Servizio e responsabilità: Papa Francesco consegna il Premio Paolo VI al Presidente Mattarella

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ROMA\ aise\ - “Come fare dell’agire politico una forma di carità” e “come vivere la carità, cioè l’amore nel senso più alto, all’interno delle dinamiche politiche? Credo che la risposta risieda in una parola: servizio”. Così Papa Francesco che oggi nella Sala Clementina in Vaticano ha consegnato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il Premio Paolo VI, che gli è stato attribuito dall’omonimo Istituto. Un premio che Mattarella chiesto di destinare alla Comunità Giovanni XXIII, che in Emilia Romagna gestisce case di accoglienza colpite dall'alluvione.
Credo che oggi il conferimento del Premio Paolo VI al Presidente Mattarella sia proprio una bella occasione per celebrare il valore e la dignità del servizio, lo stile più alto del vivere, che pone gli altri prima delle proprie aspettative”, ha detto il Papa. “Che ciò sia vero per Lei, Signor Presidente, lo testimonia il popolo italiano, che non dimentica la sua rinuncia al meritato riposo fatta in nome del servizio richiestole dallo Stato”, ha ricordato il Pontefice riferendosi al secondo mandato di Mattarella al Colle.
Il Papa ha quindi richiamato l’omaggio del Presidente ad Alessandro Manzoni, di cui quest’anno si ricordano i 150 anni dalla morte: “Paolo VI lo definì “genio universale”, “tesoro inesauribile di sapienza morale”, “maestro di vita”. Anch’io – ha detto Bergoglio – custodisco nel cuore tanti suoi personaggi. Penso al sarto, che racconta la buona laboriosità di chi concepisce la vita come il tempo dato al singolo per accrescere il bene altrui, per “industriarsi, aiutarsi, e poi esser contenti”. E con questo lavoro è riuscito ad esprimere uno dei passi più sapienti: “Non ho mai trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene”. Perché servire crea gioia e fa bene anzitutto a chi serve. Per dirla ancora con il Manzoni: “si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio”. Ma – ha osservato il Papa – il servizio rischia di restare un ideale piuttosto astratto senza una seconda parola che non può mai esserle disgiunta: responsabilità”, cioè “l’abilità di offrire risposte, facendo leva sul proprio impegno, senza aspettare che siano altri a darle”.
“Quante volte, Signor Presidente, prima con l’esempio che con le parole, Lei lo ha richiamato!”, ha detto ancora Francesco, prima di citare Paolo VI che, da Papa, “scrisse che le parole servono a poco “se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità”. Perché, spiegava, “è troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria innanzi tutto la conversione personale”. Sono parole che mi sembrano molto attuali oggi, quando viene quasi automatico colpevolizzare gli altri, mentre la passione per l’insieme si affievolisce e l’impegno comune rischia di eclissarsi davanti ai bisogni dell’individuo; dove, in un clima d’incertezza, la diffidenza si trasforma facilmente in indifferenza. La responsabilità, invece, come ci mostrano in questi giorni tanti cittadini dell’Emilia Romagna, chiama ciascuno ad andare contro-corrente rispetto al clima di disfattismo e lamentela, per sentire proprie le necessità altrui e riscoprire sé stessi come parti insostituibili dell’unico tessuto sociale e umano a cui tutti apparteniamo”.
Bergoglio ha poi richiamato l’impegno per la legalità che “richiede lotta ed esempio, determinazione e memoria, memoria di quanti hanno sacrificato la vita per la giustizia; penso a suo fratello Piersanti, Signor Presidente, e alle vittime della strage mafiosa di Capaci, di cui pochi giorni fa si è commemorato il trentennale. San Paolo VI notava che nelle società democratiche non mancano istituzioni, patti e statuti, ma “manca tante volte l’osservanza libera ed onesta della legalità” e che lì “l’egoismo collettivo insorge”. Anche in quest’ambito, Signor Presidente, con le sue parole e il suo esempio, avvalorati da quanto ha vissuto, Lei rappresenta un coerente maestro di responsabilità”.
“Sì, il senso di responsabilità e lo spirito di servizio stavano per San Paolo VI alla base della costruzione della vita sociale. Egli ci ha lasciato l’impegnativa eredità di edificare comunità solidali. Era il suo sogno, che si scontrò con vari incubi diventati realtà – penso alla terribile vicenda di Aldo Moro; era il desiderio ardente che portava nel cuore e che espresse nei termini di “comunità di partecipazione e di vita”, animate dall’impegno a “prodigarsi per costruire solidarietà attive e vissute”. Non sono utopie, - ha sottolineato il Papa – ma profezie; profezie che esortano a vivere ideali alti. Perché di questo oggi hanno bisogno i giovani. E sono lieto, Signor Presidente, di farmi strumento di riconoscenza a nome di quanti, giovani e meno giovani, vedono in Lei un maestro, un maestro semplice, e soprattutto un testimone coerente e garbato di servizio e di responsabilità. Ne sarebbe lieto Papa Montini, del quale mi piace ripetere, infine, alcune parole tanto note quanto vere: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”. Grazie”. (aise)