20 anni di talenti in mobilità: l’emigrazione fra crescita, gioie e debolezze

ROMA\ aise\ - 20 anni di “gioie ed endemiche debolezze”. 20 di “amore e solidarietà”. 20 anni di dati e informazioni, anche a contrasto della disinformazione (diffusione intenzionale di notizie false) e della misinformazione (diffusione inconsapevole di informazioni ingannevoli). E così, dopo 20 anni di pubblicazioni annuali, il Rapporto Italiani nel Mondo si è fatto “punto di riferimento”; uno studio che “avvicina e umanizza” le persone migranti, sia quelle che escono dall’Italia che quelle che entrano in Italia, e che cerca di “farsi prossimo approfondendo” il tema della mobilità e le storie dei protagonisti.
Così, Mons. Pierpaolo Felicolo, Direttore Generale della Fondazione Migrantes, ha aperto la presentazione di questa mattina, 11 novembre, della XX edizione del Rapporto Italiani nel Mondo. Una presentazione speciale, dunque, che per il ventesimo anniversario ha deciso di spostarsi presso la Sala San Pio X, a ridosso del Vaticano, a Roma, per sottolineare lo “stretto legame con la Santa Sede”.
A moderare l’incontro, la curatrice del RIM 2025, Delfina Licata, che in apertura ha fornito subito alcuni tra i tanti dati contenuti nello studio: 6,5 milioni gli italiani residenti all'estero. Una comunità, come spiegato dalla curatrice, che in questi 20 anni è più che raddoppiata: sono 1 milione e 644 mila gli espatriati in questi ultimi due decenni, principalmente giovani tra i 25 e 34 anni, dal Mezzogiorno ma anche da Lombardia e Nordest. E solo la metà di questi è rientrata in Italia (826 mila), il che comporta un saldo negativo di oltre 817 mila. Ma “non chiamateli cervelli in fuga”, ha esortato Licata, perché “dei giovani che partono oggi, solo il 33% è laureato. Il restante 66% ha un titolo di studio medio-basso. Tutti, però, sono talenti”.
Il volume di quest’anno è molto più corposo dei precedenti, proprio perché è compresa un’ampia parte (22 saggi da 5 continenti) dedicata al traguardo delle 20 edizioni. “Fa un certo effetto pensare ai protagonisti di questi 20 anni”, ha spiegato Felicolo. “Più di 10 mila pagine di studio sono state stampate dal 2006 ad oggi. Guardare questo percorso è affascinante e costruttivo. Ci fa toccare con mano i cambiamenti sociali ed ecclesiali. Oggi, dopo più di mezzo secolo di immigrazione, dopo una storia di diaspora nazionale e un presente di partenze cospicue, la persona in cammino rimane al centro del nostro pensiero. L’Italia è cambiata e continua a cambiare sotto i nostri occhi. Gli italiani non hanno mai smesso di partire. E oggi partono ancora, sempre più numerosi. Tornano in pochi per poi ripartire. Italiani che si mescolano alla cittadinanza cosmopolita, nel bisogno del lavoro soddisfatto fuori dai confini nazionali”. E per questo “noi dobbiamo studiare per camminare assieme ai migranti. Siamo tante sentinelle e interlocutori attivi nel processo delle riforme. Per noi è doverosa la cura di ogni migrante, qualsiasi passaporto abbia”.
Il RIM 2025, in questo senso, “fa emergere la fragilità del tema della mobilità” nei giorni nostri. Ma la “speranza è un ponte, non un muro”, ha aggiunto Felicolo concludendo il suo intervento. “E i migranti, con la loro storia, incarnano questo ponte, ricordandoci che la nostra identità più profonda non è chiusa dentro ai confini geografici”.
A seguire è intervenuto anche Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, secondo il quale “viviamo in un tempo che sembra voglia cambiare il significato delle parole, come la parola “migranti”, che è ridotta a uno stereotipo negativo. Non per la chiesa”. Anche per questo Ruffini ha rivolto un grande plauso al RIM, che fa “una comunicazione lenta in un mondo veloce”, ma anche una comunicazione il cui scopo “è stare ai fatti, capire i processi e poi condividerla. E di questo abbiamo un bisogno disperato al giorno d'oggi”. “Stare ai fatti, alza i fatti: non è vero che l’Italia si è trasformata da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione. I fatti dicono che non è così. I dati sottraggono all’ideologia. La retorica alimenta informazioni distorte, il RIM sta ai fatti, complessi, ma da leggere così come sono, senza dare illusioni e paure. Il RIM 2025 ci dice anche che ogni partenza è una scelta, ma anche una spia di un sistema bloccato, incapace di offrire lavoro, servizi, riconoscimenti e crescita. E la geografia delle partenze ci racconta un’Italia diversa da quella da cartolina. Queste sono cose da vedere, da affrontare”, perché la “vera sfida non è fermare la mobilità, ma diventare un Paese accogliente per attirare nuove energie demografiche, sociali ed economiche”.
70 fra autori e autrici hanno composto il RIM 2025. Un’edizione che invita a superare la visione riduttiva e quasi tragica dell’espatrio e della mobilità come mera “perdita, strappo, trauma”. I dati e le testimonianze raccolte nello studio, poi, dimostrano che non partono solo ricercatori/laureati e che, anzi, prevalgono i diplomati. Il filo comune non è la fuga, ma la scelta, la ricerca di dignità, il riconoscimento e la mobilità sociale. “Il grande bluff – si legge nel Rapporto – non è tra cervelli o braccia, ma nel non riconoscere che tutti sono talenti”. Non basta trattenerli, né rimpiangerli, spiega il RIM: serve coinvolgerli nella costruzione di nuove visioni collettive.
Ma il RIM 2025 invita anche a superare le narrazioni riduzioniste e rappresentazioni emergenziali, e anche la distinzione rigida tra “emigrazione” e “immigrazione”, sottolineando come entrambe esprimano la mobilità di persone migranti legate in modi diversi al nostro Paese. Negli ultimi anni si registrano fenomeni articolati: ad esempio, i nuovi italiani sono protagonisti sempre più numerosi di spostamenti, soprattutto verso altri Paesi europei.
I numeri
L’Italia, secondo quanto emerge dalla fotografia del RIM 2025, non è dunque un Paese che “fugge”, o, almeno, non più. È, invece, una nazione che si ridefinisce nei legami, nelle reti e nelle comunità transnazionali. Al 1° gennaio 2025 gli iscritti all’AIRE sono 6.412.752. La popolazione residente in Italia è invece 58.934.117, ci cui 5.422.426 stranieri. Ciò significa che 12 italiani su 100 vivono all’estero (11,9%). Continuano a salire le iscrizioni all’Anagrafe dei Residenti all’Estero: nel 2024, sono stati 278 mila gli italiani che si sono iscritti (+4,5% in un anno), oltre il doppio rispetto al 2006 (+106,4%). La crescita degli stranieri residenti in Italia è invece decisamente meno consistente rispetto al passato (nel 2019 erano 5,3 milioni). A crescere, invece, sono le donne iscritte all’AIRE (48,3%), con una crescita rispetto al 2006 decisamente più sostenuta rispetto a quella maschile (+115,9% per le donne, 98,3% per gli uomini).
Tra gli italiani residenti all’estero, 1,3 milioni sono anziani (20,5%), 858 i minorenni (14,9%). Tra i 18 e i 34 anni sono 1,4 milioni (22%), mentre 1,5 milioni sono quelli tra i 35 e i 49 anni (23,2%) e 1,2 quelli tra i 50 e i 64 (19,6%). Di questi, il 47,1% è espatriato, mentre il 41,3% è nato all’estero.
Per quanto riguarda i Paesi di approdo, l’Europa è ancora la meta preferita (53,8%), poi l’America (41,1%) e infine Oceania, Asia e Africa. Le comunità italiane all’estero più numerose sono ancora quella in Argentina (990 mila) e in Germania (849 mila). Mentre per quanto concerne la provenienza degli espatriati, continua ad essere il Meridione la zona da dove si parte di più (45,1%), a seguire il Nord (39,2%) e infine il Centro (15,7%). La Sicilia è la comunità di residenti all’estero più numerosa con 844 mila, seguita da Lombardia (690 mila) e Veneto (614 mila).
Gli iscritti all’AIRE nel 2024 sono 123.376, il 53,8% sono uomini e il 70% sono celibi/nubili. Dunque, la mobilità italiana è in piena ripresa (+38% rispetto all’anno precedente, ossia 34 mila partenze in più, specie fra giovani e giovani adulti).
La presentazione dell’edizione 2025 è proseguita poi con l’intervento di Paolo Pagliaro, Direttore dell’Agenzia 9 Colonne, che ha prima fatto un’analisi del fenomeno e dei numeri di quest’anno, poi ha ricordato come il RIM sia uno strumento anche per “contrastare l'amnesia collettiva” che ha colpito l’Italia che sembra aver dimenticato che gli italiani sono stati oggetto di discriminazione, esclusione, morte sul lavoro; che abbiamo conosciuto la clandestinità, il lavoro nero, il razzismo. Il rapporto, infatti, secondo Pagliaro ha la capacità di mettere in discussione la narrazione dominante sul “chi siamo, cosa offriamo ai nostri cittadini, quali spazi li costringiamo ad abbandonare”. Ma il rapporto “non ha un atteggiamento distopico, si può partire anche con la gioia nel cuore, per fare esperienze umane, professionali, si può partire per amore, per curiosità, avventura, solidarietà. Ma c’è anche un’Italia da cui si parte per necessità”. Il RIM “indaga e approfondisce la spinta migratoria come conseguenza di un sistema bloccato. Le partenze diventano così una forma di reazione all’esclusione e alla frustrazione”. Insomma, il RIM “non si limita a guardare, ma interroga e propone”. È quindi, per Pagliaro, “un servizio” a tutti gli effetti.
Dopo di lui, è andato in scena anche un tavolo di dialogo dal titolo Oltre la fuga. Talento, cervello o braccia?”, con protagonisti tre giornalisti: Roberto Inciocchi, della Rai, Manuela Perrone, de Il Sole 24 Ore, e Paolo Lambruschi, de L'Avvenire. I tre hanno parlato dei problemi della comunicazione “stereotipata” sul tema migratorio, del rischio di informazioni incomplete, di un “patto generazionale tradito”, dell’estero come “nuovo ascensore sociale” che “accorcia i tempi per diventare adulti”, così come hanno parlato della necessità di essere più accoglienti, attrattivi e di “raccontare la realtà per come è, non per come la vorremmo”.
Per concludere, infine, ha preso parola mons. Gian Carlo Perego, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni della Conferenza episcopale italiana e della Fondazione Migrantes: “in questi 20 anni, il RIM ci ha permesso di guardare dentro la realtà della mobilità. Guardare dentro i volti di persone che spesso non vengono accompagnate. Ormai c’è una parità tra emigrazione ed immigrazione. Non c’è attenzione a nessuna delle due. Spesso è stato più alto il numero di chi parte. Questo è preoccupante perché dà l’idea della poca attrazione dell’Italia e per il problema demografico, economico e strategico. Tanti giovani manifestano la volontà di lasciare il nostro paese. Questo chiede una riforma della cittadinanza che equilibri ius sanguinis e ius soli riconsiderando le forme di ius scholae e ius culturae”. A tal ragione, secondo Perego “non si può tacere sul metodo con cui è stata introdotta la riforma della cittadinanza. Un decreto legge approvato senza preavviso né confronto con gli italiani all’estero. Ha inciso su una materia complessa e identitaria che avrebbe richiesto un dibattito parlamentare ampio. È una questione che tocca milioni di persone e tocca l’idea di Italia nel mondo, ed è stata trattata come un’urgenza amministrativa”. “Senza un investimento serio sulla cittadinanza – ha spiegato ancora -, c’è il rischio che i giovani, protagonisti della mobilità, non amino più il nostro paese e rimangano in attesa solo del tempo della ripartenza. Non si può essere cittadini a metà”. Infine, Perego ha concluso con due riflessioni, la prima riguarda la cittadinanza che “se vissuta con responsabilità, rappresenta un ponte tra generazioni e popoli”. La seconda, invece, riguarda la sempre più stretta connessione tra immigrazione ed emigrazione: “ci fa parlare dell’Italia dalle mobilità multiple”. E la mobilità “dovrebbe allargare la cittadinanza, invece la chiude. E chiude anche la politica”.
A chiosare la presentazione, il messaggio della curatrice Delfina Licata: “nel 2006 scrivevamo “Sappiamo molto di più dell’emigrazione, ma forse sappiamo ancora poco degli italiani nel mondo”. Dopo 20 anni speriamo di aver riportato le storie degli italiani e delle italiane nel mondo a casa. E queste italiane e questi italiani fanno parte dell’unica e sola Italia”. (l.m.\aise)