Turcato: 30 anni di invenzione oltre lo spettro del colore alla Fondazione Giuliani di Roma

Turcato, Composizione
ROMA\ aise\ - La Fondazione Giuliani per l’arte contemporanea di Roma dedica a Giulio Turcato un’intensa personale, a cura di Martina Caruso e Adrienne Drake, che restituisce la forza visionaria e l’instancabile inventiva di uno dei protagonisti più audaci del secondo dopoguerra.
La mostra intitolata semplicemente “Turcato” inaugura sabato, 11 ottobre, con un’apertura straordinaria dalle 10:00 alle 18:00, e sarà visitabile sino al 31 gennaio 2026.
L’esposizione riunisce quasi trent’anni di ricerca dell’artista e pone al centro il tema del monocromo, interpretato non come esercizio di sottrazione, ma come spazio generativo: un terreno fertile in cui colore e materia diventano strumenti di conoscenza e scoperta. A partire dai primi anni Sessanta, i monocromi di Giulio Turcato si configurano come luoghi di trasformazione, in cui pittura e texture spingono i confini stessi della pratica artistica oltre i limiti tradizionali.
Per Turcato, il monocromo non è mai approdo definitivo, bensì origine e apertura. Là dove altri artisti hanno ricercato purezza spirituale o sospensione concettuale, egli lo trasforma in un campo pulsante di possibilità.
La tela smette di essere mero supporto per farsi corpo vivo e rilievo: superfici scavate, polveri fosforescenti, pillole, monete, carta carbone. Materiali quotidiani, raccolti dal mondo, che divengono alfabeto sensibile per decifrare la natura. Dai vegetali ai minerali, dalle rovine ai batteri, la sua opera filtra la vita stessa attraverso la lente dell’invenzione artistica. Per Turcato, l’arte è conoscenza: un sistema capace di restituire, mediante colore e forma, le strutture profonde del reale.
Il percorso dell’artista si inscrive in una traiettoria che intreccia radicale impegno politico e incessante sperimentazione formale. Nel 1947, con Carla Accardi, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli e Antonio Sanfilippo, fonda FORMA 1: movimento che rifiuta la rigida ortodossia figurativa del comunismo e rivendica l’autonomia dell’astrazione. Le opere del primo dopoguerra restituiscono così una tensione inquieta tra astrazione e realismo, riflesso della ricerca di un lessico visivo personale in un’epoca di profonda trasformazione culturale.
Lo sguardo di Turcato, tuttavia, travalica i confini nazionali. Nel 1962, con il suo primo viaggio a New York, entra in dialogo con le sperimentazioni di Robert Rauschenberg e Jasper Johns, la cui radicale apertura ai materiali non convenzionali risuona con le sue indagini. Non mancano echi con le ricerche monocrome di Robert Ryman e con le sperimentazioni, in Italia, di Alberto Burri ed Enrico Castellani: percorsi differenti, ma accomunati dall’interrogazione sulla superficie, sul bianco, sulla materia cromatica e acromatica come luoghi di espansione del linguaggio pittorico.
L’indagine di Turcato su un colore “oltre lo spettro” — dalle serie Fuori dallo spettro del 1962 fino a Oltre lo spettro negli anni Settanta — si colloca da un lato in dialogo con i monocromi di Mario Schifano, interamente centrati sul colore, e dall’altro si apre a una dimensione metafisica: la tensione verso un “colore che non esiste”. Con la serie dei Cangianti, questa intuizione si amplifica: i pigmenti reagiscono alla luce e al movimento, alcuni persino diventano visibili nell’oscurità. Le superfici cessano di essere statiche e si trasformano in campi mobili di luce e riflesso, mutevoli al variare dello sguardo e dello spostamento dell’osservatore.
Le Superfici lunari degli anni Sessanta evocano l’ignota consistenza di un paesaggio extraterrestre, quasi a prolungare le esplorazioni spaziali di Lucio Fontana in una dimensione altra, in cui colore, luce e materia diventano veicoli di nuove percezioni. Nei Cangianti, il colore si stratifica fino a farsi quasi immateriale. E tuttavia, l’accento sulla materia non scompare mai: anche nei monocromi più estremi permane una densità, una vibrazione cromatica che lega ogni opera al corpo, allo spazio, all’esperienza vissuta.
Attraverso il suo costante confronto con il monocromo, Turcato elabora un pensiero pittorico insieme rigoroso e visionario. Non formula dichiarazioni solenni, ma apre varchi silenziosi alla riflessione, invitando lo spettatore a interrogarsi su come colore e forma possano trasfigurare la percezione stessa del mondo che ci circonda. (aise)