OIM: 20.700 persone morte negli ultimi 10 anni lungo la rotta del Mediterraneo centrale

ROMA\ aise\ - Domani, 18 aprile, ricorre il decimo anniversario di un tragico naufragio avvenuto nel Mediterraneo centrale in cui persero la vita oltre 1.000 persone, per lo più in fuga da violenze, conflitti, povertà estrema o condizioni di vita insostenibili, alla ricerca di un futuro più sicuro e dignitoso.
La tragedia si verificò nella notte tra il 18 e il 19 aprile 2015, quando un peschereccio sovraffollato con a bordo molte centinaia di migranti – in gran parte provenienti da Paesi dell’Africa occidentale – si capovolse tra la costa libica e l’isola di Lampedusa. L’imbarcazione aveva lanciato una richiesta di soccorso e un mercantile si era recato sul posto a prestare soccorso. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, il peschereccio si ribaltò all’improvviso. Molti migranti che si trovavano chiusi nelle stive interne (tra loro anche numerose famiglie, donne e bambini) non riuscirono a mettersi in salvo. Soltanto 28 persone sopravvissero: si trovavano sul ponte, la parte superiore della nave. Le altre risultarono disperse o decedute.
Secondo il Missing Migrants Project (MMP) dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), furono almeno 1.022 le persone che persero la vita in questa tragedia, un evento che all’epoca scosse profondamente le coscienze in Italia e nel mondo, suscitando una forte eco mediatica ed emotiva in quanto si trattò della più grave tragedia marittima nel Mediterraneo dall’inizio del XXI secolo. Colpì le coscienze anche il fatto che, in seguito alle complesse operazioni di ricerca e recupero del relitto, fu condotta una parziale identificazione di alcune delle vittime, tra cui quella di un bambino che aveva cucita sulla giacca la propria pagella scolastica. Un dettaglio toccante, che ha simbolicamente rappresentato le aspirazioni di molti dei migranti partiti su quel barcone.
Eppure, nonostante i ripetuti appelli a evitare nuovi disastri, il bilancio del decennio successivo resta drammatico: almeno 20.740 persone hanno perso la vita lungo la rotta del Mediterraneo centrale da quel 18 aprile 2015. Sempre secondo il Missing Migrants Project, questa è una stima per difetto, in quanto molti naufragi non vengono documentati e restano sconosciuti. Di conseguenza, il numero reale delle persone morte o scomparse potrebbe essere significativamente più alto rispetto alle stime ufficiali.
Alla vigilia dei mesi estivi, l’OIM rinnova l’appello per un rafforzamento delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. “A dieci anni da quella tragedia che ha segnato profondamente la storia del Mediterraneo, le persone continuano a morire in mare”, afferma Laurence Hart, Direttore dell’Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo dell’OIM. “Nel 2024 abbiamo registrato, nel Mediterraneo Centrale, 1.719 morti e quest’anno abbiamo già contato 294 vittime da gennaio. Dobbiamo agire con decisione per prevenire ulteriori perdite e proteggere la dignità delle persone in movimento.”
“Per fare questo – aggiunge Hart – occorrono interventi coordinati e una responsabilità condivisa tra gli Stati. Ma soprattutto servono più canali migratori regolari, che rappresentino una vera e concreta alternativa alle rotte irregolari, troppo spesso segnate da sofferenza e morte. Prevenire nuove tragedie, ridurre la migrazione irregolare e contrastare la tratta di esseri umani richiede un approccio strutturato e di lungo periodo. Sono necessarie politiche migratorie equilibrate, che tengano conto non solo delle esigenze dei Paesi di destinazione, ma anche di quelle delle comunità di origine e transito, e che consentano una gestione ordinata della mobilità umana, a beneficio dei migranti e delle società coinvolte”. (aise)