Guerra dei 12 Giorni: tregua e nuove visioni di libertà - di Gabriella Ferrero

WASHINGTON\ aise\ - A margine del summit della NATO a L’Aja, la crisi mediorientale tra Iran e Israele continua a dominare l’agenda diplomatica globale. La cosiddetta “Guerra dei 12 giorni”, un conflitto esploso rapidamente e conclusosi con una fragile tregua, continua a lasciare dietro di sé macerie geopolitiche e una nuova corsa alla stabilità.
Il presidente americano Donald Trump ha ribadito la sua linea dura contro il programma nucleare iraniano, dichiarando durante il vertice NATO: “Abbiamo completamente neutralizzato le capacità nucleari dell’Iran. È tempo che la Repubblica Islamica ascolti il suo popolo”. Contestualmente, ha annunciato l’avvio imminente di nuovi colloqui diretti con Teheran, lasciando intendere una possibile apertura diplomatica sotto il segno della forza.
Il cessate-il-fuoco, mediato da Washington, regge per ora, ma analisti internazionali avvertono: “Questa è una tregua, non una pace”.
Roma ha reagito con cautela e sobrietà. In una nota diffusa dalla Farnesina, il ministro degli Esteri ha espresso “preoccupazione per la situazione umanitaria e strategica nella regione”, ribadendo il pieno sostegno all’Alleanza Atlantica, ma anche il richiamo alla legalità internazionale. C’è un’Italia attenta a mediare tra l’approccio muscolare di Washington e l’approccio multilaterale europeo. L’obiettivo dichiarato è uno solo: riportare Teheran all’accordo sul nucleare del 2015, abbandonato unilateralmente dagli USA nel 2018. L’Italia sostiene che “il disarmo non si impone con le bombe, ma si costruisce con la diplomazia”.
Tra le voci più forti emerse nelle ultime ore c’è quella di John Quemars Naimi, presidente e fondatore della Cyrus Force, un movimento politico e umanitario nato nel 1998 con l’obiettivo di promuovere i diritti umani e la riforma costituzionale in Iran.
Naimi ha incontrato negli anni figure come Reza Pahlavi, Queen Farah, generali americani e diplomatici francesi, cercando di costruire una rete di sostegno internazionale: “Abbiamo creato Cyrus Force per sostenere gli iraniani che vogliono liberarsi dal regime degli ayatollah. Ora siamo pronti a ricostruire l’Iran con le nostre forze, con scienziati, ingegneri, giovani istruiti pronti a tornare nel loro Paese. Riporteremo l’Iran nel cuore della sua gente, verso elezioni libere e un governo in grado di collaborare con l’Occidente e i vicini, dopo 46 anni di isolamento”, dice.
Il progetto della Cyrus Force è ambizioso: “Sostenere la transizione democratica in Iran attraverso la creazione di un governo provvisorio di esperti iraniani in esilio, ripristinare l'economia in sei mesi e garantire un sistema elettorale trasparente. Naimi ha incontrato negli anni figure come Reza Pahlavi, Queen Farah, generali americani e diplomatici francesi, cercando di costruire una rete di sostegno internazionale”.
Il conflitto resta, per ora, sotto controllo, ma i segnali sono contrastanti e gli Stati Uniti, sebbene pronti a negoziare, mantengono una postura militare vigile. Europa e Cina chiedono il ritorno al tavolo multilaterale, mentre gruppi di opposizione come Cyrus Force offrono un'alternativa politica che potrebbe rivelarsi cruciale se il regime dovesse perdere ulteriore legittimità.
La “Guerra dei 12 giorni” ha cambiato il linguaggio della crisi iraniana. Non più solo una questione nucleare, ma una partita sul futuro della democrazia nella regione. La diplomazia è chiamata a dare risposte: Washington e Teheran si osservano, l’Europa cerca di mediare, e voci nuove come quella di John Quemars Naimi rompono il silenzio dell’esilio. (gabriella ferrero\aise)