Un Papa americano in Vaticano: cosa significa per l’Italia, per l’America e per il mondo - di Gabriella Ferrero

foto Vatican news
WASHINGTON\ aise\ - L’elezione di Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, primo pontefice statunitense della storia, rappresenta una svolta epocale per la Chiesa cattolica e per l'equilibrio geopolitico globale. Nato a Chicago e con una lunga esperienza missionaria in Perù, Prevost incarna una figura capace di unire mondi diversi: l’America pragmatica e il cattolicesimo universale, la sensibilità sociale e la tradizione ecclesiastica.
È un volto già noto per la sua apertura intellettuale e la sua capacità di dialogare con mondi diversi, dalla politica alla scienza, dalle periferie alle grandi potenze. Ma al di là della sua biografia personale, la sua elezione ha un significato molto più profondo.
L’America, oggi più che mai, è al centro di una riflessione sul proprio ruolo globale. In un mondo multipolare, spesso diviso, segnato da nuove guerre e vecchie diseguaglianze, avere un Papa americano rappresenta un ponte tra le istituzioni religiose e il potere politico-economico occidentale. È una scelta che può essere letta come un richiamo alla responsabilità morale degli Stati Uniti nei confronti del pianeta, ma anche come un’apertura della Chiesa verso una cultura pragmatica, comunicativa, moderna, che parla il linguaggio dei media e della diplomazia.
Negli Stati Uniti, la notizia è stata accolta con entusiasmo bipartisan. Dal presidente ai leader religiosi delle altre confessioni, fino all’opinione pubblica, la reazione è stata di orgoglio e speranza.
“È un nostro Papa,” hanno titolato in molti, sottolineando come questa elezione sia sentita non solo come una vittoria spirituale, ma anche culturale.
L'ex presidente Barack Obama ha espresso su X (ex Twitter) il suo orgoglio per l'elezione di un "figlio di Chicago" al soglio pontificio, augurandogli successo nella sua missione spirituale. Anche gli ex presidenti George W. Bush e Joe Biden hanno inviato messaggi di congratulazioni, sottolineando l'importanza storica dell'evento.
Il presidente Donald Trump ha definito l'elezione "un grande onore per gli Stati Uniti", ma ha evitato di commentare le posizioni progressiste del nuovo Papa, che in passato ha criticato le sue politiche migratorie e ambientali. Il movimento MAGA ha reagito con scetticismo, accusando Leone XIV di essere troppo "globalista" e di non rappresentare i valori tradizionali americani.
Il mondo dello spettacolo ha risposto con una miscela di ironia e riflessione. Il comico Jimmy Kimmel ha scherzato sull'idea di un "Papa americano", immaginando la papamobile come una Ford F-250 con decorazioni patriottiche. Stephen Colbert ha celebrato le origini di Chicago del nuovo pontefice, suggerendo che l'annuncio della sua elezione avrebbe potuto essere accompagnato da una "festa di rivelazione" in stile americano.
L’idea che la massima autorità della Chiesa cattolica venga da una nazione costruita sulla libertà religiosa e sulla pluralità è un segnale potente. E può anche contribuire ad avvicinare nuove generazioni americane, spesso lontane dalla fede, a un messaggio rinnovato di giustizia sociale, inclusione e misericordia.
E l’Italia? L’Italia osserva, partecipe e accogliente. La presenza del nuovo Papa “a casa nostra”, nei Palazzi vaticani, è motivo di orgoglio e, in fondo, anche di sollievo. Perché se è vero che il Pontefice è americano, è altrettanto vero che continuerà a vivere a Roma, a dialogare con le nostre istituzioni, a influenzare il nostro dibattito culturale. È un legame rafforzato, un’alleanza spirituale e politica che vede l’Italia e gli Stati Uniti ancora più vicini. In tempi di incertezza internazionale, questa sintonia è un elemento di stabilità.
Questo nuovo pontificato si apre sotto il segno del cambiamento, ma anche della continuità.
Il Papa americano non è un outsider, ma un uomo di Chiesa profondo, preparato e con una visione globale. Parla più lingue, conosce le tensioni del nostro tempo, e non teme di affrontarle con coraggio. Sarà un Papa della parola, ma anche dell’azione. E sarà interessante vedere come concilierà le aspettative americane con quelle europee, e come saprà costruire ponti con il Sud del mondo.
Forse è proprio questa la sfida più grande: essere il Papa di tutti, partendo da una cultura che è spesso percepita come dominante. Ma, chissà, forse oggi il Vaticano aveva bisogno proprio di questo: di una voce capace di parlare al mondo con accento americano, ma con cuore universale. (gabriella ferrero\aise)