"Ai confini dell’Universo" di Paolo Ferri alla Fiera del Libro 2025 di Francoforte

FRANCOFORTE\ aise\ - Un nuovo saggio che non si limita a ripercorrere la storia della scienza, ma mostra il cambiamento di mentalità e dei paradigmi che hanno trasformato la nostra idea di “cielo”, rendendo tangibile la portata filosofica della rivoluzione scientifica e - negli ultimi sessant’anni - di quella esplorativa del sistema solare ed oltre, fino al confine estremo dell’universo. Questo è “Ai confini dell’Universo - Dalle sfere celesti all’esplorazione spaziale” (Laterza,2025), il nuovo libro dell’autore italiano, ma francofortese di adozione, Paolo Ferri, che il Consolato Generale d’Italia a Francoforte sul Meno ha incontrato e intervistato in occasione della Fiera del Libro della città tedesca. L'intervista è curata da Michele Santoriello.
Di seguito l'intervista integrale:
"Strutturato in tre parti dedicate rispettivamente a “La fine delle sfere celesti”, al “Regno del Sole” e ad “Infiniti mondi”, questo libro si rivolge a chi non è esperto di astronomia ma è curioso di capire come si sia evoluta la nostra concezione del cosmo. L’autore combina la storia delle idee (visioni antiche, frammenti filosofici, rivoluzioni scientifiche) con le scoperte e gli sviluppi tecnologici e di ricerca attuali, non solo descrivendo i fatti, ma anche esprimendo considerazioni su che cosa significhi per l’essere umano osservare l’universo, su come cambia la nostra percezione del mondo man mano che le frontiere dell’osservabile si sono spostate e si spostano. Un testo che unisce rigore scientifico ad una appassionata capacità narrativa.
D. Quale trasformazione culturale e scientifica rappresenta il passaggio dalle “sfere celesti” all’universo moderno? Che cosa comporta, secondo l’autore, la “perdita di centralità” della Terra nell’universo?
R. Il giorno in cui Galileo scoprì le lune di Giove al telescopio, il 7 gennaio 1610, segna uno sconvolgimento completo della nostra idea di mondo. Solo quel giorno si compie la rivoluzione copernicana, iniziata quasi ottant’anni prima. Quel giorno nasce l’astronomia moderna, la fisica e l’astronomia si fondono, staccandosi definitivamente dalla teologia. Nasce la scienza come la intendiamo ancora oggi. In mezzo a tutto questo, in fondo, la perdita di centralità della Terra e dell’Umanità nell’universo sono quasi un effetto secondario. Tanto più che nei secoli successivi dovevano arrivare altre batoste: prima togliamo anche il Sole dal centro del cosmo, riducendolo a una stella come tante, poi lo dobbiamo collocare alla periferia della Galassia. E infine, solo un secolo fa, che la nostra non è che una di centinaia di miliardi di altre galassie. Ormai abbiamo dovuto accettare la nostra profonda irrilevanza cosmica. Forse resta ancora vivo un solo punto di orgoglio: la vita come quella terrestre non l’abbiamo ancora trovata altrove. Ma è solo questione di tempo, presto anche questa illusione di essere speciali verrà smontata da nuove scoperte astronomiche.
D. Quali sono le principali tappe della rivoluzione copernicana e perché hanno cambiato il nostro modo di pensare?
R. A partire da Copernico, che ebbe non solo l’intuizione, ma anche alla fine il coraggio di mettere in discussione la centralità (e l’immobilità) della Terra nel cosmo, ci è voluto oltre un secolo per completare il processo. Prima Tycho Brahe abbatte il dogma aristotelico dell’immutabilità delle sfere celesti, dimostrando che le comete e le stelle novae, fenomeni variabili, si trovano molto oltre la sfera della Luna. Poi Johannes Kepler, usando le osservazioni e misure accurate di Tycho, scopre che i pianeti ruotano attorno al Sole su orbita ellittiche, e non circolari come voleva l’astronomia-teologia dominante.
Ma ci vuole Galileo, con il suo uso del telescopio e l’approccio di scienziato moderno, per dimostrare che la Luna e i pianeti non sono diversi dalla Terra, per cui non c’è niente di strano a sostenere che la Terra orbita attorno al Sole come gli altri pianeti. Il mondo celeste diventava tutt’uno con quello terrestre. La rivoluzione copernicana era compiuta. L’ultimo tassello però doveva mettercelo Isaac Newton, verso la fine del Seicento deriva le leggi fisiche che regolano il moto dei pianeti, e le collega a quelle della caduta dei corpi sulla Terra. Ora cielo e terra erano uniti anche da una sola formula matematica: la legge di gravitazione universale. In questi pochi passaggi era nata la modernità. Ancora oggi la scienza è basata sui principi e le leggi sviluppate in quel secolo sconvolgente. Ancora oggi usiamo le leggi di Newton per descrivere il movimento di qualsiasi cosa, sulla Terra e nel cielo.
D. Nel libro parli ampiamente anche dell’esperienza dell’esplorazione spaziale dal punto di vista umano e tecnico, come l’affronti questa volta rispetto ai tuoi saggi precedenti?
R. La parte centrale del libro, dove si parla di esplorazione spaziale, non differisce molto dai libri precedenti. Anche qui, appunto, i fattori umani si mescolano a quelli tecnici, diventano quasi la base su cui si realizzano le conquiste tecnologiche e operative. Forse l’unica differenza è che stavolta in racconto di missioni su cui non ho lavorato direttamente. Ma non rinuncio a menzionare gli aneddoti che, in vari momenti della mia carriera, mi hanno legato a queste missioni, da Voyager a New Horizons, attraverso il mio incontro con i loro protagonisti. E poi non ho potuto rinunciare a paragonare le esperienze incredibili di esplorazione spaziale vissute da questa missioni a momenti simili che ho vissuto io, come ad esempio le paure, risultate poi infondate, vissute durante l’attraversamento della fascia degli asteroidi.
D. Quale ruolo gioca la curiosità nella storia dell’astronomia e nella conquista dello spazio?
R. La curiosità gioca un ruolo fondamentale nella storia dell’Umanità. E nel caso dell’astronomia prima, e dell’esplorazione spaziale poi, comincia quando alziamo lo sguardo verso il cielo. Lo spettacolo che ci si presenta è travolgente, incredibile. Così cominciamo prima a chiederci cosa stiamo osservando, poi a cercare di descrivere e prevedere i movimenti dei corpi celesti, del Sole, della Luna, dei pianeti e delle stelle. Infine ci domandiamo come possiamo cercare di avvicinarci a questi oggetti meravigliosi, per capire meglio che cosa siano. E da questo impulso di curiosità nasce l’esplorazione spaziale. Tutto il resto è un gran lavoro di sottofondo, studio, osservazione, sviluppo tecnologico. Fino a quando siamo pronti per il prossimo balzo.
D. Cosa intendi quando parli dei “confini dell’universo” come di un limite mobile del nostro sguardo?
R. I confini dell’universo sono cambiati nel corso dei secoli, allontanandosi sempre più, grazie alla tecnologia. Per millenni abbiamo conosciuto i pianeti solo fino a Saturno, e le stelle lontane erano solo nei punti sullo sfondo, una specie di coperta celeste. La scoperta del telescopio presto ci ha fatto scoprire nuovi pianeti, sempre più distanti da noi: Urano, Nettuno. Ma ci ha anche permesso di scoprire che le stelle, per quanto lontanissime, formano strutture diverse, le galassie. Il confine si spostava sempre più in là. Oggi, con i telescopi moderni e quelli spaziali, siamo in grado di arrivare a osservare galassie lontanissime, e antichissime, visto che la luce che ci arriva da loro ha viaggiato per quasi 14 miliardi di anni. Forse siamo arrivati a vedere il limite dell’universo osservabile. Ma ci sono tante cose che ancora non capiamo, per cui la parola forse è doverosa in una scienza giovane e complessa come la cosmologia. Futuri strumenti e tecnologie potrebbero, chissà, allontanare ulteriormente questo confine.
D. In che senso il libro invita a vedere continuità, e non rottura, tra il pensiero antico e la scienza contemporanea?
R. La rottura a dire la verità c’è stata, al tempo di Galileo. Non è solo l’idea del mondo, ma il modo di affrontare la comprensione delle leggi che lo regolano è cambiato allora radicalmente. Ma anche in quella rottura c’è stata una continuità: la molla che spingeva gli studiosi del passato, quella curiosità che toglieva loro il sonno, che li spronava a costruire modelli del cielo sempre più complessi e ad adottare soluzioni geometriche sempre più geniali. Quella curiosità irrefrenabile è la stessa che muove gli scienziati moderni. È l’essenza stessa dal nostro essere umani.
D. Vi è un messaggio finale che Paolo Ferri vuole trasmettere anche alle giovani generazioni sul rapporto tra conoscenza, meraviglia e futuro della scoperta scientifica?
R. Provate ad alzare gli occhi dagli schermi del vostro cellulare. Osservate il cielo notturno, ma osservate anche il mondo che vi circonda. E domandatevi, per ciascuno dei fenomeni che vedete, il volo di un insetto, quello di un aeroplano, il canto di un uccello o il suono di uno strumento musicale, se capite come funziona. Incuriositevi di tutto. Perché tutto è degno di meraviglia, e le cose da scoprire e da capire sono infinite. La scienza cerca le risposte, ma vive di domande. Il giorno che smetteremo di farci domande sarà la fine della scienza, del progresso, dell’Umanità.
D. Grazie Paolo Ferri per questa occasione di parlare del tuo libro nella città che in questi giorni accoglie autrici ed autori da tutto il mondo.
Sappiamo che questo tuo nuovo fresco di stampa verrà presentato nei prossimi giorni anche a Francoforte, e siamo certi che ancora una volta questo saggio elegante, accessibile e poetico, capace di unire precisione scientifica e sensibilità umanistica, affascinerà lettrici e lettori ben oltre i confini della città sul Meno". (aise)