La “Milano Anni ‘60” al Palazzo delle Paure di Lecco
LECCO\ aise\ - Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Baj, Bruno Munari e altri maestri dell’arte nata a Milano negli anni ‘60 sono i protagonisti dell’estate culturale di Lecco.
Dal 13 luglio al 24 novembre, Palazzo delle Paure ospita la mostra “Milano Anni ‘60. Da Lucio Fontana a Piero Manzoni, da Enrico Baj a Bruno Munari” che racconta un decennio straordinario, nel quale il capoluogo lombardo ha confermato il proprio ruolo da protagonista sulla scena culturale internazionale.
L’esposizione, curata da Simona Bartolena, prodotta e realizzata da ViDi cultural, in collaborazione con il Comune di Lecco e il Sistema Museale Urbano Lecchese, completa il ciclo espositivo di Percorsi nel Novecento, programma ideato dalla Direzione del Sistema Museale Urbano Lecchese e affidato per la sua progettazione e realizzazione a ViDi Cultural che analizza la scena culturale italiana del XX secolo.
“Chiude, con questa ultima mostra il ciclo espositivo dedicato al Novecento promosse a Palazzo del Paure da ViDi cultural in collaborazione con il Comune di Lecco”, afferma Simona Piazza, assessore alla cultura del Comune di Lecco. “Un lungo viaggio nella storia dell’arte, che porta anche questa volta in città una grandissima esposizione, che offre una nuova preziosa occasione per visitare il Palazzo delle Paure, dove ammirare anche il nuovo allestimento della Galleria di Arte Moderna e Contemporanea ospitata all’ultimo piano”.
“Questa serie di “grandi mostre” ha portato a una crescita nel numero di visitatori, sia locali sia provenienti da fuori città o provincia, e ha contribuito a posizionare Palazzo delle Paure tra i luoghi e i musei in grado di ospitare grandi esposizioni”, prosegue Piazza.
La rassegna presenta 60 opere di autori quali Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Baj, Bruno Munari, Arturo Vermi, Ugo La Pietra, Gianni Colombo, Grazia Varisco e altri, capaci di raccontare e approfondire i nuovi linguaggi artistici e le ricerche rivoluzionarie, sorte a Milano in questo irripetibile momento storico, caratterizzato da un clima di grande fermento che porterà a un radicale cambiamento del pensiero creativo.
“Gli anni Sessanta sono stati un decennio straordinario per Milano”, dichiara la curatrice Simona Bartolena. “Un periodo vivacissimo, nel quale il quartiere di Brera era teatro di un costante germogliare di ricerche, movimenti, situazioni aperte al contesto internazionale. Sulle tracce di Fontana, una lunga serie di artisti si avventura in territori tutti da esplorare, tra sperimentazione, indagini percettive, azioni performative, ricerca di nuove strade espressive per la pittura. Dagli spazialisti ai nucleari, da Azimuth al Cenobio, fino alle innovazioni del Gruppo T: un susseguirsi di linguaggi di rottura, dall’indiscutibile modernità, apprezzatissimi ancora oggi. In un clima di crescita e ottimismo, gli anni Sessanta portano un contributo fondamentale all’arte contemporanea”.
“Se per le mostre precedenti lo sguardo era aperto a tutta Italia”, continua Bartolena, “in questa ultima esposizione del percorso lecchese ho sentito il bisogno di stringere il focus su Milano, uno dei cuori pulsanti della cultura italiana dell’epoca. Mentre a Roma cresceva la Pop Art della Scuola di Piazza del Popolo e a Torino nasceva l’esperienza dell’Arte povera, Milano vede la diffusione di linguaggi più spinti sulla percezione, sulla concettualità e sul segno minimale”.
“In mostra si è cercato di raccontare anche artisti meno noti al grande pubblico, ma straordinari per le loro ricerche innovative, e di ricordare anche luoghi fondamentali fuori dal quartiere di Brera, come ad esempio l’eccezionale esperienza delle Botteghe di Sesto”, continua la curatrice. “A testimoniare questa realtà sarà esposto un libro già di proprietà dell’allora custode del palazzo di Sesto San Giovanni, con schizzi e disegni originali di tutti gli artisti dove lì avevano gli atelier: un oggetto emozionante, che ci porta nel vivo di un luogo che ha fatto storia”.
“Inevitabilmente”, conclude, “la mostra si chiude con un accenno al violento cambio di passo della fine del decennio. L’attentato di Piazza Fontana e tutto ciò che ne conseguì pesa come un macigno sulla città. Cambia il clima, cambia il modo di pensare all’arte, si sente la necessità di un nuovo impegno sociale e politico: siamo ormai negli anni Settanta”.
Già dal secondo dopoguerra Milano è teatro di una lunga serie di attività culturali: aprono nuove gallerie, si inaugurano mostre, si formano gruppi e movimenti, vengono pubblicati manifesti. Gli artisti reagiscono alle distruzioni belliche cercando strade sempre più sperimentali e linguaggi più idonei alla nuova condizione sociale e antropologica e tessendo una rete di relazioni e dialoghi che la rendono una delle capitali indiscusse dell’arte europea.
Rispetto al decennio precedente, dove prevalevano codici espressionisti e informali, negli anni Sessanta gli autori abbandonano l’istinto e il gesto veemente, per assumere un atteggiamento nuovo, più calibrato. Molti di essi guardano ai tagli di Lucio Fontana che tratta la tela non più come superficie ma come materia; altri restano fedeli alla pittura, cercando di rinnovarne l’idea.
Il percorso espositivo si apre con il grande “padre” Lucio Fontana, elemento propulsore e catalizzatore di questa stagione, riferimento imprescindibile per questa generazione, nonché fondatore dello Spazialismo, movimento al quale aderiscono artisti quali Gianni Dova, Roberto Crippa, Cesare Peverelli; parallelamente, Milano dà i natali al Movimento nucleare, creato da Enrico Baj e Sergio Dangelo.
Nel settembre 1959 esce il primo numero della rivista Azimuth, la cui storia non si può scindere da quella dei suoi due fondatori, Enrico Castellani e Piero Manzoni. Più che una pubblicazione, Azimuth è un “ritrovo intellettuale”, un’esperienza radicale dall’apertura internazionale, un luogo di confronto, di dibattito, di scoperta, dalle cui pagine si assiste al superamento della pittura in senso tradizionale, alla nascita di nuovi linguaggi, alla possibilità di contaminazione con altre realtà.
Dopo l’esperienza di Azimuth, la mostra documenta le sperimentazioni del Gruppo T, formato da personalità quali Gianni Colombo, Davide Boriani, Grazia Varisco, la cui ricerca si concentra sul rapporto tra tempo e spazio e l’idea di movimento nell’opera d’arte e che ha come padre putativo Bruno Munari che con le sue Macchine inutili e con i suoi Negativo-positivo – esposti a Palazzo delle Paure – aveva già introdotto importanti elementi di riflessione sia sul tema del dinamismo sia su quello della percezione.
Nel panorama di questo generale rifiuto della pittura intesa nel senso tradizionale del termine, si distingue un sodalizio di artisti, nato ufficialmente nel 1962, definito come il Gruppo del Cenobio, dal nome dell’omonima galleria d’arte milanese, che vede tra i suoi protagonisti Agostino Ferrari, Ugo La Pietra, Ettore Sordini, Angelo Verga e Arturo Vermi; questi artisti, pur sposando la volontà di un superamento dell’atto pittorico classico, propongono una riflessione diversa, che salva la pittura ma attribuendole un valore espressivo-scritturale.
Una parentesi è inoltre dedicata alla realtà delle Botteghe di Sesto, a Sesto San Giovanni, dove avevano sede numerosi studi d’artista, diventate in breve tempo delle importanti fucine di sperimentazione e che annovera artisti noti a livello internazionale, quali Enrico Castellani, Arturo Vermi, Turi Simeti, Antonio Scaccabarozzi, Agostino Bonalumi, ma anche autori di cui si è attualmente persa la memoria ma che hanno contribuito all’evoluzione della scena artistica milanese del tempo. In mostra si può ammirare un libro con opere autografe e originali, realizzato per il custode dello stabile dagli artisti residenti nell’area delle Botteghe, da Castellani a Vermi, da Simeti a Scaccabarozzi.
Accompagna la mostra un catalogo realizzato da Ponte43 per le edizioni ViDi cultural. (aise)