditori marocchini (58.273) confermano la loro storica vocazione commerciale, con il 72% delle imprese individuali attive nel commercio. Tuttavia, si osserva una crescente diversificazione: i servizi alle imprese (+88,6% rispetto al 2013) e le attività di servizi vari (+300%) stanno emergendo come nuovi ambiti di sviluppo.
• Gli imprenditori romeni (52.239) mostrano un maggiore equilibrio settoriale. Sebbene l’edilizia rimanga il settore principale (56,1%), ha subito una contrazione del 10% rispetto al 2013. In parallelo, si registra un forte aumento nel commercio (+250%), nei servizi di alloggio e ristorazione (+608,1%) e nel noleggio e servizi alle imprese (+262,5%), segnale di un progressivo orientamento verso comparti a maggiore valore aggiunto.
• Gli imprenditori cinesi (50.826) mantengono una solida presenza nel panorama economico italiano, con una crescita del 13% tra il 2013 e il 2023. Tuttavia, la loro quota percentuale sul totale delle imprese immigrate è scesa dall’11,3% al 10,5%, suggerendo una fase di consolidamento piuttosto che di espansione incontrollata.
Parallelamente, emergono nuovi attori dell’imprenditoria immigrata: le comunità di Pakistan (+130,7%), Bangladesh (+47,3%) ed Egitto (+40%) registrano gli incrementi più rilevanti, segnalando un mutamento nelle dinamiche economiche del Paese.
Nonostante il contributo crescente dell’imprenditoria immigrata all’economia italiana, le politiche di sviluppo e cooperazione internazionale non sembrano ancora valorizzare pienamente questo potenziale. La costruzione di ponti economici con i Paesi di origine degli imprenditori immigrati potrebbe rappresentare una strategia vincente, favorendo l’internazionalizzazione delle imprese italiane e lo sviluppo di nuove sinergie commerciali.
L’IMPRENDITORIA IMMIGRATA IN EUROPA E NEI PAESI OCSE
L’International Migration Outlook 2024, curato dall’OCSE, analizza l’evoluzione dell’imprenditoria immigrata attraverso i dati delle Labour Force Surveys (LFS), evidenziando come i migranti non si limitino a partecipare al mercato del lavoro come dipendenti, ma scelgano sempre più spesso di avviare imprese proprie, contribuendo alla creazione di occupazione e valore economico.
Nel 2022, il numero di lavoratori autonomi immigrati ha superato i 3 milioni negli Stati Uniti e i 2,5 milioni nell’Unione Europea. L’incidenza del lavoro autonomo tra gli immigrati varia significativamente tra i Paesi: in Svizzera e Canada supera il 30%, mentre in Italia si attesta poco sopra il 10%. In alcuni contesti, l’imprenditorialità immigrata è un fenomeno consolidato; altrove, rappresenta una strategia di adattamento alle difficoltà di accesso al mercato del lavoro qualificato.
Tra il 2006 e il 2022, il numero di imprenditori immigrati è aumentato del 60% nell’UE e di oltre il 70% nell’area OCSE. Gli incrementi più significativi si registrano nei Paesi Bassi (+126%) e in Spagna (+105%), mentre l’Italia mostra una crescita più contenuta (+35%), ma su una base già elevata (oltre 300.000 imprese).
In diversi Paesi europei, il tasso di imprenditorialità tra gli immigrati è pari o addirittura superiore a quello dei nativi. L’Italia rappresenta un’eccezione, poiché la diffusa presenza di piccole e medie imprese (PMI) incentiva il lavoro autonomo tra i nativi (19,8% contro il 13,7% degli immigrati).
Un aspetto rilevante è che la maggioranza degli imprenditori immigrati rientra nella categoria dei lavoratori autonomi senza dipendenti, con percentuali particolarmente elevate nei Paesi Bassi e nel Regno Unito.
La creazione di imprese più strutturate con dipendenti risulta meno accessibile per gli immigrati, anche a causa delle difficoltà di accesso al credito e del mancato riconoscimento delle qualifiche professionali. Infine, il livello di istruzione tra i lavoratori autonomi evidenzia un divario significativo: nei Paesi UE analizzati, i nativi hanno generalmente una formazione terziaria più elevata rispetto agli immigrati.
In Italia, ad esempio, il 29,6% dei lavoratori autonomi nativi possiede un’istruzione terziaria, contro il 19,7% degli immigrati. (aise)