“Della Materia”: a Lugano l’omaggio a Prampolini e Burri

LUGANO\ aise\ - La Collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano aprirà il 21 settembre la stagione autunnale con la mostra “Prampolini Burri. Della Materia”. Attraverso una ricerca che percorre l’intero ’900 italiano, il progetto espositivo pone un focus sull’uso di materiale eccentrico rispetto al medium tradizionale della pittura. Protagonisti di questa linea continua di sperimentazione sulle materie dell’arte sono Enrico Prampolini (Modena, 1894 – Roma, 1956) e Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), entrambi attivi a Roma.
Le ricerche sulla materia nelle sue molteplici modalità espressive sono indagate nella mostra alla Collezione Olgiati attraverso circa 50 capolavori provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private internazionali. Dalle opere futuriste e polimateriche di Prampolini a quelle potenti di Burri, il percorso mette in luce come il ricorso alla materia abbia saputo dar voce alle inquietudini di un periodo storico complesso, manifestandone tutta la violenza e la carica trasgressiva.
Prampolini – futurista eclettico e a contatto con le più importanti avanguardie europee – sperimenta precocemente, già nel 1914, le potenzialità del polimaterismo; Burri, che rappresenta nella mostra la seconda metà del XX secolo, è stato invece fondamentale nel proporre la materia nella chiave poetica più radicale. “Le vie intraprese da Prampolini e Burri, con traiettorie e significati concettualmente diverse, mostrano strade possibili, certo non le uniche, ma sicuramente le più rischiose, quelle che rinunciando alla pittura intesa come puro medium di secolare tradizione, si affidano a tutt’altro, ritagliare e incollare, scavare nelle terre, utilizzare plastiche, sacchi, muffe e bruciare, aggiungere oggetti, e molto altro ancora. Una rivoluzione linguistica che diverrà, come è noto, nell’opera di Burri, norma e stile internazionale, con un primato europeo su cui vale la pena riflettere”, spiegano la curatrice Gabriella Belli e il curatore Bruno Corà.
La mostra “Prampolini Burri. Della Materia” è parte di un trittico espositivo promosso da Danna e Giancarlo Olgiati e dedicato a confronti esemplari tra alcuni dei massimi protagonisti del Novecento e che già ha documentato la straordinaria contiguità tra Balla e Dorazio (2023) e la consonanza di poetica tra Yves Klein e Arman (2024).
In programma sino all’11 gennaio 2026, la mostra è organizzata in collaborazione con la Fondazione Burri di Città di Castello e con il progetto di allestimento di Mario Botta.
LA MOSTRA
L’indagine sulle due distinte, ma dominanti visioni della materia di Prampolini e Burri, si dipana alla Collezione Olgiati in uno spazio espositivo radicale, concepito per l’occasione da Mario Botta in due momenti successivi e separati. Scelte cromatiche opposte scandiscono il percorso della mostra, che si apre con le opere di Prampolini, allestite su pareti bianche, e prosegue con i lavori di Burri, che si impongono su pareti completamente nere.
Attivo nel campo della pittura e, tra l’altro, della scenografia, dell’architettura e delle arti applicate, Prampolini aderisce al Futurismo nel 1912, declinandone però i principi in una sperimentazione totalmente autonoma e di respiro europeo. Se negli anni Venti la complessa produzione prampoliniana tende verso l’arte meccanica, come evidente, in mostra, in capolavori come Paesaggio caprese (o vesuviano), 1922 circa, è con Intervista con la materia del 1930 che si apre la fase più sentitamente visionaria e cosmica della sua produzione. Nel dipinto – un vero e proprio manifesto – i materiali più diversi, spugna, sughero, galalite, limitano sempre di più lo spazio, prima dominato dalla pittura. È una disobbedienza alle tecniche tradizionali che l’artista anticipa già diversi anni prima, nel 1914, in una raffinata sperimentazione, Béguinage, assemblaggio polimaterico anch’esso presente in mostra a Lugano.
Sono diversi i capolavori presentati alla Collezione Olgiati dalla serie dei celebri quadri polimaterici degli anni Trenta di Prampolini. Metamorfosi inedite delle forme si aprono in opere come Venere meccanica, 1930, o il magnifico Geometria aerodinamica, 1934-1935, mentre Forme forze nello spazio del 1932 è una potente raffigurazione di mondi alieni dominati dalla geometria tra nuove forze psichiche di forme organiche; e, ancora, i famosi polimaterici degli anni Trenta – inizio Quaranta, come l’Automatismo polimaterico F del 1941. Sono lavori, questi, che scaturiscono da un fertile humus di contatti internazionali, tessuti dall’artista a Parigi fin dagli anni Venti tra movimenti diversi, come il Surrealismo e i pittori astratti-concreti, a lui più affini, quando aderisce al gruppo parigino di Cercle et Carré.
“Come Prampolini abbia saputo districarsi tra queste due correnti, per farne sintesi in una convergenza stilistica e di senso, capace di unire aspetti dell’una e dell’altra, è il dato significativo di questa nuova fase del suo lavoro, che porta il sigillo di una internazionalità preziosa per la sua carriera, ma anche per il parterre della pittura italiana del tempo”, sottolinea la curatrice Gabriella Belli.
Agli anni Cinquanta datano gli ultimi quadri polimaterici in mostra a Lugano, come Composizione astratta CR, 1954, dello stesso anno il capolavoro Tensioni astratte, per finire con la Composizione S 6: zolfo e cobalto del 1955: opere che testimoniano come, grazie alla continua evoluzione di forme e modi in ascolto con i tempi, Prampolini si sia rivelato un punto di riferimento per molti pittori che si affacciavano all’arte alla fine degli anni Quaranta.
Le concezioni intuitive di Burri in fatto di utilizzo della materia sono lontane dalle teorizzazioni di Prampolini. All’indomani del secondo conflitto mondiale, vissuto in prima persona come ufficiale medico, prigioniero in Africa e poi a Hereford in Texas, divenuto artista autodidatta intraprende la ricerca di un linguaggio nuovo. Dopo un breve esordio nel figurativismo, a partire dal 1948, Burri decide di ricavare qualità pittorica dal gesto di presentazione della materia, svuotandola di ogni possibile metafora.
È una materia umile e cruda, che arriva a sostituirsi al colore, quella di Burri; una materia in cui egli sembra ricercare lo stesso atto artistico inesauribile, un grado nuovo della forma e della bellezza. “L’attitudine alla sfida, all’imprevisto, all’analisi, la tensione etica, l’inclinazione alla facoltà compositiva, l’innato senso della geometria, la facilità nell’uso di ogni materiale a disposizione (…), dirigono le qualità e gli obiettivi di ‘riscatto’ del futuro pittore destinato a influire, dal dopoguerra in poi, sulla sensibilità del fare pittura e scultura nella scena artistica internazionale”, spiega il curatore Bruno Corà.
La mostra a Lugano presenta diverse opere esemplari, dai cicli dei primi anni, alle Composizioni, ai Catrami degli anni 1948-1950 fino ai Sacchi, capolavori che portano l’arte di Burri verso una definitiva dimensione materica.
Dopo le sperimentazioni con i materiali più diversi – dal catrame alla pietra pomice, dall’oro al gesso, e molti altri – l’artista inizia a impiegare il fuoco nell’azione formatrice dell’opera. In mostra, diverse opere, tra cui Plastica e Rosso Plastica, 1962, sono esiti di un incessante intervento compiuto dall’artista con in pugno l’erogatore di fiamma sulla tela, sulla plastica e il vinavil o sull’alluminio, mentre aggredisce e apre varchi, brucia zone centrali e orli, rivelando un territorio materico ignoto.
Dopo il fuoco, con i celebri Cretti, Burri passa all’elaborazione degli altri cardini della dimensione della materia: terra, aria e acqua. Una nuova manifestazione di spazialità materica si manifesta in rare opere degli anni Settanta, come Bianco Nero Cretto, 1972, o nel Bianco Cretto C1, 1973. La mostra a Lugano si chiude con alcuni lavori in cellotex degli anni Ottanta e Novanta, quali Cellotex, 1980, e Nero e Oro, [1993]. Afono e opaco, il cellotex, composto ligneo usato in ambito industriale, è la materia che nelle mani di Burri arriva a visualizzare le dimensioni del silenzio, del buio, ma anche del vuoto, del pieno e dell’assenza, tutte nuove coordinate estetiche che influenzeranno alcune delle ricerche successive più avanzate.
In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue (italiano-inglese) edito da Mousse Publishing con un’introduzione di Giancarlo e Danna Olgiati, i saggi storico-critico-scientifici di Gabriella Belli e Bruno Corà, una conversazione tra Gabriella Belli e Mario Botta, nonché gli apparati bio-bibliografici e le schede delle opere. (aise)