Crisi climatica e disuguaglianza: le emissioni dei super-ricchi minacciano il Pianeta

ROMA\ aise\ - In un solo giorno un individuo appartenente allo 0,1% più ricco del pianeta produce - a causa del proprio tenore di vita e di investimenti in attività inquinanti - più emissioni di CO2 in atmosfera di quelle generate in un anno dal 50% più povero della popolazione mondiale. Un trend che rischia di portare presto ad esaurire il “bilancio di carbonio”, ovvero l’ammontare massimo di emissioni globali di CO2 in atmosfera, necessarie a contenere l’aumento delle temperature entro 1,5°C rispetto all’era pre-industriale. Basti pensare che se tutti emettessimo quanto lo 0,1% più ricco, questo punto di non ritorno verrebbe raggiunto in meno di tre settimane.
È quanto rivela un nuovo report di Oxfam, diffuso oggi in vista della Cop30 sul clima che si terrà dal 10 novembre a Belem, in Brasile. Il dossier denuncia inoltre come una ristretta élite di miliardari stia usando tutta la propria influenza politica ed economica per mantenere la dipendenza dai combustibili fossili, massimizzando così i propri profitti.
"La crisi climatica è strettamente connessa all’acuirsi delle disuguaglianze globali e ne aggrava la portata - ha detto Francesco Petrelli, portavoce di Oxfam Italia -. Gli individui più ricchi del mondo finanziano e traggono profitto da questa crisi, mentre il resto della popolazione mondiale ne fa le spese”.
I super ricchi non solo emettono una quantità enorme di CO2 a causa del loro stile di vita, ad esempio con l’uso di jet e yacht privati, ma investono anche in attività economiche tra le più inquinanti e ne traggono profitto.
Il report rileva infatti come, in media, un miliardario, attraverso i propri investimenti, sia responsabile dell’emissione di 1,9 milioni di tonnellate di CO2 all'anno. Una quota di emissioni paragonabile a quella prodotta da un jet privato che facesse 10 mila volte il giro del pianeta.
Quasi il 60% degli investimenti dei miliardari globali è realizzato in settori che hanno un impatto devastante sul clima, come quello petrolifero o minerario. Le emissioni associate agli investimenti ultra-inquinanti dei paperoni superano di due volte e mezzo quelle riconducibili a un investimento medio in società dell'indice S&P Global 1.200. Le emissioni dagli investimenti di soli 308 miliardari sono così abnormi da superare quelle complessive di 118 paesi.
L’influenza esercitata da questa ristretta élite di super ricchi e dalle grandi corporation sta anche condizionando e indebolendo considerevolmente i negoziati sul clima. Alla Cop29 di Baku, ad esempio, risultavano accreditati ben 1.773 lobbisti delle industrie del carbone, del petrolio e del gas, più di quanti fossero i delegati dei 10 paesi più colpiti al mondo dalla crisi climatica.
"In questo momento le politiche per il clima sono condizionate sempre più dalla tutela di interessi privati e da un’economia che guarda al passato, basata sull’estrattivismo fossile, a discapito del bene comune. – aggiunge Petrelli – Da tempo le aziende inquinanti e i super ricchi, che le controllano, portano avanti campagne di disinformazione sulla crisi climatica e cause legali contro le ONG e i governi che cercano di opporsi. Per limitare questo potere di condizionamento delle politiche sul clima, serve una decisa azione in occasione della Cop30 che porti a tassare di più i grandi inquinatori, a vietare le attività di lobbying in favore dei combustibili fossili, dando voce e spazio nel processo decisionale ai paesi che sono più colpiti dalla crisi climatica, pur essendone i meno responsabili”.
Bastano alcuni dati per rendere evidente la deriva che stiamo percorrendo: da qui alla fine del secolo le sole emissioni causate dall’1% più ricco del pianeta potrebbero causare 1,3 milioni di vittime per l’aumento delle temperature e anche un danno economico per oltre 44 trilioni di dollari nei paesi a basso e medio reddito entro il 2050.
L’impatto della crisi climatica è inoltre negli ultimi anni sempre più forte sulle donne sia nei Paesi ricchi che, soprattutto, in quelli del Sud globale: oggi nel mondo 4 migranti climatici su 5 sono donne, che hanno, in media, una probabilità 14 volte più alta di restare vittime di disastri naturali rispetto agli uomini; anche nelle città europee ondate di calore sempre più forti e frequenti producono un maggior numero di decessi tra le donne.
Per questo Oxfam, in occasione della Cop30, ha lanciato la campagna di sensibilizzazione e attivismo “Climate Justice Is Gender Justice”. L’obiettivo è di portare l’attenzione su un tema cruciale, come la rilevanza degli aspetti di genere nel contrasto ai cambiamenti climatici. Un tema poco considerato nelle politiche di lotta al cambiamento climatico definite prevalentemente da uomini: in Europa, ad esempio, meno del 27% dei ministri con delega all’ambiente sono donne. La campagna coinvolgerà centinaia di giovani con tante iniziative e attività di sensibilizzazione fino al Climate Pride del 15 novembre a Roma, in occasione della giornata di mobilitazione globale per il clima che si svolge in simultanea in molti paesi europei.
La Cop30 arriva esattamente a 10 anni dall’approvazione dell’Accordo di Parigi del 2015. In questo lasso di tempo, l'1% più ricco del mondo ha consumato più del doppio del bilancio di carbonio della metà più povera dell'umanità.
In vista della Cop30, Oxfam ha quindi lanciato un appello urgente ai governi per un’azione che porti: a ridurre drasticamente le emissioni dei super ricchi e dei maggiori inquinatori, attraverso una tassazione più marcata dei grandi patrimoni e dei profitti in eccesso delle società di combustibili fossili, sostenendo in particolare la Convenzione delle Nazioni Unite sulla Cooperazione Fiscale Internazionale; a ridurre l'influenza economica e politica dei super ricchi, vietando alle società che operano nel settore dei combustibili fossili di partecipare ai negoziati sul clima come la Cop; a rafforzare la partecipazione dei paesi del Sud globale e delle comunità più colpite ai negoziati per il clima, con l’obiettivo di ridurre l’impatto sempre più disuguale della crisi climatica; ad adottare un approccio equo nella gestione del budget climatico residuo - riflettendo nei piani nazionali le responsabilità storiche e le diverse capacità di azione dei singoli stati - e assicurando che i paesi ricchi contribuiscano alla lotta al cambiamento climatico con finanziamenti consistenti, che vengano effettivamente erogati. (aise)